Foto: Fabio Ciminiera
I Concerti nel Parco 2015
Roma, Villa Doria Pamphili – 10-24.7.2015
La venticinquesima edizione del Festival I Concerti nel Parco presenta nel mese di luglio un cartellone che, come da tradizione, prevede spettacoli musicali e teatrali ben selezionati. Per il secondo anno consecutivo uno dei nomi di spicco è nuovamente quello di Paolo Fresu, lo scorso anno in compagnia del suo storico quintetto, mentre quest’anno in testa ad un quartetto di soli ottoni. Un gruppo nato dai vari incontri tra musicisti in giro per i festival, messo su quasi per caso e via via diventato una solida realtà, con l’uscita nella seconda metà del 2014 di un disco molto apprezzato. I Brass Bang! sono completati da tre strumentisti diversi per stile e formazione, con la poliedrica tromba di Steven Bernstein, che alterna anche la desueta ma efficace tromba a coulisse, il trombone del sempre geniale Gianluca Petrella e la tuba di Marcus Rojas, ottimamente coordinati e guidati dalla più lirica tromba e flicorno di Fresu. E saranno proprio i caratteri diversi dei quattro ad essere il fulcro per la buona riuscita dell’inedito ensemble che ricorda il modello, in versione ridotta, delle marching band di jazz tradizionale di New Orleans come anche la Brass Fantasy messa su negli anni ’80 da Lester Bowie. Ed è proprio a lui che i quattro dedicano l’inizio del concerto con una rivisitazione di un suo brano, Zero, preceduto da un movimento tratto dall’opera di Handel Musica per i reali fuochi d’artificio. I brani proposti lungo tutta la serata ricalcano quelli racchiusi nel disco, dimostrando una estrema versatilità dei quattro nell’accostare musiche ed epoche apparentemente lontane: si passa da Pierluigi Da Palestrina a Jimi Hendrix, dai Rolling Stones alla canzone italiana e a brani originali con estrema disinvoltura senza il rischio di essere ordinari, con un repertorio comunque non molto noto ai più. Il lavoro sporco tocca inevitabilmente a Rojas, vero motore del gruppo, che con un instancabile giro di basso alla tuba detta i tempi ai tre compagni di avventura, bravi nell’intrecciare i suoni dei loro strumenti diversi e riconoscibili. In mezzo anche tanta ironia con gag e letture di brevi passi recitati da Bernestein in un italiano maccheronico ad allentare un’attenzione comunque necessaria per poter al meglio apprezzare uno show ricercato e articolato fino all’ultimo brano. I quattro convincono e divertono, e con la popolare Guarda che luna, proposta come bis, entusiasmano finalmente anche un pubblico piuttosto ingessato che si aspettava probabilmente un repertorio più leggero.
Il pianista americano Uri Caine, particolarmente apprezzato in Italia, ha concluso degnamente questa edizione di concerti dedicati al jazz di in un omaggio al grande compositore del novecento George Gershwin. Dopo le rivisitazioni dei grandi della musica classica e della musica afroamericana, dal mainstream fino ai temi più attuali, la curiosità per un approccio come di consueto del tutto personale era davvero tanta, anche per i nomi che figuravano in formazione, in una raccolta dei solisti che hanno negli anni frequentato i gruppi del pianista. In una front line che vede Ralph Alessi alla tromba, Chris Speed al sax tenore e clarinetto e Joyce Hammann al violino, e con una ritmica quanto mai varia formata da Mark Helias al contrabbasso e Jim Black alla batteria, Uri Caine riprende alcuni passaggi più celebri scritti da Gershwin stravolgendoli e dilatandoli, in un terreno ideale per ripercorrere tutti gli stili musicali che hanno caratterizzato il secolo scorso. Il pianista scopre le carte fin dal primo brano proponendo una lunghissima Rhapsody in Blue, contaminata con eleganza e maestria da una serie di elementi che le rendono una luce del tutto nuova ma ugualmente affascinante. Ed infatti, fin da subito, si può cogliere facilmente la meravigliosa capacità di Caine nello scrivere degli arrangiamenti che sintetizzano appieno la sua arte: il pianista infatti è superbo nel rispettare la scrittura originale, inserendo momenti di puro free accanto a quelli più blues fino allo stride, lasciando nel contempo libero spazio alle improvvisazioni dei suoi bravi e fidati musicisti. Dalle prime battute, però, ci si accorge che i volumi non sono per nulla ben calibrati, con i solisti che faticano a far sentire le loro voci, sempre coperti dalle pelli e dalle corde di una ritmica sempre sostenuta. Sensazione ancor più marcata con l’entrata in scena dei due cantanti, Barbara Walker e Theo Bleckmann, le cui voci escono separate dai due canali in un effetto che inevitabilmente li penalizza non poco. Con loro la musica cambia totalmente mood diventando più morbida e patinata, con i musicisti che si mettono al servizio dei cantanti che aprono con un classico duetto sulle note di Let’s Call The Whole Thing Off, e poi si alternano in brani comunque noti di Gershwin in cui spicca una bella versione di But Not For Me. Un concerto dove, soprattutto nella prima parte, si possono apprezzare ancora una volta le doti di un Uri Caine che non tradisce mai, sia come pianista che come profondo conoscitore e studioso della musica più colta, in una serata purtroppo condizionata dagli imprevisti tecnici, ma che rimane nonostante tutto preziosa, rapendo senza difficoltà ogni tipo di ascoltatore.