Foto: la copertina del libro
Ted Gioia, Gli Standard del Jazz: Una guida al repertorio
EDT – 2015
Ted Gioia non è solo uno storico profondo e accurato della musica afro-americana. È anche un ottimo scrittore e i suoi libri sono sempre documentati e piacevoli. Non a caso la sua recente Storia del Jazz, pubblicata nel 1997 – la traduzione italiana è del 2014 – fu indicata da autorevoli giornali come il Washington Post e il New York Times come uno dei migliori libri dell’anno.
Questo testo dedicato agli standard conferma tutte le grandi doti dello studioso californiano. Gioia ha compilato più di 250 schede dedicate a quei brani che nel corso degli anni sono diventati patrimonio e palestra per tutti gli improvvisatori. I testi sono ricchi, com’è giusto, di annotazioni di carattere tecnico, ma l’autore non li considera solo dal punto di vista della struttura armonica o melodica ; ne racconta anche la storia e la fortuna, condendo la narrazione con una serie di aneddoti e curiosità.
Qualche esempio: le celebri nuvole sognate dalla chitarra di Django divennero nella Francia occupata dai nazisti, nella quale era vietata l’esecuzione de La Marsigliese, una sorta di malinconico e clandestino inno nazionale. Everytime we say good bye fu scritta per un’ambiziosissima piece di Cole Porter (Seven Lively Arts) alla quale contribuirono anche Salvador Dalì e Igor Stravinsky e che si rivelò un fiasco terrificante. Il libro è un caleidoscopio di episodi e di rimandi. Molto divertente è, per fare un altro esempio, il ritratto che Gioia traccia di Irving Mills, produttore di Ellington e di tanti altri artisti; un personaggio ubiquo e pervasivo che pare uscire da una qualche commedia brillante.
Di più. L’autore de L’arte imperfetta si sofferma spesso anche sui testi delle canzoni, sia quando si tratta di piccoli e laceranti capolavori poetici come quello di Lush Life, sia quando essi sono di banali cliché sentimentali come quello che riveste la melodia di Mood Indigo.
Gli standard del Jazz è quindi una lettura piacevole e istruttiva, corredata anche da un apparato discografico di grande interesse. Alla fine di ogni scheda, infatti, Ted Gioia indica quali sono, a suo giudizio, le migliori versioni del brano trattato. Qui nasce un piccolo problema. L’elenco di tali versioni è redatto in ordine rigorosamente cronologico. Il lettore si accorge presto che, a partire dal cambio di secolo, le incisioni di un certo rilevo dedicate agli standard si diradano sensibilmente. Dal 2010 in poi si contano sulle dita di una mano. Che cosa vuol dire? Che il livello medio del jazz sta scendendo? Gli standard non sono più un punto di riferimento per gli esecutori? Gioia lamenta nella sua prefazione la mancanza di un nuovo songbook che sia fonte di nuove ispirazioni per la musica improvvisata, ma non si sofferma su quest’apparente usura dei vecchi modelli. Usura che pare anche confermata dalla recente (e sterminata) produzione discografica.
È un rilievo che niente toglie alla validità del libro. Un libro che ogni musicista e ogni appassionato dovrebbe avere sempre a portata di mano e-o rileggere di tanto in tanto. Questa edizione italiana è stata curata (molto bene) da Francesco Martinelli e dalla Fondazione Siena Jazz.