Irit Dekel & Eldad Zitrin – Last of Songs

Irit Dekel & Eldad Zitrin - Last of Songs

Autoproduzione – 2014



Irit Dekel: voce solista, cori

Eldad Zitrin: voce solista, cori, chitarra, pianoforte, Fender Rhodes, fisarmonica

ospiti:

Gilad Shmueli: batteria

Yochai Cohen: percussioni

Itamar Doari: percussioni

Nir Maimon: programming, synth, basso

Amitai Parienta: basso elettrico, contrabbasso, dobro

Gilad Ephrat: contrabbasso

Omri Agmon: chitarre

Eyal Heller: chitarra acustica, charango

Dudu Tassa: chitarra acustica

Alo Alaev: voci, percussioni

Ariel Alaev: percussioni, fisarmonica

Zvika Alaev: percussioni

Amir Alaev: percussioni, qanoon

Avika Alaev: violino arabo

Eyal Sela: clarinetto turco, bansoori, ney, flauto

Mark Elihau: kamanché, saz

Shachar Ziv: corno francese





Quasi spossante ma orientativa la lettura dei credits, che comunque e palesemente daranno ragione del corposo tratto identitario dei musicisti coinvolti, Last of Songs essendo composito songbook abitato e imbevuto di un ampio gusto pop mediterraneo e mitteleuropeo, aree cardinali dello sciamante evoluzione del gusto ebraico moderno, tra solarità sefardite e teatralità klezmer, giusto per (estrema) sintesi.


Una ventata orientalistica, pertinente per flussi e notazioni, anima di colore temperato e speziato gusto un florilegio ardito della formula-canzone, assai esteso tra un’irrinunciabile Billie Holiday e le consorelle Carmen McRae e Nina Simone a celebrate hits d’estrazione cinematografica, di cui appare preminente per segni ed ispirazioni la natura del femmineo. Ed in ciò davvero non sembrano difettare frecce (e maliziose saette) alla faretra della talentuosa vocalist Irit Dekel, pervasa di talento attoriale e fascinoso incarnato timbrico, sostenuta non certo in minore dalla pressoché inesauribile inventiva registica del polistrumentista-partner Eldad Zitrin, d’alterno concerto con l’efficace avvicendamento tra comprimari di spessore.


Tra folate di temperata corrente medio-orientale e micro-ingegnerie elettroniche, plastiche elettroacustiche ed elastici groove, dal clima transumante di Get Happy o The Rose alla suadente forza ipnotica di Blues in the Night, dalla verve picaresca che trasfigura You don’t know what Love is e dalle danzanti e sospese ricreazioni dei climi sixties in Skylark alla nervosa eleganza post-rock in Guess who I saw today, tra sentori lounge ed ampi flussi di levantina sensualità, Last of Songs vive (e molto spesso splende) della catturante vocalità della front-woman, e l’equilibrio instabile della raccolta (chissà “quanto casuale” il narcisistico richiamo alla salomonica Song of Songs) conferisce godibilità ad ampio raggio almeno nell’inventiva di cui l’abitato ensemble fa bandiera ed eclettico modus performandi.


Di varia effervescenza ed assortito impiego del colore, animato dalle trovate finemente trasgressive del duo, se non un disco-avvenimento, certamente un prodotto che utilmente e con intelligenza estetica aggiornerà in forma trasversale su aggiornate chiavi del global-pop contemporaneo, vivente per ampie vedute e sincronizzato sui tempi di decadimento del frenetico (e quanto spesso fatuo) ricambio stilistico odierno.


Link correlato: www.lastofsongs.com/albums/our-remake