Pino Minafra – Minafric

Pino Minfara - Minafric

SudMusic – sud014 – 2015



Pino Minafra: tromba, flicorno, voce, megafono, direzione, composizione, arrangiamenti

Livio Minafra: pianoforte, Fender Rhodes, sirena, direzione, composizione, arrangiamenti

Vito Francesco Mitoli: tromba, piccolo

Marco Sannini: tromba

Roberto Ottaviano: sax soprano, sax alto, conduction

Gaetano Partipilo: sax soprano, sax alto

Carlo Actis Dato: sax tenore

Nicola Pisani: sax baritono, composizione, conduction

Beppe Caruso: trombone

Sebi Tramontana: trombone

Giorgio Albanese: fisarmonica

Giorgio Vendola: contrabasso

Vincenzo Mazzone: batteria

Giuseppe Tria: batteria

Faraualla:
Gabriella Schiavone: voce, composizione

Maristella Schiavone: voce

Terry Vallarella: voce

Serena Fortebraccio: voce






Il nuovo lavoro di Pino Minafra è una fotografia nitida e particolareggiata del percorso compiuto dalla MinAfric Orchestra. Sin dal titolo, omonimo, identitario, rivendicatore: MinAfric, appunto. E, come molte delle cose proposte da Pino e Livio Minafra, sollecita domande, solleva questioni, fa collidere oggetti musicali, trae linfa vitale dai cocci delle collisioni, racconta le persone che sono coinvolte nella musica e la società che le circonda, affronta le problematiche e le distorsioni che la attraversano.


Il Sud, la Banda, le tensioni metropolitane, il folklore, il senso ancestrale, il jazz, il grottesco, lo sguardo ai Balcani, le storie dell’immigrazione. Sono tutte maschere che Minafra fa indossare alla sua creatura musicale, maschere utili per descrivere l’attualità e per rivelarne gli stati d’animo. La festa sonora che corre nelle sette tracce serve per riflettere in modo disincantato sulla realtà odierna, l’allegria e l’impulso continuo dato alla musica non nascondono – o, meglio, non mettono in secondo piano – gli aspetti più seri che si accompagnano allo scorrere dei brani, alle suggestioni che vengono evocate. Accostamenti spesso stridenti e ruvidi, richiami e citazioni utili per dare le coordinati all’ascoltatore e per far passare anche il senso della trasformazione operata, contraddizioni e ricongiungimenti che rappresentano la complessità di quanto vediamo accadere tutti i giorni davanti ai nostri occhi.


Se il disegno e l’architettura sono principalmente opera di Pino e Livio Minafra, la MinAfric è un corpo collettivo. Animato dalle personalità coinvolte e dalla forza interpretativa dei musicisti chiamati a portare le loro esperienze all’interno del discorso, la formazione riesce con il suo “corpo” tanto plurale quanto agile a rispondere alle tante istanze presenti nei brani. Ogni traccia è una piccola suite, ricca di riflessi provenienti da tante situazioni stilistiche diverse: la valenza dei musicisti rende possibile affrontare il discorso messo in opera. L’abilità di coordinare i registri e le intenzioni dei vari passaggi è la chiave per non rendere il tutto cacofonico, per utilizzare la molteplicità di stimoli in senso creativo senza subirne i contraccolpi e rendere disordinato il racconto. Minafra lavora per rendere organizzato il percorso dell’orchestra, ma si avverte costante anche l’intenzione di scompaginare per suscitare possibilità diverse, di ribaltare il tavolo per scatenare altri stimoli: la compagine scelta è in grado non solo di seguire le istruzioni lanciate da Minafra ma anche di rilanciare, fare proprio e valorizzare ulteriormente un disegno già ricco e complesso.


La spinta tonitruante e la grande varietà di linguaggi espressi della MinAfric trova naturalmente sponda nella filosofia musicale dei brani. Il trombettista prosegue il discorso avviato con il Sud Ensemble, un ragionamento capace di ruotare intorno ad alcuni punti fermi – la Banda, certe reminiscenze delle avanguardie europee, una sorta di DNA musicale mediterraneo – e di aggiungere ad ogni passaggio un nuovo tassello, una specifica componente. Il risultato è una combinazione del tutto originale di determinazione e movimento: insiste di continuo sugli stessi punti ma interagisce ogni volta secondo modalità e intenzioni diverse. Naturalmente, di volta in volta, entrano elementi aggiuntivi come, ad esempio, il canto ancestrale e misterico delle Faraulla o l’ispirazione alle danze balcaniche per allargare il discorso. E, ancora, l’utilizzo di composizioni o arrangiamenti dei membri del gruppo – nel disco troviamo Fabula Fabis II di Nicola Pisani e Masciare composta da Gabriella Schiavone e arrangiata da Roberto Ottaviano – o il ricorso alla conduction. Spezie e ingredienti vanno a dare sapore al piatto di MinAfric, “soffi”, anche minimi, che si sommano e che non fanno mai fermare La girandola, per usare il titolo di uno dei brani del disco.


E si torna all’inizio. Pino e Livio Minafra fanno compiere un ulteriore passo alla loro “creatura”. MinAfric si interroga e ci pone questioni: è impossibile non associare Maccaroni alle vicende di cronaca, di migrazione, di tentativo di riscatto dalla povertà e dal disagio; è difficile ascoltare La danza del Grillo e non pensare alle vicende italiche degli ultimi sessanta o settant’anni. La forza di Minafric è porre di continuo le stesse questioni perché restano di continuo inevase, è comprendere che occorre una vorticosa, furibonda e festosa pazienza per provare a spostare l’obiettivo e per guardare gli stessi punti con prospettive sia pur di poco differenti, sperando di ottenere prima o poi una risposta.



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