Brass Bang! @ Asti Musica

Foto: Fabio Ciminiera










Brass Bang! @ Asti Musica

Asti – 6.7.2015



Paolo Fresu: tromba, flicorno

Steven Bernstein: tromba, slide trumpet

Gianluca Petrella: trombone

Marcus Rojas: tuba, percussioni

La ventesima edizione di Asti Musica in questo inizio di un mese di luglio caldissimo. I rossi mattoni del fianco sud della Cattedrale, nella cui piazza si tengono i concerti, paiono accentuare la torrida atmosfera.


Dopo il calar del sole cederanno meno calore rispetto ai policromi marmi; in quel momento sarà la musica del quartetto di Paolo Fresu a ri-scaldarci. Stasera suoneranno con Paolo, alla tromba e flicorno, Steven Bernstein, tromba e slide-trumpet, Gianluca Petrella, trombone, Marcus Rojas, tuba e percussioni. All Brass, tutti ottoni.


Alla prova dei suoni – poco dopo le 18 – nel mare di bianche sedie siedono due o tre persone. Sul palco, i musicisti e gli addetti all’amplificazione ed alle luci ed un iper-attivo Luca Devito, il road-manager; nello spazio sotto palco si aggira, per qualche scatto insolito, il “big dell’immagine” Roberto Cifarelli, immancabile quando ci sono grandi eventi jazzistici.


C’è l’accenno iniziale e del finale di un paio di pezzi, è subito il momento di un divertente imprevisto: Gianluca cerca, e non trova, la “plunger” per provare un passaggio sordinato sul trombone.


Nulla da fare, la sordina non c’è. Si passa a provare un altro brano e, dopo una decina di minuti, arriva sul palco, in mano ad una avvenente, bionda, signora un fiammante sturalavelli con campana di gomma arancione e manico di legno. Gianluca rimuove, svitandolo, il manico di legno ed ecco fatto: la “plunger” è “pronta” all’uso. Sospiro di sollievo e buonumore.


Al termine della prova, grazie alla disponibilità di Paolo, ho modo di poter conversare con lui, in modo molto rilassato, per quasi mezz’ora. Abbiamo alcune cose da dirci, non è la prima volta che lo incontro, ed egli mi parla molto confidenzialmente di un paio di suoi progetti futuri; non li rivelerò, glie l’ho promesso. L’umanità di questo sommo musicista è sconfinata, per cui merita, oltre la stima artistica, un grande rispetto come persona.


Lascio il back stage mentre Marcus Rojas, in un fresco angolo del salone, sta provando impossibili passaggi sui registri acuto e grave. Ricordate il film Fantasia di Walt Disney nell’episodio in cui ballano gli ippopotami?


La tuba imbracciata con leggerezza da Marcus pare, nell’immaginario, un ippopotamo avvinghiato da decine di serpentelli. Fuori, seduti all’ombra nel patio, Gianluca e Steven si confrontano parlando, in inglese, mentre le mani si muovono su invisibili strumenti, mimando posizioni di coulisse.


Prima delle ventuno e trenta il mare di bianche sedie si è trasformato in un ondeggiante marea di signore vestite di sgargianti colori che staccano dalle leggere, candide camicie maschili. Pubblico folto, animazione che tradisce l’attesa del concerto, aperto di lì a poco da una brava cantante italo-iraniana, accompagnata da un trio cordofono composto da chitarra, violoncello e contrabbasso. Alcuni brani, belli, di cui sono anche autori, e poi si chiude, ad evocare atmosfere orientali, con un’ottima esecuzione di Samarcanda di Roberto Vecchioni.


Non si sono ancora spenti gli applausi che dal fondo della platea echeggia uno squillo di tromba. Tutti si voltano e vedono il “brass quartet” che, in corridoio, avanza a piccoli passi, gli occhi negli occhi di ciascuno, con un dialogo strumentale del tutto improvvisato, ricco di glissando, di effetti e di contrappunti. Una esplosione di ottoni, un richiamo alla banda paesana se vogliamo, ma diverso, dall’incedere alle sonorità, più adatte a creare atmosfera che non generare gioiosa allegria.


Arrivato nella zona sottopalco il dialogo musicale del quartetto si fa più fitto, per stemperarsi in un ricco finale chiuso, in modo molto leggero, dalla voce della tromba di Paolo.


Il tempo di salire sul palco fra gli applausi vivaci del folto pubblico ed il concerto ha inizio, con un “buoona sèera” stentoreo, ed uno stacchetto in italiano, ironico e maccheronico, da parte di Steven Bernstein, unico calvo, che dice di avere i capelli con la frangia.


Forse perchè in lingua inglese, meno ricca dell’italiano, la parola “bang”, oltre che esplosione, significa anche frangetta: appunto.


Il primo brano è di Duke Ellington, Black and Tan Fantasy, ed i quattro danno subito prova della loro grandezza. L’impasto di suono è sublime, e sul fondo armonico di tromba, flicorno e trombone, la tuba di Marcus, con l’immancabile panama bianco in testa, intesse un merletto melodico delizioso. Quando entrano poi tromba, e flicorno e trombone in singolo, il suo sostegno ritmico evoca, se chiudi gli occhi, un… contrabbasso.


Cool sound odierno di un brano stupendo, nato più di vent’anni prima della nascita del Cool Style storico; ma certe rivisitazioni offrono appunto piacevoli sorprese coloristiche. Verso il finale del concerto si farà ritorno a Duke; con un Rockin’ in Rhythm, molto di atmosfera in apertura, con enigmatici stacchetti anche in controcanto. Non difettano di certo colori tonali ed effetti “growl” tra flicorno, trombone e tuba, ma anche la slide-trumpet fa capolino: una vera delizia.


Il rock autentico, quello dei Rolling Stones, As Tears Go By, e quello di Jimi Hendrix, Manic Depression, considerato in maniera nuova, quasi classica, con sonorità bachiane il primo, di minuetto il secondo a far comprendere che anche brani moderni hanno solido contenuto: e possono permettere letture fantasiose, effettistiche, ed anche di rigore stilistico, da parte di coloro conoscono a fondo la musica e sanno interpretarla al meglio. Una considerazione validissima anche per la lettura di Zero, di Lester Bowie.


Nel finale Paolo dedica No Potho Reposare a Giorgio Faletti, che ormai non è più nella sua Asti, ed al suo omonimo Paolo Fresu, valentissimo e vivente pittore, che qui in Asti dimora, e che – dice – di non conoscere ancora personalmente. Il brano, di Sini e Rachel, è molto suggestivo e la voce del flicorno suscita molta commozione, quindi significativi applausi, da parte di un pubblico piuttosto attento e soddisfatto di tutto quanto ascoltato stasera.


L’immancabile bis, d’atmosfera è ovvio, è una magnifica esecuzione di Guarda Che Luna di Fred Buscaglione – anche lui di queste terre – e si ritorna felicemente, e stilisticamente, ai pezzi di apertura del concerto.


Poco dopo, nel back stage dove sono ritornato per i saluti di commiato, conoscerò anch’io Paolo Fresu pittore: stanno amabilmente conversando, i due Paolo e li saluto entrambi, ringraziando, in omaggio alla loro arte.


Mentalmente mi scopro a “valutare” quel che già è stato frutto d’ascolto del bellissimo Brass Bang, CD della Tuk Music 2014, per concludere che la musica dal vivo contiene sempre quel qualche cosa in più che non deriva solo dall’immediatezza. Compriamo pure i dischi ma, se possibile, non manchiamo ai concerti.