Foto: La copertina del disco Old Man River
Alberto Vigevani. Lo spiritual del Mnogaja Leta Quartet
Jazz Convention: Partiamo dalla storia del Mnogaja Leta Quartet: da quanto tempo siete insieme?
Alberto Vigevani: Siamo insieme da tutta la vita! Nel senso che siamo un quartetto vocale, composto da due tenori e da due bassi, e siamo insieme dai tempi del Liceo, avevamo diciotto anni allora, ormai cinquantaquattro anni fa. Abbiamo cominciato nel 1961, al Liceo Carducci di Milano. Non abbiamo cominciato cantando i negro spiritual, abbiamo cominciato cantando canzoni delle nostre valli, canzoni di montagna, canzoni milanesi, canzoni di Jannacci. Poi, poco alla volta, abbiamo cercato di interpretare brani di tutto il mondo e, diciamo, in lingua originale. Nel senso che, spiego il “diciamo”, magari chissà quanti strafalcioni ci abbiamo messo dentro… E poi siamo arrivati al repertorio degli spiritual, perché ci siamo appassionati a questo tipo di musica e di vocalità.
JC: Vogliamo intanto ricordare i nomi dei componenti del quartetto…
AV: Si… allora ci sono due tenori, Luciano Gattinoni e Nino Giagnoni, e due bassi, vale a dire Maurizio Mauri e io che sono Alberto Vigevani.
JC: Qual’è l’origine del vostro nome?
AV: Un nome impronunciabile e impossibile da scrivere perché, in realtà, dovrebbe essere scritto in cirillico. Come dicevo prima, noi abbiamo cominciato cantando canzoni popolari un po’ di tutto il mondo e la prima volta che abbiamo fatto un concerto ufficiale, quando cioè oltre ai brani ci hanno chiesto anche il nome della nostra formazione, ci siamo trovati spiazzati: noi non avevamo un nome. Era il periodo in cui c’erano gruppi dai nomi un po’ balordi, come I campioni, Gli Squali… e abbiamo scelto Mnogaja Leta che significa Molti anni felici in staroslavo: è un augurio ed è il titolo di un inno che si canta al termine di ogni Divina Liturgia nel rito bizantino slavo e che si ritrova nel Boris Godunov di Musorgskij: nel momento dell’incoronazione di Boris, tutto il popolo canta quest’inno. L’abbiamo scelto pensando «Forse, lo useremo questa volta soltanto» e poi, invece, lo abbiamo portato in giro per tutto questo tempo.
JC: Quali formazioni avete preso come modelli?
AV: I Golden Gate sono sicuramente stati la formazione che ci ha fatto innamorare del genere. Hanno cominciato a cantare nel 1934 e noi solo nel 1961, appunto… Erano proprio i nostri modelli.
JC: Quali sono state le tappe più importanti della vostra carriera?
AV: Più che altro siamo riusciti a fare un po’ di dischi: nel 1969, il primo trentatré giri e poi ancora nel 1972 fino ad arrivare a questi anni più recenti in cui abbiamo pubblicato dei compact disc. Ovviamente, interpretando sempre il repertorio degli spiritual. Tutti i nostri lavori sono usciti per la Rugginenti Editore. L’ultimo nostro disco risale a quattro anni fa e si intitola Old Man River: anche se questo brano non è un vero negro spiritual, ma proveniente da un musical.
JC: Nella vostra formazione, oltre alle quattro voci, sono presenti anche un chitarrista, un bassista e un batterista. E, inoltre, avete avuto una buona idea per i vostri concerti: vale a dire uno di voi, traduce il testo dei brani e porge il racconto del contesto e della storia al pubblico…
AV: Specialmente agli inizi della nostra carriera, l’inglese degli spiritual – in realtà un vero e proprio slang – era difficile che fosse compreso a pieno dal pubblico. E allora a noi importava che si conoscesse il testo di questi bellissimi brani.
JC: Tra le canzoni che proponete qual’è quella che incontra il maggior successo da parte del pubblico?
AV: Direi proprio Old Man River… È un brano molto conosciuto e per questo incontra sempre successo. Tra gli spiritual propriamente detti, invece direi Joshua fit the battle of Jericho oppure When the Saints go marching in che, solitamente, compare nei nostri bis.
JC: Nel corso degli anni, ci sono stati dei concerti che vi hanno dato particolari emozioni…
AV: Sicuramente il concerto per i nostri venticinque anni di attività dove è venuto moltissimo pubblico e ci hanno consegnato il disco d’oro, al Conservatorio Verdi… Sempre al Conservatorio di Milano, all’inizio degli anni settanta, abbiamo avuto l’occasione di suonare con Renato Sellani. Avevamo conosciuto il pianista nello Studio Sette. Si trattava di un concerto di beneficenza, ricordo, e Sellani è stato ben lieto di venirci ad accompagnare al pianoforte. È stato uno de concerti in cui abbiamo goduto di più, anche se gli accordi che Sellani metteva sul pianoforte erano un po’ diversi – perché lui era un grandissimo jazzista e seguiva la sua linea – da quelli cui eravamo abituati.
JC: Ha seguito l’istinto dell’improvvisatore…
AV: Esattamente, invece noi dovevamo fare per forza il nostro accordo…
JC: Altri protagonisti della scena jazzistica milanese ed italiana con cui vi siete confrontati?
AV: Abbiamo sicuramente conosciuto Bruno De Filippi, Carlo Milano, Giorgio Azzolini…
JC: Mi dicevi che ai vostri esordi avete registrato con un giovanissimo Tullio De Piscopo…
AV: Si, erano i primi anni in cui si sentiva nominare questo batterista emergente. Poi, per un altro quarantacinque giri avemmo come sezione ritmica Giorgio Azzolini e Gil Cuppini: quest’ultimo ha fatto una registrazione delicatissima, una cosa meravigliosa…
JC: Qual è il vostro metodo di lavoro? Fate delle prove? Come “assemblate” un nuovo pezzo che deve entrare nel repertorio?…
AV: Difficilmente ci troviamo per delle vere e proprie prove, a meno di non dover lavorare a un nuovo pezzo. È successo, tempo fa, che Luciano Gattinoni, uno dei due tenori che adesso suona anche il pianoforte, è stato per tre anni in America per studi universitari. Dieci giorni dopo il suo ritorno, Gianfranco Madini ci ha chiesto di fare un concerto per Gli Amici del Jazz a Monza: noi ci siamo trovati in questa sala, senza aver cantato per tre anni, e abbiamo fatto un concerto che è andato benissimo, almeno a guardare il pubblico, come se ci fossimo lasciati tre giorni prima.
JC: Il vostro rapporto con la televisione?
AV: Siamo stati ospiti di Febo Conti, in Chi sa chi lo sa?, siamo stati altre volte in RAI e anche a Rete 4 o Canale 5. Ma soprattutto siamo stati spesso invitati dalla televisione svizzera che ha dimostrato un interesse molto più profondo, devo dire… Le partecipazioni italiane si sono quasi sempre limitate ad un solo brano e, per il nostro genere, non significa molto. Per la televisione svizzera abbiamo avuto modo di fare, un paio di volte, dei programmi di quaranta minuti e riuscivamo ad esprimere molto meglio il nostro mondo musicale. Questo è successo tra gli anni settanta e ottanta. Naturalmente siam andati spesso anche in radio e, un paio di volte, siamo andati ad esibirci a Europa Radio: è stata sempre una bella esperienza, anche perché poi arrivavano le telefonate degli ascoltatori, alcuni ci conoscevano e già allora ci dicevano di essere inossidabili… e sono passati un bel po’ di altri anni: forse, ormai, siamo cromati… Siamo arrivati ormai a un migliaio di concerti: nessuno di noi quattro si applica a fare pubblicità al gruppo, ci chiamano semplicemente perché qualcuno ci ha sentito suonare e vuole portarci nel proprio teatro o proporci in una rassegna. E, devo dire, abbiamo suonato in posti di prestigio, ci siamo tolti delle belle soddisfazioni.
JC: Qual è il rapporto con le nuove generazioni? C’è qualcuno che pensi possa raccogliere il vostro testimone?
AV: Il nostro repertorio si concentra per la maggior parte su brani risalenti al periodo precedente al 1865: quando poi i neri, liberati dalla schiavitù, hanno potuto iniziare ufficialmente a studiare nelle università e nei conservatori. In questo momento, in Italia, ci sono moltissimi cori gospel, alcuni anche molto bravi. Anche se il gospel nasce in un periodo successivo, è un genere coinvolgente. Non si può dire che evoluzione ci sarà per questi generi in futuro. I Negro Spiritual sono ormai tutti codificati, sono brani di autore anonimo, i canti gospel hanno sempre un autore conosciuto e ci sono autori che continuano a scrivere brani gospel moderni, di spessore. È ovvio, negli Stati Uniti sono molti i cantanti che poi diventano celebri, penso ad Aretha Franklin e a tantissimi altri, che passano per il coro della chiesa e poi lì scoprono la loro voce e intraprendono una carriera artistica importante.
JC: In conclusione, avete un sito? come si può restare in contatto con voi?
AV: Si, abbiamo una pagina web e l’indirizzo è www.mnogajaleta.it.