Marcello Rosa – Number One

Marcello Rosa - Number One

Nelson Records – CD1046 – 2014




Marcello Rosa: trombone

Marco Tiso: direzione

Gianluca Urbano, Antonio Padovano, Pietro Pellegrini, Enrico Martella, Ildo Masi, Michele Lotito: tromba

Daniele Manciocchi, Duilio Ingrosso, Simone Alessandrini, Olimpio Riccardi, Andrea Verlingieri, Gianfranco Menzella, Mauro Massei, Roberto Bottalico: sassofoni

Davide Di Pasquale, Enzo De Rosa, Luca Tutino: trombone

Matteo Vagnarelli: trombone basso

Alessio Ligi: trombone, tuba

Mario Nappi, Carlo Ferro: pianoforte

Enrico Olivanti: chitarra elettrica

Toto Giornelli: contrabbasso, basso elettrico

Giuseppe D’Ortona, Massimo Di Cristoforo: batteria


solisti:

Bepi D’Amato: clarinetto

Fabrizio Bosso: tromba

Aldo Bassi: tromba

Javier Girotto: sax baritono

Max Ionata: sax tenore

Roberto Schiano: trombone

Roberto Rossi: trombone





Marcello Rosa. Trombonista, compositore, arrangiatore, divulgatore del jazz, personaggio radiotelevisivo, scopritore di talenti, polemista infaticabile e capace di battute al vetriolo ben al di là di ogni pur minima soglia di politicamente corretto. Naturalmente, se si vuole andare più a fondo e scoprire cosa rivelano, una per una, c’è il validissimo strumento dell’autobiografia pubblicata di recente dal trombonista (Amari Accordi – questo il link per la recensione su Jazz Convention). Le varie definizioni di Marcello Rosa e la lettura del libro sono utili a cogliere lo spirito di un lavoro come Number One, a capire come generazioni di jazzisti e appassionati abbiano da sempre apprezzato la forza espressiva e le situazioni musicali organizzate dal trombonista, caratterizzate dalla convocazione di talenti diversi tra loro, e spesso emergenti, e dalla ricchezza degli arrangiamenti, dall’intento di mettere in evidenza il trombone. E come si sia riconosciuta sempre una grande onestà intellettuale all’estrema franchezza, priva del benché minimo intento diplomatico e pagata spesso in prima persona, nel manifestare la propria opinione.


In Number One c’è tutto questo. Lo ritroviamo in dieci composizioni e in un arrangiamento (la celeberrima e importantissima We Shall Overcome) dove viene ripercorso il secolo del jazz da New Orleans al funky. Lo ritroviamo nell’utilizzo totale quanto leggero dell’orchestra, il principio secondo il quale, se le pennellate sono più importanti del risultato complessivo, il quadro non è un’opera d’arte. È evidente nella lunga e variegata lista di ospiti che concorrono al risultato finale: lista che avrebbe potuto senza troppi problemi essere anche molto più lunga se, semplicemente, si scorre l’enorme quantità di interpreti coinvolti da Rosa nelle sue tante orchestre, trombone summit, all star e via dicendo. Oltre trenta musicisti – come nota il trombonista nel booklet convenuti a prove e registrazioni per omaggiare il “vecchio collega” e festeggiare il suo compleanno – per un disco compatto e denso nei suoi quarantatre minuti.


Il lavoro scorre con passo sicuro e veloce nel lettore. Restituisce con freschezza l’energia e l’adrenalina dell’esecuzione condotta con sapienza da Marco Tiso. Rivela come sappia essere moderno e attuale un jazz concepito con gli “attrezzi” tradizionali. A partire dall'”artificio del 78 giri”, vale a dire brani dalla durata di circa tre o quattro minuti. Le composizioni e gli arrangiamenti seguono la lezione della sapida concisione, evitano quasi sempre preamboli e passaggi interlocutori per creare suggestioni: queste arrivano dalla stratificazione e dall’accostamento delle varie sezioni, dall’interazione del solista con il fronte sonoro dell’orchestra. Subito dopo viene l’attitudine a proseguire il cammino fatto dai grandi seguendone le ultime orme e prendendo poi l’aire secondo la visione personale. Spesso il legame è rivelato o evocato dai titoli – Georgia Riff, Bud Swingman, Celia’s Strut – e altre volte è esplicitato da Rosa nelle note di copertina o ancora viene evocato dalle atmosfere o dai riff presenti negli spartiti delle sezioni. Una vera e propria staffetta: facilitata, per di più, dalla sintesi tra la Swing Era e i grandi compositori italiani tanto presenti nel teatro musicale, nella televisione in bianco e nero e nelle colonne sonore degli anni sessanta. La compostezza e la compiutezza di quelle esperienze si ritrova nelle undici tracce, nelle prove dei solisti e nel suono della Exit Orchestra: una sintesi che tiene conto dei punti di riferimento ma punta con franchezza alla propria espressione, così come senza peli sulla lingua è il nostro padrone di casa.


Il blues, inoltre, scorre a fiumi nel disco e rivela una volta ancora come sia una chiave unificante di linguaggi e modi di interpretare. Il trombonista richiama la massima secondo cui “non tutto il Jazz è Blues, ma tutto il Blues è Jazz” con cui è cresciuta tutta una generazione di musicisti: questo punto potrebbe aprire analisi e discussioni infinite, sicuro invece è il radicamento intimo e profondo di una concezione musicale, presente tanto nella scrittura quanto nell’esposizione. Concezione musicale universale e versatile, tanto trasversale quanto immediatamente riconoscibile: il blues rivendica immediatamente la propria presenza e Marcello Rosa rivendica attraverso la sua presenza il senso di un percorso lungo e coerente, il senso dell’attualità che passa attraverso il senso ancestrale della sua espressione. Vengono in mente, immediati, i primi versi di A me me piace ‘o Blues di Pino Daniele per esemplificare il tutto, quel senso impellente di dover cantare, o suonare in questo caso, scaturito dall’appartenenza, “anima e corpo”, a un linguaggio, a un modo di essere, a una comunità di musicisti.


Il senso di comunità, come è ovvio, viene associato in modo inequivocabile all’orchestra. E alle regole, per forza di cose, più rigorose per gestire improvvisazione e interplay, sezioni e solisti. Un soggetto altrettanto capace, però, di “fare spogliatoio” e di attivare le antenne del jazzista per l’ascolto reciproco e la definizione tanto della voce personale quanto del proprio spazio nel risultato complessivo. E il contesto orchestrale arricchito dalla presenza degli ospiti e dal particolare carisma del leader, diventa il veicolo privilegiato per un disco che riesce a sintetizzare senso di festa e rispetto per gli arrangiamenti, tradizioni del jazz e capacità di ascoltare quanto proviene dalla modernità, rispetto reciproco e conoscenza ed utilizzo dei ferri del mestiere. Il rispetto reciproco, in particolare, viene evidenziato dai brani “cuciti” addosso agli ospiti: Rosa attinge alla sua sterminata produzione di temi e arrangiamenti per cogliere gli aspetti salienti delle personalità dei solisti presenti e quindi, anche nella ripresa di un tema scritto magari decenni or sono per altre necessità o organico, come un sarto esperto con un abile primo sguardo riesce a confezionare l’abito su misura per l’ospite di turno. E in questo modo, ad esempio, Georgia Riff – una variazione su Sweet Georgia Brown rivisitata dal trombonista passando attraverso le improvvisazioni di J.J. Johnson – diventa il terreno ideale per il clarinetto di Bepi D’Amato e per le sue evoluzioni. E lo stesso si può dire di The Blue Rose, la ballad affidata a Fabrizio Bosso, di Friendship, un guizzante tempo veloce condotto da Aldo Bassi, dell’escursione esotica guidata da Javier Girotto in Blue Camel, del funk elettrico, nervoso, quasi “poliziottesco” (Bopo) in cui viene coinvolto Roberto Schiano, del morbido swing di Bud Swingman con Max Ionata egregio protagonista e, infine, la marcia elettrica di Fan Funk – vero e proprio ponte sonoro tra New Orleans e il groove di fine anni ’60 – al trombone solido e corposo di Roberto Rossi. Gli ospiti, va aggiunto però, hanno modo di esprimersi al meglio perché sostenuti da un’orchestra abile nel mettersi al servizio del solista, ma anche di esprimersi con assolo e sezioni sempre calibrate al meglio.


E, alla fine, resta il dilemma se sia davvero un omaggio per il compleanno o un altro tassello di una storia: in realtà, il punto cruciale è nel mestiere, nel saper puntare al proprio obiettivo, nella capacità di farsi artigiano della propria espressione, di “cucirla addosso agli altri”, come si diceva sopra, e trovare sempre gli strumenti necessari per farlo.



Segui Fabio Ciminiera su Twitter: @fabiociminiera