Marco Colonna MC3 – Our Ground. Live in Rome

Marco Colonna MC3 - Our Ground. Live in Rome

28Records – 2015




Marco Colonna: clarinetto basso, sax tenore

Fabio Sartori: organo Hammond

Stefano Cupellini: batteria






Our ground è un terreno di sintesi tra improvvisazione radicale, blues, melismi mediorientali e anima groovy. Il disco è stato registrato dal vivo nell’aprile 2014 al 28DiVino Jazz Club di Roma e rappresenta la prima uscita discografica dell’etichetta legata allo stesso club, la 28Records.


Se la prima influenza riportata dal sassofonista nelle note interne al booklet è il suono della Blue Note, le otto tracce presenti nel disco – sette originali e l’ellingtoniana Come Sunday – rivelano la strada percorsa insieme dai tre musicisti attraverso riferimenti e ascolti, attraverso modalità e intenzioni espressive. Un continuo andirivieni tra tradizione e ricerca, tra forma e libertà, tra concetti presenti sin dagli albori del jazz e tentativi di sovvertire quegli stessi concetti per liberarsene. E, ascolto dopo ascolto, emerge l’intenzione di lasciar fluire il suono verso direzioni impreviste ma non per questo non volute o cercate: anzi, il filo logico del disco è dato dalla possibilità di scartare di lato che il trio si concede nel corso del concerto e viene riportata nelle tracce che ascoltiamo.


Se si considerano la composizione del trio e il percorso di Colonna, si nota immediatamente come l’accostamento di clarinetto basso e organo Hammond diventino una chiave per la costruzione del materiale da interpretare. La liquidità dell’Hammond, la libertà conferita alla batteria dall’assenza del contrabbasso, il registro grave del clarinetto basso e l’attitudine radicale di Colonna si uniscono in una conformazione inconsueta non tanto nel disegno sonoro quanto nell’approccio complessivo.


Il ragionamento di Colonna, Sartori e Cupellini è, allo stesso tempo, semplice e profondo. Segnare il punto sulla musica di oggi, cercare il “terreno comune” ai tre interpreti, ma anche ai tantissimi stimoli musicali, e non solo, ricevuti oggi da ciascuno di noi. Ed è effettivamente quello che il disco rimanda all’ascoltatore: una musica che tiene conto di riferimenti vicini e lontani al nostro tempo, esperienze magari contrastanti tra loro all’epoca dell’apparizione, ma sedimentate oggi dalla consuetudine all’ascolto e dall’essere diventate a loro volta tradizione. E nel terreno comune troviamo generi e stili diversi, la presenza del rock classico a fianco delle varie stagioni del jazz, la disinvoltura di usare i linguaggi per arrivare alla propria espressione e la disposizione a non rimanere ancorati, al contrario, ai criteri e ai canoni imposti da quegli stessi linguaggi.


Suonato – vissuto, verrebbe da dire – con la partecipazione tipica dell’esibizione in un club, Our Ground restituisce il calore e l’esigente accoglienza di un pubblico che sta a due metri dal palco, che scruta il musicista, spettatori ai quali non si può davvero sfuggire. E restituisce, soprattutto, l’affinamento dovuto ad una serie di concerti e, quindi, un interplay immediato e tale da rendere possibili tutti vari movimenti della musica. Ed è necessario avere sul palco un trio affiatato e, allo stesso tempo, convinto del proprio discorso per accostare cavalcate furiose e aperture psichedeliche in poche battute, per infilarsi in assolo ruvidi come accade in Piccola Venere e Addiction o accarezzare le sponde africane in Mzungo o respirare tutte le atmosfere del blues, del gospel e, in generale, della musica afroamericana che ritroviamo in Blues for Fil e Come Sunday. Naturalmente, nessuna suggestione viene completamente sganciata dal resto del processo portato avanti dal trio, la ritroviamo “sporcata” e trasformata dalla voce del trio, dalla continua disposizione al movimento, dalla persistente volontà di misurare e confrontare suoni ed espressioni. Ed è la costante convergenza operata da Marco Colonna, Fabio Sartori e Stefano Cupellini a dare un senso al disco, a far diventare il flusso di pensieri musicali portato sul palco un consistente “terreno comune”.



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