Let Ring, l’esordio discografico di Marco Fior & Avant Orchestra.

Foto: la copertina del disco










Let Ring, l’esordio discografico di Marco Fior & Avant Orchestra.


Let Ring è un progetto dal sapore “antico” e dalla consistenza moderna. Una big band, l’Avant Orchestra, che suona compatta e spedita, con un forte senso dello swing e un timbro ben definito. Marco Fior ne fa parte, suona la tromba, ma è anche la guida, l’autore dei brani e l’arrangiatore. La musica l’ha pensata, anzi, l’ha “cucita” addosso l’orchestra, e questo si “sente” ed è palese all’ascolto. Ha reso la band un team coeso dove gli assolo sono armonici e integrati con le trame dell’orchestra. Il risultato è un jazz raffinato e godibile, frutto di composizioni efficaci e dal sound diretto e riconoscibile.



Jazz Convention: Marco Fior, tu sei un trombettista e compositore. Come e quando è nata l’esperienza Avant Orchestra?


Marco Fior: L’ Avant Orchestra nasce più di dieci anni fa per volontà (o per necessità, forse) di un gruppo di colleghi e amici jazzisti che, avendo nel tempo maturato esperienze diverse (e in qualche caso comuni) all’interno delle molteplici realtà del jazz, a un certo punto ha avvertito l’esigenza di trovarsi insieme per crearne una propria, collettiva, in cui quelle esperienze, e le visioni di ognuno, si incrociassero per fondersi in una realtà nuova e autonoma.



JC: … e la scelta dei musicisti?


MF: La scelta dei musicisti è stata molto naturale: per quanto riguarda il nucleo iniziale ci siamo formati, e trovati, nel contesto dell’ orchestra Civica di Jazz diretta da Enrico Intra. L’occasione di suonare con personaggi del calibro di Markus Stockhausen, Max Roach, Giorgio Gaslini, Bob Brookmeyer, Wayne Marshall, ha sicuramente segnato quel “gregge” che già nel 2004 era particolarmente agguerrito e motivato, e da cui è scaturita l’idea Avant. Nel corso degli anni si sono aggiunti all’organico altri bravissimi musicisti che condividevano con noi la stessa visione e la stessa passione per le big band. Niente affatto secondarie si sono rivelate, in questo senso, la stima reciproca, la profonda amicizia e l’intesa che ci lega da anni.



JC: Nelle note al disco parli di un sogno personale…


MF: Personalmente ho iniziato, da ragazzino, a imparare a leggere la musica, improvvisare e conoscere da vicino il linguaggio jazz proprio all’interno delle big band. Quel suono e quei colori mi sono rimasti dentro fin da allora: ho sempre desiderato comprenderne i meccanismi ed imparare a scrivere per questo tipo di formazione, così ho cominciato con lo studio delle partiture e mi sono perfezionato con vari corsi di scrittura e arrangiamento. Con Let Ring penso di aver realizzato quel sogno che inseguivo fin da adolescente, grazie anche e soprattutto allo straordinario apporto dei musicisti con cui collaboro da anni.



JC: Quando hai messo in piedi la band avevi in mente altre orchestre che appartengono al presente e al passato del jazz?


MF: Ovviamente sì! Quelle imprescindibili di Ellington e Basie con particolare riguardo ai loro arrangiatori; la firma inconfondibile del Duca, di Sammy Nestico, Neal Hefti, il grande Quincy Jones di cui apprezzo anche l’attività di produttore, la Gil Evans Orchestra, e tra le attuali la Big Phat Band di Gordon Goodwin, Maria Schneider, Dave Holland. Su tutti (anche se la sua attività discografica in fatto di big band è piuttosto ridotta), Charles Mingus, di cui apprezzo la maniera di scrivere, la creatività e lo stile cui dirigeva le proprie formazioni.



JC: Cosa significa guidare un’orchestra jazz oggi? Poi con tanti elementi…



MF: È un’esperienza impegnativa ma allo stesso tempo esaltante. Gestire (tante) teste diverse a livello creativo, performativo e organizzativo può essere a volte faticoso, e gli spazi per suonare sono molto ristretti sia in termini di visibilità che di impiego. Capita raramente infatti di vedere una big band in azione: nonostante questo tutte le volte che suoniamo otteniamo un fortissimo riscontro da parte di pubblici anche non avvezzi al jazz. Penso che sia molto bello vedere quindici musicisti sul palco che si divertono e riescono a divertire suonando jazz.



JC: Hai scritto e arrangiato tutti e sette i brani di Let Ring, dall’Intro To-Totò a Son-g I. Raccontaci brevemente le fasi di creazione e realizzazione…


MF: La fase di creazione dei pezzi parte da un’esigenza personale di scrittura delle idee musicali che ho immagazzinato in questi anni, una scrittura “à la” Ellington che pensasse all’insieme tenendo fortemente conto delle personalità e delle caratteristiche dei singoli musicisti che compongono l’orchestra. Let Ring, in questo senso, è un disco scritto e pensato appositamente per l’Avant Orchestra, proprio come faceva Ellington con le sue composizioni. In onor di tradizione è anche il modo in cui è stato scritto e concepito questo disco: a mano, al pianoforte e senza l’ausilio dei moderni programmi di arrangiamento e composizione. Questo non tanto per velleità personale quanto per il mio complicato rapporto con la tecnologia informatica, a dire il vero. Sento poi di dovere un grazie particolare ai miei maestri Roberto Spadoni e Bruno Tommaso che mi hanno spronato a scrivere e a rincorrere fino a trovare una cifra stilistica che fosse veramente autentica e veramente “mia”.



JC: Che definizione dai del jazz suonato in Let Ring?


MF: Let Ring è legato indissolubilmente alla tradizione delle big band che hanno fatto grande la storia del jazz, con particolare predilezione per quelle black. Quindi solida tradizione, grande attenzione al fattore ritmico e l’idea di usare la big band anche facendo suonare solo la ritmica o addirittura uno strumento singolo. Attenzione ai colori timbrici e, mi ripeto, alle peculiari personalità dei singoli musicisti



JC: Il disco reca una dedica speciale. Ce ne vuoi parlare?


MF: Il disco è dedicato a Giovanni Pesce, il comandante partigiano “Visone” che ha operato a Milano portando a compimento una serie di importanti azioni a danno dei nazisti e del regime. Un esempio di coraggio, umiltà, umanità e coerenza che arriva dal basso: la storia di Davide che sconfigge Golia, insomma, e a cui sentivo fosse doveroso tributare un onore, come libero cittadino prima e come artista poi. Certi esempi hanno valore sempre, indipendentemente dal mestiere e dalla vita che ci si trova a vivere



JC: L’esperienza Let Ring avrà un seguito concertistico e discografico?


MF: In questo momento siamo concentratissimi sul disco, che stiamo promuovendo con una serie di concerti. Stiamo inoltre portando in giro per i vari festival e rassegne nazionali la Nutcracker Suite di Duke Ellington che è stata eseguita rarissimamente in passato sul territorio nazionale e che ci sta portando molte soddisfazioni.



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