Foto: Fabio Ciminiera
Stories, il nuovo progetto di Andrea Marcelli
Si chiama Stories il nuovo disco da leader di Andrea Marcelli, batterista che vanta anche un profilo di brillante compositore, arrangiatore e polistrumentista. Qui suona assieme a un cast di alto lignaggio internazionale come il giovane e notevole chitarrista Frank Pilato e gli inossidabili Jeff Berlin, Mitchel Forman e Gary Willis.
Jazz Convention: Andrea Marcelli, tu sei un batterista di caratura internazionale, che ha vissuto in diverse città del mondo, e con alle spalle importanti dischi da leader…
AM: Ti ringrazio… Sono nato e cresciuto a Roma fino al 1989, poi mi sono trasferito a Los Angeles per otto anni fino al 1997. In seguito ho abitato a New York per quattro anni e dal 2001 sono residente a Berlino, dove ho moglie e tre figli. Oltre ad essere ovviamente un side-man e un co-leader, essendo compositore, ho sempre sentito l’esigenza di produrre anche vari album da leader. Uno dei maggiori problemi di essere un batterista/leader è anche il fatto che non mi sembra esistano, nella storia del jazz, batteristi che siano diventati veramente famosi iniziando da leader. Possiamo forse dire che tutti i batteristi leader, per lo meno che io conosco, giusto per fare qualche nome: Billy Cobham, Jack de Johnette, Max Roach, Buddy Rich, Paul Motian, Art Blakey, Bill Bruford, Tony Williams e altri, prima sono diventati famosi per la loro appartenenza ad una formazione importante e poi, in un secondo momento, sono diventati anche leader affermati. Ovviamente non che io mi voglia paragonare a loro, ma il mio caso è comunque diverso in quanto il primo progetto (nel 1989) che mi ha dato una certa notorietà, Silent Will per la Verve/PolyGram USA e Verve/Polydor K.K. Japan, l’ho prodotto da sconosciuto, e credo di essere stato il primo jazzista Italiano ad ottenere un contratto discografico, a proprio nome e componendo e arrangiando tutte le musiche del cd, per una casa discografica Major storica Americana e Giapponese della caratura della Verve. Certo il fatto che leggende come Wayne Shorter, Allan Holdworth, Bob Berg, Mike Stern, John Patitucci, Mitchel Forman e Alex Acuna avessero accettato di essere parte del progetto, ha dato un’ulteriore credibilità alle mie musiche e al progetto, ovviamente loro non avrebbero accettato se il progetto non fosse stato all’altezza. Comunque resta il fatto che, in generale, il batterista non viene visto come un leader. Credo che da questo punto di vista può succedere di essere discriminati. Ho avuto anche l’onore di avere due mie composizioni, quattro pagine, nel “The European Real book” e, nel “Digital Real Book part 2”.
JC: Inoltre il tuo curriculum è pieno di collaborazioni importanti…
AM: Quando ho iniziato a produrre negli anni ‘80 c’erano poche scelte, e per produrre un progetto ad altissimo livello d’intensità potevi ambire solo ai grandi nomi, che sarebbero stati appunto, tra i pochi a poter interpretare le composizioni in maniera profonda. Non credere che io non abbia provato con altri musicisti e tra l’altro avevo, in precedenza, prodotto e registrato una serie di album di Library Music per soundtracks, suonando la maggior parte degli strumenti in sovra incisione. Poi in seguito le mie composizioni, specialmente negli anni ’90, erano piuttosto lunghe e non facili da leggere e interpretare. Per esempio per il progetto Silent Will, ho appena ritrovato e ricontato tutte le parti scritte, erano un totale di circa 60 pagine, di cui per esempio: 11 Love Remembered, 9 Final Project, 9 Every day etc. Se contiamo anche le parti in Bb per sassofono soprano o tenore più quelle che ho riscritto per i concerti live, sono un totale di circa cento pagine di musica da me scritte accuratamente a mano. Aggiungi il fatto che avevo programmato con il computer, quindi suonato tutte le parti in preproduzione di tutti i brani. Avevo circa 26/27 anni, e a livello istintivo, mi aspettavo che i musicisti convolti nei miei progetti avessero lo stesso mio entusiasmo, la stessa mia passione per la musica, in generale, e ovviamente anche per la “mia” musica non solo per quella dei musicisti già famosi. Diciamo le cose come stanno, non tutti hanno la generosità ed il buon senso di dare sempre il massimo quando suonano. Mi è capitato di suonare con musicisti che, pur essendo validi, non riescono proprio a dare il massimo quando suonavano i miei brani e non certo per mancanza di esperienza. Vorrei anche aggiungere che trovo fuori luogo, quando musicisti di alto livello o anche critici, si permettono di criticare qualcuno per le proprie scelte stilistiche, mi sembra una mancanza di rispetto verso l’animo di esseri umani che hanno prodotto lavori nel quale credono onestamente e che hanno semplicemente delle tendenze diverse. Alla fine i più bravi sono sempre stati i più entusiasti e generosi verso l’arte, senza dar peso a chi avesse scritto le musiche, ma solo ed esclusivamente alla qualità delle composizioni.
JC: Stories, tuo ultimo disco, è un progetto nato diverso tempo fa…
AM: Si, nel 1992. Dopo Silent Will (’89/90) e durante la produzione di Oneness (’91/92) avevo continuato a scrivere brani pensando a un nuovo album. Ero in contatto costante con Allan Holdsworth con il quale avevo registrato entrambi i miei precedenti cd, e avevamo iniziato a registrare, nel Giugno 1993, il progetto “Stories” nel suo nuovo studio in Vista/California. All’epoca era un nuovo studio e Allan voleva capirne le possibilità e caratteristiche e prenderci confidenza, per poterci in seguito registrare il suo album, che poi credo fu Hard Hat Area. Le cose andarono molto bene, fino a che non subentrarono dei problemi contratttuali che non siamo riusciti a risolvere, pur tentando per vari anni. Ci tenevo molto a questo progetto e avevo bisogno di un solista adatto alle melodie e composizioni che avevo composto e che si avvicinasse il più possibile alla mia visione delle musiche – premetto che non era il sassofono quello che avevo in mente. All’epoca questo progetto non aveva ancora nome, ma si parlò del fatto che avrebbe preso il nome di uno dei brani.
JC: Stories ti vede protagonista assieme al chitarrista Frank Pilato: come vi siete conosciuti e quando è iniziato il vostro sodalizio artistico?
AM: A questo punto entra in campo Frank Pilato, con il quale ero in contatto già da tempo. Spesso ci sono parecchi musicisti e chitarristi che mi contattano, magari dopo aver ascoltato uno dei miei album, ma devo dire che Frank era anche sinceramente quello, al momento, che si sentisse pronto e desideroso di misurarsi con delle mie partiture inedite. Questo era un progetto che non assomigliava ad altri progetti e quindi non c’erano molti punti di riferimento, se non ovviamente Allan Holdsworth. Poi se ascolti l’album capisci che le caratteristiche delle composizioni di Stories sono radicalmente diverse dalle sue. Le mie melodie sono state concepite per quel tipo di chitarra e di suono, per quel tipo di intensità melodica, ma musicalmente hanno caratteristiche totalmente diverse dalle melodie e armonie scritte da Allan, in quanto sono musiche filtrate, sinceramente, solo dal mio mondo interiore e dalla mia esperienza di vita vissuta. Con Frank, prima di registrare, abbiamo parlato molto intensamente di questo progetto per veder come interpretarlo. Diciamo che ascoltando l’album, posso dire che Frank ha delle influenze di Holdsworth, ma anche di Scott Henderson, Steve Hackett e Jeff Beck per esempio. Frank ha avuto il merito di essere entrato talmente nel progetto che ho ritenuto opportuno di considerare questo come il suo debutto discografico o comunque da coleader. Melodia pura e virtuosismo.
JC: In questo disco svolgi un ruolo trino: sei compositore, arrangiatore, produttore e suoni oltre alla batteria e percussioni anche il sintetizzatore…
AM: Si e vorrei spiegarlo qui. Nei progetti che ho prodotto dal 1984 al 1996 ho composto, non tutte, ma buona parte delle mie composizioni al computer, quindi riascoltando i mutamenti dei brani in tempo reale con vari ritmi e varie parti che si intrecciano. Ho scritto le sigle degli accordi ma anche la maggior parte dei rivolti e varie linee di basso e sequencers. Questo mi permetteva anche di avere dei demo pronti per i musicisti e per eventuali case discografiche. Su Stories ho usato, come pre-produzione, alcune di queste basi come, The Ant, Speaking to you, Stories. Avevo un modo di intendere le mie produzioni non da batterista ma da pluristrumentista, quindi contribuendo alle registrazioni suonando vari strumenti in sovraincisione. Devo dire che ho nostalgia di questo modo di produrre e sicuramente in futuro ci sarà spazio nuovamente per un progetto dove suono vari strumenti. Poi dal 1997 ho ripreso a scrivere quasi solo al piano e il mio modo di comporre è mutato ulteriormente. Con l’eccezione di qualche pezzo composto al clarinetto.
JC: Nove dei dieci brani che compongono Stories sono scritti da te. Ci racconti brevemente la loro genesi?
AM: Li ho composti tutti a Los Angeles, iniziando durante la produzione di Oneness e continuando fino alla prima metà del 1993. Oltre alle liner notes del cd che ho scritto, non vorrei aggiungere altro in quanto credo che le mie storie di vita vissute e poi filtrate attraverso i brani di Stories, verranno filtrate a loro volta dalla sensibilità dell’ascoltatore che poi gli darà il significato che lui/lei sentirà dentro se stesso/a. Comunque quegli anni vissuti a Los Angeles per me sono stati anni di grandi stimoli e mutamenti, sempre alla ricerca di me stesso… e ammetto che dopo oltre venti anni lo sono ancora!
JC: Poi c’è Rainbow thief, di Frank Pilato, in cui suonate solo voi due.
AM: Si Frank ha contribuito con una sua composizione che abbiamo preferito suonare in duo con un suono molto “live” e senza l’aggiunta di altri strumenti. Credo che stia molto bene nel mezzo dell’album. Andava bene cosi, un po’ selvaggia, e si unisce al brano The Ant, sempre in duo, ma dove però, ovviamente per ragioni concettuali, ho sovrainciso clarinetto, flauto bansuri, clarinetto basso, percussioni, batteria, synthesizers e sequencers, avendo immaginato una formica che suonasse contemporaneamente vari strumenti con le sue zampette.
JC: Stories contiene un cast di eccellenti musicisti Mitchel Forman, Gary Willis e Jeff Berlin: perché la scelta è caduta proprio su di loro?
AM: Ne avevamo già parlato con Allan Holdworth negli anni ’90 quando dovevamo finire il progetto insieme e ovviamente Frank Pilato condivide le scelte fatte. Per i bassisti si erano fatti vari nomi, ma poi la scelta era caduta su quelli che già conoscevamo entrambi e che avessero profondità di suono, ma anche il groove e la creatività necessaria per navigare tranquillamente in quelle partiture. Quindi Gary Willis che aveva registrato in precedenza Metal fatigue di Allan, e altri, e il mio secondo album “Oneness”. Poi Jeff Berlin con il quale Allan aveva registrato Road Games, e altri progetti, e con il quale io ho suonato dal vivo. Mentre il pianista con il quale ho suonato e registrato maggiormente negli anni ’90 a Los Angeles era proprio Mitchel Forman, che partecipò con Allan alle registrazioni anche di Silent Will e Onenes. Quindi viene ovvia la scelta per la sua completezza artistica e grande generosità musicale.
JC: Che definizione dai del jazz suonato in Stories?
AM: Direi jazz romantico, intenso e passionale, con molte influenze e molte direzioni diverse, come sono diverse le direzioni che la vita di tutti i giorni ci propone in continuazione.
JC: I tuoi progetti futuri?
AM: Sono appena tornato da alcuni concerti e workshops in Brasile, e poi, con Ekkehard Wölk, in Belgio. Oltre ovviamente alle attività a Berlino e in Germania. A Novembre sarò ad Hong Kong e Cina. Alla fine del mese ci sarà il consueto Italian Jazz Festival in Berlin (sesta edizione), che ho ideato e che organizzo ogni anno alla Kunstfabrik Schlot. Presenterò con Frank Pilato l’album Stories in sestetto, ma ci saranno vari altri concerti e ospiti con il loro programma. In genere sono aperto e disponibile per collaborazioni interessanti e serie. Ho già iniziato ad organizzare qualcosa per il 2016, come il 3° My Unique Jazz Festival a Berlino, di jazz europeo. Inoltre vorrei registrare un mio nuovo album, avendo i brani già composti e pronti per essere registrati. Devo trovare una casa discografica o un grant in grado di finanziare il progetto. è anche in cantiere un nuovo album con il pianista Ekkehard Wölk. Poi un mio grande desiderio è di vedere il jazz, e i musicisti di jazz, rispettati come meritano. Bisogna considerare che siamo circondati da musicisti di jazz di grande talento in molte parti del mondo, e con una preparazione artistica incredibile. Se un giorno noi jazzisti riuscissimo ad avere anche un quarto della considerazione che meritiamo staremmo tutti veramente bene. Io ci spero e ci credo… e se solo fossimo più uniti e solidari trà noi sarebbe tutto anche più facile. L’ego bisogna lasciarlo da parte, tanto, i vari Charlie Parker, John Coltrane, Bill Evans etc. nessuno riuscirà mai a raggiungerli per quello che hanno fatto. Mentre invece tutti quei musicisti/compositori che sinceramente propongono la propria musica in maniera veramente onesta, che viene della propria sensibilità e dal proprio mondo interiore, allora hanno la preziosa possibilità di comunicare agli altri ciò che di bello hanno dentro accendendo una luce per quell’ascoltatore che ne ha un bisogno profondo. Credo ci sia posto per tutti: più siamo e meglio stiamo…
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