Foto: La copertina del libro
Franco Bergoglio. Sassofoni e Pistole
Arcana Jazz, 2015
Storia delle relazioni pericolose fra jazz e romanzo poliziesco.
Fin dal suo primo libro – Jazz. Appunti e note dal Secolo breve – Franco Bergoglio ha sempre indagato il jazz come colonna sonora del ventesimo secolo, un’epoca in cui i confini fra arte “alta “ e cultura popolare hanno cominciato a sfrangiarsi e a divenire particolarmente incerti. In questo suo ultimo lavoro lo scrittore torinese affronta, come dice chiaramente il titolo, il rapporto fra la letteratura “noir” – o gialla, o thriller – e la musica afro-americana.
Chiariamo subito: Sassofoni e pistole è tutt’altro che una dissertazione accademica sugli incroci fra i due mondi. È invece un testo divertente «una folle raccolta di memorabilia comprendente scrittori, artisti, libri e canzoni» nella quale l’autore si cala nei panni di un qualche detective («Ho caricato la pipa, indossato impermeabile e cappello e mi sono gettato nella Jungla.») Dopo un lungo viaggio in un labirinto di locali fumosi ed equivoci (magari gestiti da gangster spietati), obitori, studi di detective privati presidiati da segretarie procaci, riemerge con in mano le prove del suo assunto iniziale. Jazz e letteratura hanno fra loro strettissimi legami. Le prove sono raccolte in una sterminata bibliografia finale da esibire davanti al giudice. Bibliografia che dimostra come il torbido mood della musica afro-americana non abbia mietuto vittime solo oltre-oceano, ma anche fra gli scrittori italiani, francesi, scandinavi, inglesi e via dicendo. Magari si tratta spesso d’indizi più che di prove ma alla fine la loro massa è tale da schiacciare qualsiasi argomentazione contraria. Anche perché le testimonianze sono vagliate con puntiglio e attenzione, libro per libro, citazione per citazione.
A dire il vero, via via che procede l’escussione dei testimoni, il lettore ha la piacevolissima sensazione di trovarsi davanti a una di quelle bancarelle di vecchi libri nelle quali si finisce sempre per trovare una rarità, una chicca, un volumetto di cui non si conosceva l’esistenza. Una bancarella in cui si trovano insieme, senza necessità di scaffalature, Umberto Eco e Chester Himes, Andrea Camilleri e Theodor Adorno, James Ellroy e tanti gialli Mondadori. Una bancarella che propone anche centinaia di dischi, magari di quelli non riascoltati per troppo tempo.
È così che alla fine si legge questo libro. Con quello spirito disordinato e vitale del bibliofilo (e audiofilo) che s’incuriosisce a tutto e sogna di tutto. Quello spirito che i dotti chiamano post-moderno. Ci si sorprende, quindi, mentre si dovrebbe pensare a scrivere una credibile recensione, a chiedersi, non del tutto congruamente, quale sia il jazzista più citato nella letteratura poliziesca (Miles, sembra di capire). Oppure a chiedersi perché nessuno ha ancora scritto un noir sulla morte di Lee Morgan o su quella, tuttora misteriosa, di Jaki Byard.
Con lo scrupolo del bravo detective Bergoglio cita anche i testimoni contrari alla sua tesi. Le loro pur dotte dissertazioni non toglieranno tuttavia al jazzofilo incallito la voglia d’immaginare Hearl Hines che suona in qualche locale nascosto della Chicago proibizionista, al soldo di Al Capone, o di immaginare un inseguimento automobilistico, in una qualche città nord-europea, scandito dallo scorrere di Kind of Blues.