Frode Haltli – Vagabonde Blu

Frode Haltli - Vagabonde Blu

Hubro Music – HubroCD 2546 – 2014




Frode Haltli: fisarmonica






A seguire il cameristico Looking on Darkness, l’animato ed esoterico Passing Images e il duale Yeraz (e, al di fuori dell’area ECM, la meno nota e più recente integrale delle composizioni di Arve Nordheim), Vagabonde Blu è istantanea ripresa di una performance in solo del dotato visionario avant-garde e dell’esploratore del potenziale dello strumento, null’affatto confinato a colorire rustiche danze o caserecce convivialità, vantando anzi non soltanto in terra nordica più filoni di crescita identitaria e in ambito jazz ben più che una manciata di solidi interpreti di ormai solida e lievitante personalità.


«In qualità di performer primariamente acustico, io lavoro sempre sfruttando l’acustica e la sala: quest’ultima qui è una controparte talmente attiva da modificare radicalmente la mia musica e la mia esecuzione. Io ascolto, e attendo, o suono all’offensiva – cosicché diventa difficile determinare se un suono viene fuori dal mio strumento, da un’eco, una combinazione tra essi, o semplicemente da uno spettatore che per caso sfiora la sua giacca» – non particolarmente originali, magari, le considerazioni di Haltli, che comunque utilmente ricordano dell’aleatorietà e dell’unicità interattiva tra musicista e ambiente, alquanto saliente in questo caso date le peculiari caratteristiche della sala Vigeland, suggestivo ambiente a volta nell’omonimo museo, provvisto di allegorici ed oscuri affreschi e generante singolari riverberazioni acustiche.


Riscontrato qualche sfavore critico sull’album-performance, ciò che ha pagato meno è probabilmente l’apparente presa di distanza dai materiali a propria firma per abbordare opere “scritte” dei contemporanei Sciarrino, Clementi e Nordheim – ma ciò non sembra apportare deviazioni o snaturamenti all’arte del sensibile e creativo accordionista.


Nell’esposizione dello sciarriniano, eponimo Vagabonde Blu, la discorsività dello strumento espande e dilata le traiettorie di una visione drammatica di remote apocalissi, articolate su un rapsodico, agonico respiro; di Flashing, brano a firma di Nordheim particolarmente studiato, praticato e vivisezionato già da appassionato studente, si esaltano le scintillazioni violente e le cosmiche implosioni; da Aldo Clementi, Ein kleines… dipana un clima raccolto e “naturalmente” ecclesiale, apparentemente il momento meno drammatico della concisa raccolta, di sentire misterico e tangibile portata meditativa (una volta tanto, non solo per dire).


Per l’ennesima volta confermando come l’acusticità più spoglia e in purezza possa toccare risonanze proprie del più remoto suono sintetico, Haltli è sempre più talentuoso e spregiudicato animatore della macchina-accordion piegandone il corpo percussivo e le più recondite camere d’aria, interagendo con suggestive ariosità di frizzante sentore elettronico, animando un sound complesso e spesso imprevedibile, che si screzia e s’incrina per nervose crepe anti-armoniche, facendosi portatore anti-accademico, con il valore aggiunto e peculiare di una plurisecolare sensibilità nord-europea, di una visionarietà che capta lo spirito dell’avanguardia per cimento e (alternativo) rigore.



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