Foto: Luca Labrini
Avishai Cohen Trio e Peirani & Parisien @ Roma Jazz Festival 2015
Roma, Auditorium Parco della Musica
Avishai Cohen Trio – 19.11.2015
Vincent Peirani, Emile Parisien – 25.11.2015
La trentanovesima edizione del Roma Jazz Festival non presenta alcun nome in grado di meritarsi la grande Sala Santa Cecilia, né tantomeno riuscire a riempire la più piccola Sala Sinopoli, presentando un cartellone fatto di soliti ritorni e ben poche novità. Ecco che si fatica a trovare il grande artista che possa essere il simbolo di questa edizione legata al cibo, nome di spicco tuttavia identificabile nel contrabbassista israeliano Avishai Cohen, già presente nell’edizione di due anni fa con un progetto di musica tradizionale che non aveva affatto entusiasmato. Quest’anno invece il bravo musicista si presenta in quella formazione che probabilmente ne esalta appieno le sue qualità, ossia il trio, completato dai due giovani e talentuosi Eden Ladin al pianoforte e Daniel Dor alla batteria. Con ben quindici album all’attivo in meno di venti anni di carriera, Cohen presenta dal vivo la sua ultima uscita discografica, From Darkness, album sempre in trio ma con il pianista Nita Hershkovits. Qui il contrabbassista ritorna all’essenza del suo linguaggio, confermandosi ancora una volta come brillante compositore, in una dimensione che non delude nemmeno nella esibizione live. Cohen come di consueto si piazza al centro del palco in primo piano, rubando fin da subito la scena in una lunga intro in solitudine. I due giovani ma già validi compagni rimarranno sempre dietro, esaltando lo stile e la tecnica del leader per tutto il concerto: Ladin infatti si manterrà morbido e leggero anche nei pochi momenti solistici, mettendo in evidenza comunque un apprezzabile stile pianistico, mentre Dor è ben più energico in un feeling con Cohen finissimo, formando una ritmica di assoluto spessore. Il contrabbassista da parte sua è bravo a far raccordo tra due anime così diverse, collocandosi in mezzo e sfruttando al meglio due personalità agli antipodi, dettando tempi e modi delle esecuzioni e rimanendo sempre il cuore pulsante del trio. Il repertorio proposto è un perfetto riassunto tra i nuovi brani e quelli che l’hanno reso celebre, con i tre che colpiscono per la naturalezza con la quale fanno crescere i brani in dinamiche sempre varie e moderne, passando da momenti più rilassati e calmi ad altri più tesi in perfetta armonia. In conclusione, applausi meritati per tutti e anche due bis dove viene proposta una splendida Remembering e l’unico standard della serata con una bella, e questa volta classica, versione di All The Things You Are.
Un altro ritorno atteso è quello del fisarmonicista francese Vincent Peirani questa volta in duo con il sassofonista Emile Parisien, entrambi vincitori del prestigioso premio Django Reinhardt e protagonisti di un acclamato album uscito per la ACT nel 2015, Belle Époque. Qui i due portano in scena uno spettacolo di gran classe in uno stile francese raffinato ma anche divertente che parte da Sydney Bechet, non a caso aprono con una rivisitata versione di Egyptian Fantasy riproponendo anche una altrettanto celebre Song of Medina, passando per Ellington, e la sua Dancers in Love, e al ragtime di Henry Lodge in una favolosa versione riveduta di Temptation Rag. Più complesse e meno coinvolgenti le composizioni originali proposte, con la lenta Hysm a firma del sassofonista e una fin troppo articolata Schubertauster composta da Peirani, prima del finale in cui i due alzano di nuovo i ritmi prima di una finale mazurka macedone dal sapore balcanico. Una esibizione che ha raccolto davvero ben poco pubblico ma che avrebbe meritato sicuramente più attenzione, con i due davvero bravi a proporre uno spettacolo che strizza l’occhio alla tradizione dei grandi con molto rispetto, affiancando uno stile moderno e a tratti scanzonato che rapisce e svaga senza mai cadere nella mediocrità, grazie alla tecnica ed ad un interplay tra i due musicisti davvero notevole.
L’anno prossimo sarà la quarantesima edizione di un festival storico ed importante: la speranza è quella di vedere un cartellone finalmente ricco di nomi che possano riportare il jazz a riempire tutte le sale dell’Auditorium, cosa che non accade da diverso tempo e dove il jazz pare trovare, ahinoi, sempre meno spazio e attenzione.