Foto: la copertina del disco
Slideshow. Giulia Facco
Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Giulia Facco?
Giulia Facco: Giulia Facco è una pianista e compositrice di Padova, che propone la propria visione personale nell’ambito della musica jazz.
JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
GF: Quando ero bambina, mio padre, che arrivò al quinto anno di conservatorio da adolescente, mi suonava alcuni brani di Bach e Chopin, e delle trascrizioni per piano di St. Louis Blues e Oh when the Saints go marching in. Spesso gli chiedevo di suonare prima di addormentarmi… era un momento per me magico!
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una musicista jazz?
GF: Sicuramente la curiosità per l’improvvisazione e l’amore per questa musica. È una musica che insegna ad ascoltare gli altri e che richiede una profonda onestà verso noi stessi, disciplina e pazienza; è anche un bellissimo viaggio verso noi stessi.
JC: E in particolare una pianista jazz?
GF: Da piccola cominciai a prendere lezioni di piano (classico). Dopo circa cinque anni smisi, perché mi annoiavo (avevo bisogno di stimoli creativi diversi), ma ho sempre suonato per conto mio, inventandomi dei pezzi e “giocando” col piano. Avrei voluto cominciare a suonare la batteria, ma mia madre mi fece capire che non sarebbe stato il caso, dato che è uno strumento molto rumoroso. Così ricominciai a prendere lezioni, da adolescente, cercando un’insegnante di piano “moderno”, non di musica classica; fu così che conobbi Aisha Ruggeri, che piano piano mi introdusse al jazz.
JC: Ma cos’è per te il jazz?
GF: Sono sempre stata attratta dall’aspetto più autentico del jazz, una musica ricca di energia, caratterizzata dalla freschezza e dall’imprevedibilità dell’improvvisazione e dalla solidità di un groove circolare, un groove che, nelle sue radici africane è il veicolo che unisce l’uomo e la sua parte spirituale.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla tua musica?
GF: Mi piace ricreare dei piccoli universi emotivi in cui siano presenti calore, voglia di immaginare, relax, amore per la vita e senso dell’umorismo; questi, per me, sono tra gli aspetti fondamentali dell’esistenza e, perché no, della musica stessa.
JC: Tra i brani del disco ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
GF: Sicuramente The Prophecy, la title track perché è uno dei primi brani jazz che ho scritto. Ricordo di averlo scritto in un momento in cui ero molto ispirata; il pezzo è “uscito” in un flusso costante, quasi come se esistesse già da qualche parte e fosse arrivato alla mia mente.
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
GF: Uno solo?!? Allora scelgo A Love Supreme di Coltrane: ascoltarlo è un viaggio incredibile nella musica e nella spiritualità di Trane.
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
GF: Devo molto ad alcuni insegnanti e colleghi, Marco Tamburini, Stefano Onorati, Marcello Tonolo, Stefano Bellon, Eric Legnini, Michele Manzo e Bruna Castelli. Nella cultura, ma sopratutto, nell’educazione, i miei genitori: mi hanno sempre permesso poca tv, nessun videogioco e tanti libri, mi hanno dato la possibilità di viaggire e aprire la mente. Nella vita la mia famiglia e i miei amici più stretti e sicuramente certe letture (Castaneda, Jodorowsky, Dalai Lama…)
JC: E i pianisti che ti hanno maggiormente influenzato?
GF: Amo l’essenzialità,la percussività e la dissonanza; tra i pianisti che amo di più ci sono sicuramente Monk, Duke, Bill Evans, Ahmad Jamal, Red Garland e Horace Silver.
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
GF: Sono molto soddisfatta dell’uscita di questo disco: è un progetto interamente originale e questo mi rende ancora più felice, è un piccolo obiettivo conquistato.
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
GF: Amo collaborare con chi sa ascoltare, con chi ha voglia di creare “musica” e non emergere individualmente. Mi sono trovata molto bene, anche da questo punto di vista, con Mirko, Davide, Riccardo ed Enrico.
JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?
GF: Beh, credo che sia un argomento molto complesso: molta gente è totalmente disinteressata a cercare della musica che va al di là di quello che propongono i mass-media, e questa ignoranza non aiuta chi invece lavora in ambienti di nicchia. D’altra parte credo che i musicisti dovrebbero assicurarsi che la loro musica non sia “sterile” (a volte ci si nasconde dietro virtuosismi e a musica troppo concettuale). Credo che sarebbe bene avere qualche sussidio statale per gli artisti (come in Belgio e in Francia) e che bisognerebbe avere delle alternative alla SIAE.
JC: E più in generale della cultura in Italia?
GF: C’è una tendenza generale di “sistema”, non solo italiana, nell’appiattire il livello di coscienza dell’essere umano, e quindi anche di cultura; renderci frustrati e ignoranti, sicuramente ci fa spendere di più e ci rende più “controllabili”.