Gabriele Coen Quintet. Da Kurt Weill e Bertolt Brecht ai canti del ghetto

Foto: Fabio Ciminiera










Gabriele Coen Quintet. Da Kurt Weill e Bertolt Brecht ai canti del ghetto

Genova, Palazzo Ducale – 3.2.2016



Gabriele Coen: sassofoni, clarinetto

Benny Penazzi: violoncello

Luca Venitucci: fisarmonica

Danilo Gallo: contrabbasso

Zeno De Rossi: batteria



Nell’ambito delle manifestazioni legate alla celebrazione del “Giorno della memoria”, Gabriele Coen presenta al palazzo Ducale di Genova il suo nuovo progetto con un gruppo inedito, comprendente musicisti di assoluto valore. Dopo aver provato la soddisfazione di incidere con il quintetto abituale, Jewish experience, due cd per la Tzadik di John Zorn, il bandleader romano prosegue nella sua ricerca su un repertorio a lui familiare, alzando il tiro e andando a confrontarsi con Brecht e Weill, due pezzi da novanta del teatro musicale del novecento. Coen passa, quindi, da una rivisitazione di canzoni popolari legate alla tradizione, alla ripresa di classici dell’opera musicale, informati, però, da un humus comune di matrice culturale ebraica. Volendo sintetizzare, si può affermare che il clarinettista compia un’operazione di rilettura di secondo livello, scavando all’interno di pezzi che contengono, più o meno in profondità, l’anima, lo spirito yiddish, ma che sono riconosciuti come altro rispetto al patrimonio folklorico nato nei ghetti. Questi temi, infatti, appartengono all’ambito colto e sono considerati come qualcosa di intellettualmente elevato, mentre il folk, indubbiamente, a torto o a ragione, possiede un pedigree di minor pregio.


Il polistrumentista laziale si affida ai suoi partners per allestire un arrangiamento rispettoso degli originali e allo stesso tempo permeato da elementi riconoscibili del jazz contemporaneo, della world music, in un’operazione gradevole all’ascolto, ma di consistenza e spessore.


Fra i brani eseguiti, si segnala Alabama song, cantata pure dai Doors in passato, in una versione illuminata dal clarinetto piccolo del leader e da un bell’intervento della fisarmonica di Luca Venitucci, con un finale free spiazzante e inatteso.


Di notevole interesse sono anche i due estratti da The eternal road, opera di Weill, questa volta in accoppiata con Franz Werfel e non con Brecht. In questa riproposta trovano spazio i membri del quintetto per incastrare assoli significativi in un contesto mano a mano sempre più avvincente e trascinante.


Il finale del concerto è riservato a tre “Ghetto songs”, fra malinconia, dolore e speranza, illustrati con mano leggera e commossa partecipazione dall’ensemble.


In compagnia dei nuovi compagni di avventura Coen promette di raggiungere risultati ancora più pregnanti nella sua ricerca su klezmer e zone più o meno collegate.


Danilo Gallo e Zeno De Rossi, in primis, sono una ritmica veramente per tutte le stagioni. Sono camaleontici per definizione. Si adattano perfettamente a situazioni più vicine o dentro al rock, si pensi al Tinissima quartet, come in questo ambiente dove devono tirare più di fioretto che di sciabola.


Penazzi e Venitucci agiscono da contraltare melodico e armonico dello strumento a fiato, rivelando un’intesa già confortante e contribuendo non poco a determinare il suono complessivo del quintetto.


Su questa base, il sassofono e i clarinetti si librano, si impennano, planano, raccontano storie antiche o senza tempo, in un’edizione felicemente attualizzata.


Il pubblico presente si dimostra attento e ricettivo, tributando convinti applausi, alla fine, ad una proposta ancora non incisa su disco, ma che merita ampiamente di essere documentata.