Claudio Cojaniz. Non sono tornati

Foto: da internet










Claudio Cojaniz. Non sono tornati

Parma, Parma Film Festival – 15.10.2015

Nel 2008 Claudio Cojaniz incise uno dei suoi dischi più riusciti. Si chiamava Non son tornati ed era la registrazione di un concerto tenuto a Pordenone. Durante la sua performance il pianista friulano suonava mentre su uno schermo cinematografico scorrevano immagini di filmati d’epoca della Prima Guerra Mondiale. Quella sera Cojaniz era partito accennando, riprendendo, cantando e stravolgendo il tema di un celebre canto di montagna, Signore delle cime, e aveva chiuso, dopo circa un ora con una rilettura di Just a Gigolo, solo apparentemente fuori dal tema della serata. In realtà il vecchio standard era come una specie di respiro liberatorio dopo la pena infinita delle immagini del grande macello.


Fra l’inizio e la fine si ascoltavano brandelli di musiche di film muti, echi di rag time, di marce militari, inni patriottici e politici. Un flusso continuo di memoria dolorosa, che in alcune sequenze faceva anche echeggiare il pianismo doloroso di Abdullah Ibrahim. Senza retorica, senza enfasi che non fosse quella della tristezza, del dolore per il ricordo di tutte quelle vite stroncate.


Non son tornati è stato riproposto il 15 ottobre a Parma dell’ambito del Film Festival.


Le immagini che scorrevano sul telo bianco a lato del pianoforte erano le stesse che avevano ispirato Cojaniz sette anni fa, ma chi conosceva bene il disco ha avuto la sensazione che il pianista le vedesse per la prima volta. Stesso attacco su Signore delle cime ma, subito dopo la narrazione ha seguito strade diverse. Cojaniz ha suonato più “classico”, enfatizzando i registri scuri, ma ha anche profuso quantità di blues nel suo discorso e ha fatto risuonare più volte la musica africana che tanto lo coinvolge. In altre parole ha seguito un percorso differente da quello del disco: ha realmente improvvisato, immergendosi in una sorta fiume carsico di memorie musicali ed emozioni.


Il momento forse più intenso del concerto è stato quello in cui il solista ha lasciato emergere le armonie del celebre preludio della marcia funebre di Chopin, le stesse che Jobim utilizzò per la sua celebre Insensatez. Un passaggio abbastanza lungo del concerto in cui la musica suggeriva, attraverso libere associazioni, a un tempo, la tristezza e la follia delle immagini di battaglia che lo schermo proponeva. Immagini non crude come quelle cui ci ha abituato la documentaristica odierna, eppure ugualmente drammatiche, feroci.


In chiusura mentre lo schermo restituiva la cronaca dell’arrivo a Trieste della nave del Re d’Italia, Cojaniz ha citato il tema di Faccetta nera, intercalando l’inno fascista con una lettura dolente di Bella Ciao; come a dire che la prima guerra mondiale fu l’incubatrice della successiva storia d’Italia.


Non son tornati è una sintesi poetica ed efficacissima di musica, cinema e storia. Meriterebbe, in questi anni di celebrazioni e riflessioni sulla catastrofica guerra di cent’anni fa, molta più visibilità di quanta abbia avuto fino ad ora.