Franco D’Andrea – Three Concerts

Franco D'Andrea - Three Concerts

Parco della Musica Records – MPR CD 071 – 2015




Solo:

Franco D’Andrea: pianoforte


Trio:

Franco D’Andrea: pianoforte

Dave Douglas: tromba

Han Bennink: batteria


Sestetto:

Franco D’Andrea: pianoforte

Mauro Ottolini: trombone

Daniele D’Agaro: clarinetto

Andrea Ayassot: sax alto

Aldo Mella: contrabbasso

Zeno De Rossi: batteria





Franco D’Andrea: tre dischi, tre modi uguali ma diversi di raccontare la sua musica. Facce di una medaglia trina; profili di una personalità pianistica poliedrica che sposta l’asticella sempre più avanti, concerto dopo concerto fino a raggiungere una nuova frontiera. Si perché Franco D’Andrea è come gli americani, volge leggermente lo sguardo indietro ma ciò che tiene a mente è quello che gli sta davanti, o meglio ciò che deve ancora accadere, che si vede in lontananza coperto dalle nebbie del tempo e che, man mano che si avvicina, diventa sempre più nitido e chiaro (Coming on the Hudson). E li, al centro di una scena scarna e minimale c’è il suo pianoforte, che come in Dogville cede all’immaginazione la licenza di correre e inventare figure e toponomastiche di una narrazione che dai prodromi monkiani ripercorre l’esistenza di un jazz che trova forza nell’infinita ri-creazione di se stesso.


In questo D’Andrea è maestro, perché riproduce la storia alla stregua di un bambino, lasciando inalterato il plot/tema ma circondandolo di innumerevoli espedienti narrativi e creativi che cominciano con Bright Mississippi e terminano in Monodic, per esempio. Per lui carta bianca è una licenza senza vincoli. È dare libero corso alla fantasia, rendere materiali i sogni di una vita e suonarli in solo, in trio e in sestetto. Si diceva il pianoforte al centro, si ma in costante comunicazione con gli altri strumenti, dove l’interplay s’incastra perfetto e una telepatica simbiosi tiene assieme ogni singolo musicista per far si che la musica sia un unicum irripetibile. Ayassot s’intreccia con D’Agaro; Ottolini sfida l’arcobaleno; Mella scava Riff; De Rossi gestisce i battiti; Douglas vola nell’aere, Bennink martella con il beat nel sangue; e D’Andrea li a dividere la sua anima in trio, sestetto e in un solo catartico e rivelatore della natura più intima della sua musica.



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