Alti & Bassi: cinque voci nella Nave dei sogni

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Alti & Bassi: cinque voci nella Nave dei sogni


L’uscita de La Nave dei Sogni e l’esibizione al concerto per Europa Radio dello scorso marzo, sono solo due tra le tante frecce all’arco degli Alti & Bassi. Sono il punto di partenza dell’intervista realizzata con Andrea Thomas Gambetti, una delle cinque voci di una formazione giunta al traguardo importante dei vent’anni di attività e capace di spaziare in modo molto libero tra i generi musicali.



Jazz Convention: Cominciamo dalla storia degli Alti & Bassi… Quando avete cominciato? come vi siete conosciuti? quali sono i generi che affrontate nel vostro repertorio?


Andrea Thomas Gambetti: Comincerei dall’ultima domanda. Siamo un quintetto vocale maschile a cappella. In pratica non abbiamo strumenti sul palco o, meglio, ne utilizziamo solo uno che è la nostra voce. Ci siamo formati nel 1994, tant’è vero che nello scorso dicembre abbiamo festeggiato i vent’anni di attività. Che genere facciamo?… Facciamo jazz, prevalentemente, e swing. In realtà, però non è corretto, secondo me, dare questa definizione: eseguiamo le grandi canzoni italiane e internazionali del novecento, rielaborate e riarrangiate in svariati modi, quindi andando a toccare svariati generi musicali. Quello che conta molto per noi è l’armonia: in questo senso, possiamo dire che il jazz è prevalente nel nostro bagaglio espressivo. Ci conoscevamo e quindi ci siamo incontrati in esperienze musicali diverse. Nel 1994, tre di noi, si dovevano esibire insieme in un locale. Io ero direttore di un piccolo coro di periferia – e, in realtà, lo sono anche adesso dopo venticinque anni – e uno di questi tre ragazzi faceva parte del mio coro e mi hanno chiesto di unirmi a loro. Abbiamo trovato un quinto, abbiamo fatto le prime prove, e appena abbiamo “aperto bocca” ci siamo subito resi conto che stavamo facendo qualcosa di veramente bello e meraviglioso.



JC: Ricordiamo anche i nomi degli altri componenti…


ATG: Oltre al sottoscritto, la formazione attuale che è stabile, più o meno, da quindici anni è costituita da Alberto Schirò, Paolo Bellodi, Diego Saltarella e Filippo Tuccimei che è il basso della formazione.



JC: Ho letto nelle note di copertina del vostro disco che, agli esordi, vi hanno tenuto a battesimo Lucia Mannucci e Virginio Savona del Quartetto Cetra…


ATG: Beh, per noi è stata un’esperienza straordinaria poterli conoscere. Un giorno, ci invitarono a casa loro, entrammo nello studio di Virgilio, ricchissima di libri, di dischi, di fotografie, di ricordi della loro strepitosa formazione, entrata a pieno diritto nella storia della musica italiana. È vero, ci hanno tenuto a battesimo, sono stati i nostri padrini: vennero ad alcuni concerti. In particolare sono venuti al concerto tenuto ai Pomeriggi Musicali: quando abbiamo deciso di dedicare loro un brano, il pubblico si accorse solo allora della loro presenza, si accorse solo allora che Lucia Mannucci e Virgilio Savona del Quartetto Cetra erano seduti lì in prima fila. A quel punto, tutto il pubblico si alzò in piedi e tributò loro un grande applauso – se ci penso ancora adesso, mi commuovo. Sono stati sempre molto carini nei nostri confronti: Virginio, ad esempio, era nell giuria del Premio Quartetto Cetra quando, nel 1998, il premio venne assegnato proprio al nostro quintetto.



JC: Nel vostro ultimo avete ripreso Però mi vuole bene del Quartetto, a fianco di brani tratti dal repertorio di Bach e di Bublé. È la vostra risposta trasversale ai generi musicali?


ATG: La nostra idea è che il genere della musica A cappella è da considerarsi un genere a sé stante. Un genere tra i generi. La cosa originale che può fare un gruppo a cappella è proprio quella di rivisitarli alla loro maniera. Noi, per grandi linee, procediamo in due modi: il primo è quello di essere strettamente aderenti all’arrangiamento originale; l’altro è quello di scrivere un arrangiamento del tutto nuovo e creativo, stravolgendo la forma originale. Non gioco più di Mina, ad esempio, l’abbiamo proposta attraverso diversi generi musicali, mettendo dentro anche il tango, il valzer e, addirittura, il rap. La contaminazione fra i generi. Tutto questo lavoro è merito di Alberto Schirò, è lui il nostro arrangiatore ufficiale e si applica sulla maggior parte dei brani che poi andiamo ad eseguire, sempre alla ricerca di idee che possano stupire e appassionare i nostri ascoltatori.



JC: Come sta andando il CD?


ATG: Mah… male, come in questo momento la vendita di qualunque CD – ride, N.d.R. … Adesso è possibile fare il download digitale in rete, c’è lo streaming. Io sono un po’ dubbioso sul fatto che lo streaming possa essere utile ad artisti di nicchia come può essere nel caso dei jazzisti. Quando fai 800 ascolti in streaming e poi vedi che il report è zero virgola zero zero zero zero qualcosa, ti mette un po’ di tristezza. Però, è importante anche farsi conoscere: sono strumenti che un tempo non c’erano e abbiamo visto dei feedback di un certo rilievo in paesi stranieri come Stati Uniti, Giappone e Australia. Abbiamo vinto, ad aprile, un premio che si chiama Cara – Contemporary A Cappella Award – ed è un premio dedicato a tutte le registrazioni di musica a cappella, appunto, e noi siamo arrivati secondi nella categoria Best Jazz Album Worldwide. Una sorta di Grammy Award che si assegna a Boston per il nostro “genere”.



JC: Questo fatto ha avuto conseguenze sui concerti o sulle vendite dei dischi?


ATG: In Italia, praticamente nessuna… Negli Stati Uniti qualcosa si è mosso, tanto che stiamo costruendo una tournée per il prossimo anno sulla costa orientale, vista la piccola notorietà che abbiamo improvvisamene raggiunto grazie al premio.



JC: Ho ascoltato la vostra intervista su Europa Radio…


ATG: Si abbiamo fatto questa bellissima intervista con Franca De Filippi, la figlia del grande Bruno. Credo che sia ancora disponibile sul sito. Abbiamo avuto, tra l’altro, anche la fortuna di conoscere Bruno per la realizzazione del nostro quinto album, intitolato Io ho in mente te, ed era un viaggio nella musica italiana degli anni sessanta e settanta. Abbiamo avuto l’idea di coinvolgere degli strumentisti insieme a noi. Normalmente i dischi hanno come ospiti i cantanti: noi che siamo cantanti, al contrario, abbiamo come ospiti degli strumentisti. Abbiamo compiuto un’operazione di inversione delle regole tradizionali della musica. Normalmente tu hai gli strumenti che ti fanno l’armonia e il cantante sviluppa la sua melodia sopra questo “tessuto”. Noi, invece, abbiamo fatto con le voci l’armonia e poi c’erano Bruno De Filippi, ma anche Franco Cerri, Emilio Soana, Andrea Dulbecco, Lino Patruno e Nando De Luca che hanno “cantato” con i loro strumenti le melodie, un assolo, una piccola ciliegina sulla nostra torta. Abbiamo chiesto a Bruno di fare un assolo con la sua armonica a bocca nella nostra versione de Il cielo in una stanza. Dopo la morte di Bruno, che ci ha addolorato profondamente, abbiamo avuto modo di conoscere Franca, che si è letteralmente invaghita della nostra musica e ci sta dando una mano per molte iniziative.



JC: Ti faccio il nome di quattro gruppi famosi: i Mill Brothers, Lambert, Hendricks and Ross, Manhattan Transfer, Take 6. Quali di questi vi sentite più vicini?


ATG: Direi sicuramente Manhattan Transfer e Take 6. Adesso, e non voglio sembrare presuntuoso con quello oche sto per dire, credo però che la nostra forza sia nel contempo ispirarsi a questi gruppi – e possiamo aggiungerne altri come il Quartetto Cetra, i Platters, gli Swingle Singers oppure gli svedesi The Real Group – e avere una nostra voce personale. La nostra fortuna è stata però che sin dall’inizio abbiamo cercato di creare una nostra identità e, grazie agli arrangiamenti di Alberto, nella nostra musica si ritrovano tutte queste ispirazioni ma poi non assomigliamo molto a nessuno in particolare. Siamo gli Alti & Bassi.



JC: Voi autoproducete i vostri dischi sulla vostra etichetta Preludio. Come si affiancano le due attività?


ATG: L’etichetta, di fatto, non è degli Alti & Bassi, ma è mia. La Preludio si occupa di consulenza musicale nell’ambito della comunicazione e lavoriamo con le agenzie di pubblicità. Avendo questa società, abbiamo iniziato a produrre i dischi degli Alti & Bassi e, piano piano, si è sviluppato in Italia tutto un sottobosco di gruppi emergenti nell’ambito della musica a cappella. Ho sempre sostenuto che l’unione faccia la forza e quindi ho sempre pensato che se vogliamo che il genere affiori e possa essere diffuso il più possibile nella nostra penisola non dobbiamo curare i nostri orticelli ma dobbiamo metterci insieme e far suscitare un vero e proprio movimento. L’etichetta, all’inizio, ha avuto tra i suoi obiettivi proprio quello di creare un movimento. Negli anni perciò Preludio è diventato un marchio di riferimento nella nostra scena e abbiamo prodotto svariati altri gruppi italiani, provenienti da diverse regioni italiane. Ad esempio i Blue Penguin di Bologna, i Mezzotono di Bari, i Mezzo Sotto di Celle Ligure, L’Una e cinque di Torino, l’Anonima Armonisti di Roma. Abbiamo lavorato con tanti amici cercando di creare un interesse intorno al nostro genere musicale. Preludio nel tempo si è anche un po’ evoluta e abbiamo iniziato a produrre musica di qualità non ci siamo soffermati su un genere specifico. Abbiamo aperto le porte dell’etichetta a tutte le produzioni di generi di nicchia che avessero una grande qualità artistica.



JC: Nelle vostre esibizioni dal vivo, oltre alla parte musicale curate molto il dialogo con il pubblico, siete bravi intrattenitori, non disdegnate gli aspetti anche comici… un approccio diverso da quello dei gruppi classici.


ATG: È proprio una nostra caratteristica, noi siamo così per natura, non facciamo nessuna fatica a trasportarlo al pubblico. La nostra proposta in effetti è uno vero e proprio spettacolo, più che un concerto, ce lo siamo costruiti nel tempo, ma molte battute vengono spontanee sul palco, spesso nemmeno ce le aspettiamo. Naturalmente, quando le battute funzionano poi le metti in repertorio e le riutilizzi. Spesso nella musica a cappella c’è molta differenza tra il disco e il concerto: nel nostro genere l’intonazione è un aspetto inesorabile per le esibizioni di molte formazioni. Le persone che vengono a vedere i concerti ci dicono spesso di aver sentito il nostro disco e di essere poi rimasti affascinati dalle interpretazioni… con l’aggiunta della parte più divertente: anche quella, abbiamo scoperto, piace molto.



JC: Quest’anno avevate provato anche la carta sanremese…


ATG: Si, per i vent’anni del gruppo avevamo pensato di uscire con questo nuovo album – che si intitola La nave dei Sogni ed è un viaggio musicale da Bach a Jannacci, come dicevamo prima – e abbiamo inserito all’interno del disco un unico brano inedito. Siccome abbiamo terminato la produzione del disco ad ottobre dello scorso anno, c’è venuto in mente di inviarlo, ma poco più che per scherzo, alla direzione artistica del Festival di Sanremo. Se non che il sette dicembre avevamo in programma di presentare il disco al Blue Note di Milano: avremmo presentato il nuovo videoclip e, soprattutto, avremmo iniziato a vendere il nuovo disco. Per la stessa data era prevista anche l’uscita sui vari digital store. La promozione e l’ufficio stampa erano coordinati per la partenza dell’airplay del brano per quel giorno. Il venti novembre arriva inaspettata la telefonata dalla direzione artistica del Festival: a Carlo Conti era piaciuta tantissimo La Nave dei Sogni e ci voleva a Sanremo fra i venti Big in gara, non fate nessuna presentazione, non cantate il brano in pubblico, il quattordici dicembre saprete se siete effettivamente nell’elenco dei venti selezionati, intanto mandateci la vostra scheda di iscrizione e segnalate quale brano volete eseguire come cover nella serata del giovedì. Una telefonata del genere ci ha spiazzato completamente. Quindi abbiamo fatto comunque il concerto al Blue Note dando questa notizia, senza eseguire la canzone che dava il titolo all’album. Quando poi siamo arrivati al quattordici il nostro nome non era nei venti. Ce lo aspettavamo, non dico di no, ma ci abbiamo provato ed è stata comunque una bella emozione.



JC: A novembre sarete di nuovo al Blue Note.


ATG: Si il Blue Note ci invita ogni anno, su Milano abbiamo un buon seguito, ed è un luogo fantastico. Per noi è l’ideale: si crea un rapporto con il pubblico che è li sotto il palco, ce l’hai proprio di fronte, ti circonda. E questo ci permette ancora meglio di fare quello che dicevamo prima, di portare uno spettacolo divertente con buona musica. Aspettiamo tutte le persone che sono a Milano a venire al concerto.



JC: Quali dischi ti sentiresti di consigliare a qualcuno che si avvicina per la prima volta alla musica a cappella?


ATG: Invece che un disco secco, mi sento di consigliare un gruppo che abbiamo citato anche prima e sono gli svedesi The Real Group. Sono un quintetto e sono uno dei gruppi vocali migliori al mondo, hanno fatto tantissimi dischi, hanno proposto cover, hanno proposto brani originali, inediti, arrangiamenti eccezionali, intonazioni perfette. Li ho sentiti anche dal vivo e sembra di ascoltare il disco. È un gruppo straordinario e tutta la loro produzione discografica è da ascoltare con attenzione. In questo momento, poi, negli Stati Uniti stanno andando molto forte i Pentatonix, un gruppo moderno rispetto a noi. Noi siamo in qualche modo ancorati alla tradizione, malgrado i nostri arrangiamenti siano moderni, ma ci rifacciamo al jazz per quanto riguarda le armonie. Loro si rifanno al soul, all’R’n’B, sono nelle loro produzione discografiche c’è la tendenza ad artefare molto le voci: quando senti un disco di questi gruppi, senti davvero degli strumenti musicali e spesso fai fatica a riconoscere che siano delle voci umane ad eseguire le linee. Sembra un disco “normale”, invece è stato eseguito tutto con la voce: forse perché sono più radiofonici…



JC: Avete raggiunto un pubblico trasversale e suonato in moltissime stagioni classiche. Come si può fare per conoscervi meglio e restare in contatto con voi?


ATG: In effetti, e può sembrare un paradosso abbiamo suonato più nelle stagioni classiche che nei festival jazz e questo è avvenuto su tutto il territorio nazionale. Ad esempio, il Teatro Rossini ci ha invitato due volte nella sua stagione, in un cartellone dove era presente, tanto per fare un nome, il grandissimo Riccardo Muti. Vuol dire che i direttori artistici del mondo classico hanno evidentemente compreso che nella nostra proposta c’è la canzone leggera, riproposta in una chiave colta, perché il jazz, nonostante sia una musica di estrazione popolare, è il genere che ha fatto la storia del novecento e permette una elaborazione di alto profilo del materiale che si affronta. Ci piacerebbe arrivare all’attenzione dei direttori artistici dei festival jazz: per dirla in modo sfacciato, Carlo Pagnotta, invitaci a Umbria Jazz! Scherzi a parte, ci rendiamo conto del fatto che ogni giorno ci sono decine e decine di proposte sui tavoli di ogni operatore del settore e diventa difficile emergere. Sicuramente sul nostro sito, www.altiebassi.it, e sulle nostre pagine all’interno dei social network, in particolare la pagina facebook, è possibile seguire le date dei nostri concerti, acquistare i dischi e dialogare con noi: perciò aspettiamo tutti i visitatori di Jazz Convention sulle nostre pagine in rete.