Joao Lencastre’s Communion – What is this all About?

Joao Lencastre's  Communion - What is this all About?

Auand Records – AU9044 – 2014




João Lencastre: batteria, prophet synth

David Binney: sax alto

Phil Grenadier: tromba

Jacob Sacks: pianoforte

André Matos: chitarra

Thomas Morgan: contrabbasso

ospiti

Sara Serpa: voce

Tiago Bettencourt: voce

Ary: modular synth efx

Benny Lackner: wurlitzer





Nella sezione biografica del suo sito il batterista portoghese Joao Lencastre dichiara i suoi tanti debiti musicali. Ha suonato infatti rock d’avanguardia, world music, afro beat e tanto altro, ovviamente oltre al mainstream jazz e a quello sperimentale.


Questo disco conferma, fin dal primo ascolto, quanto sia vasto l’orizzonte artistico del musicista di Lisbona.


Un esempio per tutti potrebbe essere la terza traccia, Kubrick, dedicata al regista statunitense, aperta da un tema drammatico esposto dai fiati su un turbolento fondale della ritmica. Al termine di questa esposizione Jacob Sacks, Andrè Matos e il leader basso ed improvvisano una sequenza astratta che aleggia fra il jazz e la musica contemporanea, alla Richie Beirach. Probabilmente in questi primi minuti c’è un omaggio a Georg Ligety le cui musiche il grande regista utilizzò in Eyes Wide Shut. Dopo la ripresa del tema è il turno di David Binney che propone un lungo solo pieno di feeling jazzistico, un po’ coltraniano, che viene chiuso dalla ripresa del tema.


Questo schema, riff potenti e libere digressioni dei musicisti, è l’impronta di quasi tutto l’album. Tuttavia nelle varie tracce non si avvertono mai ripetizioni né, tanto meno manierismi. Lencastre lascia emergere dalle tante stratificazioni del suo percorso musicale situazioni sempre interessanti: dalla polifonia quasi free della prima traccia, View Over the Palace, alla lancinante sequenza corale del brano eponimo What is this all About? in cui i vari strumenti danno vita ad un dialogo appassionato e pieno di malinconica tensione.


La musica di Lencastre ha in effetti, spesso un registro drammatico. Non è forse banale parlare di una certa qual “saudade” jazzistica, di qualche sedimento di fado, nella sua scrittura.


La quinta traccia è una rilettura di Opus 39. N.9, un valzer di Brahms, giocata nella classica formazione del trio piano, basso, batteria. Un’altra prova della “voracità” musicale del nostro.


Un buon disco, in cui scrittura e improvvisazione si equilibrano molto bene. Un disco ricco di bei momenti solistici. Nutrito di una vena poetica importante, ma anche piacevole da ascoltare. Immerso nella tradizione del jazz moderno, senza diventare mai un mero esercizio stilistico.