Bentornato Butch. Ai Confini tra Sardegna e Jazz 2015

Foto: Anna Maria Gaglio










Bentornato Butch. Ai Confini tra Sardegna e Jazz 2015

Sant’Anna Arresi – 1/8.9.2015

Dedicata alla memoria del compianto Butch Morris, la trentesima edizione del festival sardo si è imperniata nel suo epicentro emotivo con le due splendide e coinvolgenti esibizioni della Nublu Orchestra.


Scambiando alcune battute con Kenny Wollesen, batterista e vero motore dell’ensemble statunitense, scopriamo che, dalla scomparsa del Maestro californiano, sono già dieci le conduction eseguite autonomamente dalla formazione. Questo fa riflettere sulla prosecuzione di un’eredità complessa ma comunque già messa ampliamente in atto.


La conduction n.1 (The Long Goodbye), si è sviluppata nel solco di un tappeto introduttivo lungamente espresso (davvero troppo), sino a sfociare poi negli articolati temi che Wollesen sviluppava con la consueta gestualità dei segni. Quelli che Morris ha codificato nel corso del suo incessante lavoro compositivo e di direzione.


Ancor più interessante e validissima nella sua evoluzione musicale è stata la conduction n. 2 (Tribute to Butch Morris), durante la quale si sono visti alternare alla direzione del settetto, il trombettista Graham Haynes e il chitarrista Brandon Ross. A tutti è andata l’acclamazione meritatissima da parte di un pubblico memore delle gesta e dell’amicizia che Morris ha elargito per anni tra le strade e sul palco di Sant’Anna Arresi.


Il vero protagonista del festival è stato però Evan Parker. maestro incontrastato delle respirazione circolare. Sublime al soprano, magnifico esecutore al sax tenore del suono più bello del mondo, Parker ha dominato con la sua geniale presenza una grande porzione del variegato cartellone. Difficile stabilire quale sia stata l’esperienza più interessante delle tante viste sul palco di Piazza del Nuraghe. Il suo “solo” al soprano ha incantato per grande virtuosismo e lucida elasticità espositiva. Lo storico trio, con Paul Lytton e Barry Guy, ampliato in quartetto con la presenza del giovane esplosivo trombettista Peter Evans, è stato di sicuro tra gli episodi indimenticabili della manifestazione. Grande libertà di intenti, estrema spontaneità nell’esposizione – soggettiva e di gruppo – slanci solistici di fervida e spaziale contemporaneità. Questi gli ingredienti di un concerto fondato dalla concezione di quel certo sperimentalismo radicale del quale Parker ne è uno dei cantori più alti.


Non ci si distanzia da queste modalità di analisi neppure riguardo l’esibizione di Filu ‘e Ferru. La formazione, già esibitasi a Sant’Anna Arresi nell’edizione invernale 2014/2015, ha ribadito i suoi punti programmatici esemplari. Con Hamid Drake (percussioni), John Edwards (contrabbasso), Alexander Hawkins (pianoforte) e ancora Evans e Parker a guidare saldamente la front line, il quintetto ha eseguito gli umori e gli intenti contenuti nell’omonimo cd, prodotto dall’Associazione Culturale Punta Giara e presentato da Evan Parker nel corso di un’affollata conferenza stampa.
Dulcis in fundo il Large Ensemble Homage To Butch Morris: quindici elementi sotto la direzione del sassofonista britannico il quale ha condotto la musica all’interno di un’incessante esplorazione di territori – sempre fertili – le cui evoluzioni hanno messo in luce gli interventi tra gli altri di: Giancarlo Schiaffini (trombone), Caroline Kraabel (contralto), e poi ancora di Barry Guy, del collega di quattro corde John Edwards, e ancora di Hamid Drake, Peter Evans e Alexander Hawkins, giovane pianista inglese (come Evans, classe 1981), versatile ed evidentemente maturo nella sua esposizione cromatica e disinibita. Hawkins ha dimostrato di restare aperto a molteplici idee orbitanti la sfera di una compiuta, diremmo perfetta, improvvisazione radicale che segna indubbiamente l’inizio di un nuovo futuro nell’avanguardia jazz contemporanea.


Altro giovane talento emerso a Sant’Anna è stato il trentaduenne John Dikeman. Nativo del Nebraska, stabilitosi nel 2007 ad Amsterdam, questo sassofonista dal suono poderoso, dal variegato linguaggio espressivo, sino a raggiungere vette ed estremità incisive e rugose, ha colpito nel segno per la sua vicinanza a determinati concetti ayleriani, certamente vicini anche alla lezione di maestri come Joe Maneri, Milford Graves e David S. Ware. Nel trio, completato da William Parker e Hamid Drake, Dikeman ha espresso potenza e spedite esplorazioni timbriche ben combinate con la potenza di una ritmica collaudata e dalle multiformi colorazioni per nulla “allineate”.


E mentre su di un grande schermo scorrevano dietro ai musicisti le belle fotografie di Luciano Rossetti, che, nel corso degli anni ha immortalato Butch Morris, si sviluppavano al festival altri eventi inseriti nel lungo programma.


Un concerto separato da due differenti “visioni”, quasi scollegato, è stato quello di Carved In The Air. Protagonista un trio italiano con Roberto Ottaviano (sempre splendido e generoso di grazia e di potenza di suono), Giovanni Maier e Cristiamo Calcagnile i quali incontravano Keith Tippet e Julie Tippet (chi la ricorda come Julie Drioscoll nei favolosi anni Sessanta?). Julie è una grande soprano, canta benissimo, ha una bella voce. Ma perché incentrare tutto sui suoi interminabili evitabili ululati?


Di diversa fattura l’esibizione di Nu Grid con DJ Logic, i chitarristi Vernon Reid e Jean Paul Bourelly e ancora Graham Haynes (esibitosi anche in un indeciso quanto introverso e desertico solo). Qui gli intenti c’erano tutti ma le idee espresse sono state portate solo parzialmente a compimento, l’addove sarebbe stata importante l’utilizzazione dei sempler di DJ Logic su una piattaforma di idee che sono mancate per sviluppare degnamente qualcosa “di altro” spessore.


In ultimo il concerto conclusivo della Fire! Orchestra. Sedici persone sul palco, provenienti per lo più dalla Svezia, con la presenza di due musicisti danesi e un francese, la band ha esasperato modalità estreme, sprecando un’occasione e un’enorme mole di energia, ancor più evidenziata dalla conduzione del baritonista Mats Gustafsson il quale a onor del vero, più che un maestro alla guida di un’orchestra sembrava un lottatore di wrestling posto a dirigere un possente e distorto quanto ripetitivo heavy jazz.


Per fortuna, ad allietare con un divertente fuori programma, nella coda finale del festival, ci ha pensato nella serata dell’8 settembre la Bandakadabra, la spassosa marching band che ha allietato il pubblico e i passanti per le vie del paese e che poi si è esibita sul palco di Piazza del Nuraghe regalando con esilaranti gags tanta allegria e spensieratezza nel cuore.