Andrea Manzoni, un pianista “Under Construction”.

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Andrea Manzoni, un pianista “Under Construction”.


Andrea Manzoni, pianista, compositore e arrangiatore, è un musicista “irrequieto”, nel senso che la sua forte curiosità e spirito d’avventura lo porta a sperimentare tra generi diversi. La sua “parte” jazz non ha un atteggiamento integralista ma è aperta ad altri suoni che con maestria fa rifluire e sintetizzare attraverso le sue composizioni. Il suo sguardo d’artista riflette la contemporaneità di un mondo globalizzato e ricco d’influenze che attraverso le sue mani diventano musica.



Jazz Convention: Andrea Manzoni quando hai deciso di diventare un musicista, nel tuo caso pianista, e perché proprio di jazz?


Andrea Manzoni: Ho iniziato suonare il pianoforte all’età di 10 anni, come molti, prendendo lezioni private. Da subito ho sentito che sarebbe stata una parte importante della mia vita. Dapprima la musica classica, poi il pop e il rock e a 15 anni è arrivato il jazz. Non mi definisco un jazzista ma un pianista compositore che ama sperimentare all’interno di svariati generi musicali.



JC: Come sono stati gli inizi?


AM: Se intendi gli inizi della mia carriera posso dirti che sono stati belli. Pieni di energia, musica nuova, positività e voglia di mettermi in gioco sempre. Gli inizi degli studi, sino alla fine del mio percorso accademico sono stati duri, come per tutti credo. La determinazione è un’elemento importante se si vuole vivere di musica.



JC: Quali sono i tuoi maestri? Quelli che ti hanno influenzato in maniera significativa?


AM: Ho studiato con tantissimi insegnanti diversi sia in ambito classico che jazz e tutti mi hanno lasciato qualcosa di positivo. Nozioni che studio ancora ora, sensazioni, lezioni di vita. Da Nazzareno Carusi, Tiziano Poli, Antonio Ballista per ciò che riguarda la musica classica e per il jazz Franco D’Andrea, Stefano Battaglia e un pianista armeno forse non molto conosciuto in Italia che si chiama Armen Donelian.



JC: E le collaborazioni? In particolare cosa ricordi di Butch Morris, il più avanguardistico di tutti…


AM: Butch è stato incredibile. Spiazzante, dirompente. Con un’energia senza precedenti, una concentrazione che non avevo mai visto prima. Una consapevolezza assoluta di quello che voleva e quello che stava facendo. Mi ha insegnato non solo dal punto di vista musicale ma anche per quello che riguarda la serietà nel lavoro. Non si scherza, si lavora! E si lavora duro. Su tutt’altro tipo di musica ma con una concezione Zappiana direi.



JC: Tu vivi in Francia, cosa vuol dire essere un jazzista in Francia e in Italia?


AM: Posso dirti più che altro cosa può significare essere un musicista in Francia e in Italia più che un Jazzista. E’ difficile in tutte e due le nazioni ma per ragioni diverse. Quello che posso dirti è che comunque bisogna lavorare duramente, essere positivi e non lasciarsi abbattere dalle difficoltà di questo lavoro e del periodo storico. Se ci si lascia infettare dal virus «Eh ma c’è la crisi» si è rovinati. Focus, concentrazione e lavoro. Non perdere tempo. I tempi sono cambiati rispetto a quello che si legge sulle biografie dei grandi jazzisti da metà a fine novecento. Le dinamiche sono diverse, bisogna comprenderle e ritagliarsi il proprio spazio mantenendo la propria creatività. Essere sinceri con se stessi e con la musica che si fa rimane sempre una carta vincente in qualsiasi paese ci si trovi.



JC: Che tipo di jazz ti appassiona di più?


AM: Amo ascoltare il jazz. Dalle origini. L’ho fatto per anni e lo faccio tutt’ora con un rispetto ancora più grande. Sono completamente attratto da quello che sta venendo fuori in questo periodo. Posso citarti i Dawn of Midi, il progetto da leader di Eric Harland, Yaron Herman, i Nerve e molti altri. Un jazz che si fonde con la classica contemporanea e l’elettronica.



JC: A che punto siamo con la produzione discografica e cosa pensi dei tuoi lavori precedenti?


AM: Negli ultimi tre anni ho registrato due dischi come leader con il mio trio e uno con co-leader assieme al compositore elvetico Marcel Zaes. Sono soddisfatto di quello che ho fatto ma sto già guardando avanti. Ho appena terminato le registrazione di un disco interamente di musica Armena in collaborazione con la soprano di San Francisco Rosy Anoush Svazlian. La musica è stata interamente riarrangiata da me ed è stato un lavoro molto lungo. Il disco uscirà il 9 ottobre per Meat Beat Records e da li partirà il tour in Europa tra Germania, Svizzera, Francia ed Italia. Sempre quest’anno a Maggio ho registrato con Marcel Zaes il nostro secondo disco co-prodotto dall’Istituto Italiano di Cultura di Budapest. Il lavoro vedrà la luce a Febbraio 2016. Ora ho quasi terminato le composizioni del mio terzo disco per piano trio con una sorpresa che svelerò più avanti.



JC: Destination Under Construction è il nome del tuo nuovo disco che riassume un progetto ben definito. Ce ne vuoi parlare?


AM: Definire quello che faccio è complesso anche per me. L’essere irrequieto mi porta costantemente a ricercare nuove direzioni, a spingermi oltre quello che creo come musicista e compositore. Ho degli obiettivi chiari dentro di me ma, musicalmente, ho un’irrefrenabile voglia di cambiamento. Molte persone vedono questo aspetto come qualcosa di superficiale ma in realtà faccio, ne più ne meno, quello che sento di dover fare in un determinato momento. Ed ecco il perché di questo titolo, Destination Under Construction. Credo che il messaggio sia decisamente chiaro: volevo che arrivasse alla gente in questo modo. Penso sia una condizione in cui i «giovani» (mi siano concesse le virgolette) siano costretti a convivere, che lo vogliano o no. I brani presenti all’interno di quest’ultimo disco sono stati scritti interamente per questo lavoro. Sentivo la necessità di uscire con un nuovo disco. Cerco sempre di rinnovarmi e mi capita, dopo aver inciso un album, di sentirlo già vecchio rispetto alle cose nuove che sto scrivendo. Penso di essere un compositore ossessivo compulsivo! Quotidianamente scrivo idee e pensieri musicali che prendono forma giorno dopo giorno. Forse il non sentirmi vincolato ad un determinato mercato mi porta ad essere più prolifico. Ma questo è un pensiero empirico, senza fondamenta.



JC: Il lavoro è realizzato in trio con Luca Curcio e Andrea Beccaro. Dicci qualcosa di loro.


AM: Sia con Luca, il contrabbasista, che con Andrea il batterista, suoniamo assieme da tanto tempo. Mi piace poter lavorare con loro perchè abbiamo ascolti comuni e un grande interplay dovuto anche alla conoscenza non solo come musicisti ma anche come persone.
Luca è un giovane contrabbassista torinese trasferitosi a Copenaghen e Andrea un batterista di estrazione americana diplomatosi a L.A. al Musician Institute. Un batterista innovativo per ciò che riguarda i groove e le accordature.



JC: Destination Under Construction possiede una rilevante matrice timbrica e percussiva


AM: Questa è un po la caratteristica del mio modo di scrivere musica che si fonde all’interno del trio creando un “pulse”, nel brani, molto presente.



JC: La tua idea di jazz travalica i confini di questa musica per incrociarsi con il rock e il pop e nel disco si sente…


AM: Si amo andare oltre i generi e lasciarmi influenzare. Non mi pongo limiti. Quando lavoro ad un idea cerco di sviscerarla il più possibile. Non sono interessato a lavorare utilizzando un linguaggio musicale e basta.



JC: Destination Under Construction contiene otto brani di cui due cover (Word Up e Mad World) e sei composizioni originali. Ce le racconteresti in breve?


AM: Il filo che lega Mad World e Word Up! è il fatto che siano due brani scritti negli anni Ottanta, precisamente, e rispettivamente, nel 1982 e nel 1986. Non sono particolarmente legato alla musica di quegli anni, anzi la maggior parte dei brani proprio non mi piacciono. Credo che l’amore per Mad World sia nato dal film Donny Darko. Usata come colonna sonora nella splendida versione di Gary Jules. Mentre per Word Up! sia stata più una sfida. Stravolgere un brano tra il pop e l’hip hop rendendolo una ballad quasi dub. Il take presente nell’album è il primo e unico fatto in studio. Un flusso di coscienza. Improvvisazione istintiva, no editing o arrangiamento. Una versione viscerale alla quale sono molto legato.



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