Giacomo Uncini Quartet – Indian Summer

Giacomo Uncini Quartet - Indian Summer

Notami Edizioni – NJ014 – 2015




Giacomo Uncini: tromba, flicorno

Giulio Carmassi: pianoforte, tastiere, voce, percussioni

Carlo Petruzzelis: chitarra

Gianludovico Carmenati: contrabbasso

Massimo Manzi: batteria







Pat Metheny è senz’altro una delle icone del jazz degli ultimi decenni. Sia dal punto di vista stilistico, con la riconoscibilità del suo suono di chitarra, con la sintesi melodica e espressiva delle sue frasi e delle composizioni realizzate in prima persona e con Lyle Mays, quanto dal punto di vista iconico, con la sua capigliatura e le magliette a righe, con il suo carisma. Personaggio conosciuto al grande pubblico tanto da arrivare ad essere presente anche nelle definizioni dei cruciverba.


Giacomo Uncini e Carlo Petruzzellis scelgono di eleggere il chitarrista statunitense come classico di riferimento: istituzionalizzato da una carriera ormai quarantennale, Metheny è protagonista di una ricerca pressoché unica e sempre spinta, anche negli episodi meno fortunati, da curiosità e grande coerenza complessiva. Indian Summer non è un omaggio o un tributo anche se, indubbiamente, risente del suo nume tutelare e non solo per la presenza nel disco di Giulio Carmassi, il polistrumentista scelto per una delle ultime manifestazioni del Pat Metheny Group. Nei brani composti da Uncini e Petruzzellis ritroviamo, per scrittura e approccio generale, una visione attenta a fondere melodia e tradizione del jazz, sguardo ai richiami etnici e modernità elettrica. Una linea che muove dal Brasile, si arricchisce dell’espressività degli spazi aperti dal pianoforte, in un richiamo al tanto celebrato MidWest, preferisce una gestione ritmica leggera ma sempre pulsante, una spinta incalzante ma discreta, riprende le trasformazioni sempre in corso nel jazz per formalizzarle in brani di ampio respiro e attenti alla cantabilità.


Sin dall’apertura del disco – affidata all’unico brano non originale del disco, vale a dire Sing me softly of the Blues dal repertorio di Carla Bley – la formazione cerca una propria sintesi di quel modello, aggiornando il modus operandi all’attualità: avviene, in pratica, uno spostamento di prospettiva, lo sguardo si poggia in maniera differente sulle cose, grazie al tempo passato, alle esperienze maturate dai singoli musicisti, al gusto, alle intenzioni e alle inclinazioni dei cinque, alla stessa provenienza geografica e, perché no, alla “mediterraneità” dei nostri. E non è un caso, forse, che il brano più incline a certi stilemi methenyani sia proprio intitolato Mare Nostrum.


Le nove tracce del disco offrono perciò alla formazione il destro per esprimere una musica ben suonata, controllata negli equilibri generali e capace di muoversi con gusto all’interno del riferimento scelto, senza, cioè, ricalcarne con fare acritico i passi, ma utilizzandolo come punto di partenza, presente ma non troppo ingombrante.


Nove temi in grado di mettere in evidenza tanto le qualità dei singoli quanto la ricerca di un suono di insieme, di far leggere in trasparenza, ascolto dopo ascolto, l’architettura stratificata dietro le melodie e l’attenzione prestata dal trombettista ad inserire, sul binario principale, le ispirazioni e lo stile maturato fino a questo momento della sua carriera e la personalità di ciascun musicista.



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