Albore Jazz – ALBCD 025 – 2015
Barend Middelhoff: sax tenore
Massimo Morganti: trombone
Niccolò Menci: pianoforte
Un repertorio costruito nel rispetto della tradizione. Una formazione molto meno consueta e, soprattutto, molto esigente. Una dedizione continua e appassionata alla melodia, alla linearità dell’esposizione.
Pianoforte, trombone e sax tenore – senza ritmica – costituiscono un ensemble con ampi margini di libertà, ma costringono allo stesso tempo i tre ad un costante supporto reciproco e ad un ascolto attento. È la chiave scelta da Barend Middelhoff, Massimo Morganti e Niccolò Menci per garantire l’equilibrio della musica: una libertà utilizzata per ampliare le possibilità degli interpreti, “costretti” ad articolare le frasi per garantire sempre comunque la gestione ritmica e armonica del discorso.
Barend Middelhoff, autore dei cinque brani centrali del lavoro, sembra voler giocare sul filo della difficoltà creata dal rispetto dei canoni espressivi del jazz con un combo simile. Sono brani che proseguono il discorso avviato dalle canzoni scelte per l’apertura, vale a dire due standard come Nothing to lose di Henry Mancini e Angel Eyes di Matt Dennis: composizioni concepite nell’alveo del mainstream, tenendone presenti le dinamiche e le motivazioni e cercando i riferimenti nel blues e nello swing. Il punto è ricreare, suggerire, sfruttare gli spunti dei brani con la “trazione anteriore” del combo, privo del sostegno della ritmica. I temi diventano così utili punti di partenza per le improvvisazioni dei tre, ma anche per contrappunti e risposte, gestite in maniera fluida e filante.
La conclusiva Musiplano – firmata da Morganti e già presente nell’omonimo disco del trombonista – affronta invece le attitudini più corali del trio: più eccentrica rispetto al resto del disco, disegna atmosfere più aperte, dove i tre possono intervenire maggiormente sulle sospensioni e sugli echi innescati dalle frasi. Senza il bisogno di dover evocare la ritmica, anzi utilizzando un passo differente rispetto agli altri brani, la composizione di Morganti mette in luce una ulteriore sfaccettatura del combo.
The Cause of the Sequence mette in luce perciò una soluzione praticabile al rapporto del musicista odierno con le tradizioni del jazz. Se la composizione e l’approccio generale proseguono il percorso dei grandi maestri del passato, la formula particolare scelta per dare corpo alla formazione sposta accenti e coinvolge nuove possibilità. A tutto questo va poi affiancato il valore portato dalle personalità dei singoli interpreti, la dialettica dei rispettivi rapporti con la tradizione, già mostrato nelle precedenti prove discografiche e nei concerti. Se appare abbastanza improbabile che una composizione dei nostri giorni diventi uno standard, è senz’altro plausibile scrivere musica che tenga presente le matrici che hanno caratterizzato i brani più celebrati ed eseguiti della storia del jazz, le qualità che li hanno fatti scegliere all’interno del songbook dei musical e risaltare come veicolo per le improvvisazioni di generazioni di solisti. Middelhoff, Morganti e Menci procedono così secondo il passo disegnato dalle orme dei giganti in una riflessione musicale sulle strade ancora disponibili all’interno del linguaggio, senza bisogno di dimostrare alcunché, ma senza, allo stesso tempo, costringersi in un ruolo subalterno o imitativo.
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