JAZU: Jazz from Japan. Intervista. Hitomi Nishiyama

Foto: Akiko Honda










Intervista a Hitomi Nishiyama


Recensione a New Heritage of Real Heavy Metal

Hitomi Nishiyama è una pianista dalla profonda sensibilità melodica e dalla ferrea logica compositiva. Nel corso degli anni ha saputo usare queste sue qualità per creare una sua personale cifra stilistica diventando una delle pianiste più raffinate e prolifiche delle moderna scena jazzistica giapponese. L’uscita di New Heritage of Real Heavy Metal, il suo album più recente, è un insolita rivisitazione jazzistica di alcuni classici dell’heavy metal e riflette la poliedrica attitudine espressiva di questa musicista.



Jazz Convention: Riportando la memoria alla tua infanzia quali sono i primi ricordi legati alla musica che possiedi?


Hitomi Nishiyama: Mia madre, che era un’insegnante di scuola elementare, quando avevo sei anni acquistò un piano elettrico per esercitarsi ed usarlo durante le sue lezioni. Le chiesi di poter seguire alcune lezioni di pianoforte, ma non venni ascoltata, così iniziai a suonare da sola cercando di riprodurre su quel piano elettrico alcune canzoni che ascoltavo così da poterle dimostrare quello che riuscivo a fare. Era così divertente! Mio padre, invece, adorava il jazz e lo ascoltava spesso in casa.



JC: Dopo aver affrontato un apprendistato da pianista classica cosa ha acceso il tuo interesse per il jazz? Ci sono dei dischi in particolare che hanno stimolato questo interesse?


HN: Ho iniziato a studiare piano classico dall’età di sei anni, ma all’età di 17 anni ho smesso di studiarlo perchè non mi piaceva più farlo. Per me era diventato doloroso. Si era creata una ampia spaccatura tra quello che “volevo realmente suonare” e quello che “dovevo suonare”. Durante questo periodo in cui non toccai affatto il pianoforte, un giorno trovai per caso in un negozio musicale due dischi: Now He Sing, Now He Sobs di Chick Corea e Undercurrent di Bill Evans. Durante la mia infanzia, tramite mio padre, avevo ascoltato il jazz degli anni ’60, soprattutto quello dalle grandi sezioni fiati, quindi non mi era mai capitato di ascoltare del jazz incentrato sulla presenza del pianoforte. Quei due album dalla forte tensione e dalle armonie così complesse mi sconvolsero! Fui improvvisamente attratta dal pianoforte jazz. In seguito a questo, decisi di entrare all’Osaka College of Music dove in due anni mi diplomai in piano jazz.



JC: Dopo il tuo disco d’esordio, I’m Missing You del 2004, nel 2006 hai deciso di unirti al bassista Hans Backenroth e al batterista Anders Kjellberg, alcuni dei più talentuosi musicisti svedesi, con cui hai registrato due album in studio Cubium (2006) e Many Seasons (2007), e un disco dal vivo, intitolato In Stockholm (2008). Da dove nacque l’idea di questo progetto?


HN: C’è un’etichetta giapponese – chiamata Spice of Life – che ha fatto conoscere in Giappone molti musicisti svedesi come Lars Jansson, Ulf Wakenius, The Real Group e altri. Nel 2005 vinsi lo Yokohama Jazz Promenade Competition, noto in Giappone per essere un importante trampolino di lancio per i giovani musicisti di jazz. Dopo questa vittoria ricevetti una mail dal direttore di questa etichetta nella quale mi scriveva che sarebbe stato molto interessato alla produzione di un disco. Ero molto interessata al jazz europeo così decisi di incidere un disco per questa etichetta. Per la registrazione furono ingaggiati il bassista Hans Backenroth dei Sweet Jazz Trio e Anders Kjellberg, batterista del Lars Jansson Trio, che avevano lavorato già tante volte con questa etichetta. Fui felice di incontrarli e suonarci assieme, sono musicisti straordinari dalla grande gentilezza. Finii di registrare il mio primo disco con loro senza alcuna tensione.



JC: Qual’è il tuo rapporto con il jazz europeo in termini di ispirazione e influenza e qual’è la tua opinione riguardo la relazione “sottopelle” che intercorre tra il jazz europeo e quello giapponese?


HN: Ci sono diverse forme di jazz europeo a seconda del paese di appartenenza. Penso che il jazz europeo non si limiti semplicemente ad imitare quello americano, ma tenti di creare una relazione con la propria cultura: gli europei lavorano sul jazz introducendo in esso la musica classica e la tradizione musicale locale. Oggi molti musicisti giapponesicontinuano a relazionarsi fortemente con il jazz americano, mentre nel jazz europeo, così pieno di sfumature, ho sentito un senso di etnicità che trovo molto interessante. Anche se sarei in grado di riprodurre perfettamente lo stile jazzistico americano, cerco un linguaggio e un’espressione che sia propriamente mia. Credo che i musicisti europei siano già dotati di questa qualità in maniera naturale. Ritengo che molti musicisti giapponesi amino il jazz italiano. Il senso melodico italiano è molto simile all’enka, la forma-canzone tradizionale giapponese. Condividiamo un certo gusto comune per la nostalgia.



JC: Dopo questa esperienza svedese hai registrato con due diversi trio giapponesi: quello composto da Yasuhiko “Hachi” Sato al basso e Kazumi Ikenada alla batteria – con cui hai registrato Music in You (2011) e Simpathy (2013) – e un secondo trio, chiamato Parallax, con Takuya Sakazaki al contrabbasso, Takehiro Shimizu alla batteria e Takayoshi Baba, come ospite alla chitarra, con cui hai inciso Parallax (2008) e l’album Shift (2014). In cosa differiscono queste due formazioni in termini di composizione e approccio esecutivo?


HN: Il trio Parallax è stato formato nel 2007 con musicisti della mia stessa generazione con i quali condivido la stessa visione musicale. Pensiamo sempre a Parallax come ad una sorta di pop band e il formato dei brani è un pò diverso da quello propriamente jazzistico. Con l’altro trio composto da Hachi e Kazumi cerchiamo di fare jazz in maniera più seria. Sono musicisti molto esperti e ho molto rispetto per loro. Mi hanno insegnato molte cose importanti sul jazz e su come suonare in ensemble dal vivo.



JC: Crossing, il tuo album del 2013, si concentra su una delle tue modalità esecutive preferite: il piano solo. Qual’è il tuo approccio mentale verso la peformance solitaria?


HN: Crossing è stato il decimo album della mia carriera quindi ho voluto provare a realizzare il mio primo disco in piano solo. Avevo appena conosciuto la Sengawa Avenue Hall di Tokyo, una bella sala da concerto in cui ho in seguito registrato questo lavoro. Adoro questa sala e il piano in loro dotazione: è un Fazioli accordato da un tecnico che reputo molto speciale. Di solito incido miei brani originali e standard jazz, ma in questo album ho voluto suonare alcuni miei brani preferiti tratti dal repertorio tradizionale giapponese, canzoni italiane ed altro. Sin da bambina ho sempre amato le belle melodie e questo album ha rappresentato per me un ritorno alle origini. Le mie radici musicali affondano nelle belle melodie suonate al pianoforte.



JC: La scelta di suonare in questo album Il Tuo Amore, una delle canzoni appartenenti al repertorio del cantautore italiano Bruno Lauzi, denota un certo interesse per la musica italiana. Puoi raccontarci come hai conosciuto questa canzone e perchè l’hai scelta?


HN: Ho conosciuto questo brano ascoltando Italian Ballads vol.1, un album di Lee Konitz e Stefano Battaglia. Amo questo disco e da quando l’ho ascoltato ho iniziato a suonare anche Ma l’Amore No e Parlami d’Amore, Mariù. A noi giapponesi fanno conoscere e cantare canzoni italiane come O’ Sole Mio o Torna a Surriento durante gli anni delle scuole superiori. Le amo da allora.



JC: Secondo la tua biografia, il pianista italiano Enrico Pieranunzi è uno dei tuoi punti di riferimento musicali più importanti. Cosa ti piace di più del suo stile pianistico?


HN: Il primo disco di Enrico Pieranunzi che ho acquistato è stato Deep Down, nel 2000. Fui molto colpita dalla sua musica, così decisi di collezionare tutti i suoi dischi e iniziare a trascrivere le sue composizioni. La sua musica è dotata di un tocco rigoroso e gran senso del ritmo, ma le melodie che suona sono sempre molto cantabili. Mi piace questo equilibrio, ne resto sempre affascinata. Nel 2004 ha tenuto il suo primo tour in Giappone. Ero molto emozionata e andai a vedere tutti i suoi concerti. Furono qualcosa di miracoloso e fantastico. Nel 2005 partecipai allo Yokohama Jazz Promenade Competition, che è uno dei concorsi più importanti del Giappone per quello che riguarda il jazz, la cui fase finale si tenne all’Akarenga Hall, una delle sale da concerto nelle quali Pieranunzi si era esibito nel 2004. Avevo sempre desiderato suonare il suo stesso piano, sul suo stesso palco e come risultato vinsi quella competizione. Pieranunzi è tornato in Giappone per la seconda volta nel 2013. Sono stata ancora una volta a tutti i suoi concerti. Sono riuscita anche a conoscerlo di persona e a passargli alcuni dei miei dischi. Dopo il suo concerto finale fui chiamata da lui e ne fui molto sorpresa. Mi raccontò che aveva intenzione di pubblicare il suo libro in Giappone. Voglio aiutarlo in questo e spero che gli appassionati di jazz giapponesi possano leggere il suo libro.



JC: Durante le tue performance pianistiche spesso scegli di suonare il “nostro” Fazioli. Cosa ti soddisfa maggiormente nelle sue caratteristiche sonore e tecniche?


HN: Ho sentito per la prima volta suonare un Fazioli nell’album Canto Nascosto di Enrico Pieranunzi. Il maestro usa diversi pianoforti in questo album: Steinway, Kawai, Borgato e altri, tra cui il Fazioli. Il suono di quest’ultimo è quello che ha attratto maggiormente la mia attenzione. La prima volta che è toccato a me suonarne uno, ne sono rimasta molto sorpresa: un suono armonioso, ottino controllo e bell’aspetto. Avevo finalmente scoperto il significato della parola “cantabile”. Nel 2008 la Fazioli ha stabilito un importatore in Giappone e da allora i suoi strumenti hanno iniziato a diffondersi nel nostro paese. Ho usato questo pianoforte sui miei dischi Shift, Crossing, Simpathy e Astrolabe. Erano tutti strumenti diversi, ma ciascuno di essi era straordinario e dal suono ricco e distintivo. Voglio cercare di suonare il più possibile con un Fazioli. Mr. Ochi, il tecnico del suono che mi segue nelle mie incisioni, è stato definito dallo stesso Paolo Fazioli, tra i migliori tecnici che abbia mai conosciuto ed io concordo in questo.



JC: La tua musica, così spesso immersa in bellissime melodie, sembra andare controcorrente con la vita frenetica e pulsante di Tokyo, la città in cui vivi. Ti capita di usare la musica come rifugio alla caotica attività di questa megalopoli?


HN: Penso che questo abbia poco a che fare con la mia musica dato che vivo a Tokyo solo da sette anni. Sono cresciuta ad Osaka e sono stata molto influenzata da questa città. Non credo conti molto dove viva ora. Entrambi gli ambienti in cui sono cresciuta, e la musica che ho ascoltato, sono molto importanti per me. Sono molte le persone e le culture provenienti da tutto il Giappone che si incontrano a Tokyo. Osaka, dove sono nata, è nota storicamente per essere stata una città di mercanti, di conseguenza la comunicazione, l’apertura di spirito, che noi chiamiamo ninjou, e l’ironia, sono qualità molto importanti per vivere ad Osaka: è una città strana e divertente. Gli abitanti di Osaka amano le storie emozionali e drammatiche. Forse il mio modo di scrivere musica è stato influenzato da questo, per questo cerco sempre di introdurre nelle mie composizioni qualcosa che abbia a che fare con il ninjou: la generosità d’animo e l’ironia. È l’aspetto che mi ispira di più. Vi suggerisco di passare da Osaka se venite in Giappone, vi si incontrano persone molto divertenti.



JC: In Travels (2013) hai collaborato con la cantante Kaoru Azuma. Comporre musica pensata per una vocalist, che debba poi adattare un testo cantato su di essa, ha determinato in qualche modo un cambiamento nel tuo approccio alla scrittura?


HN: Kaoru ha una voce limpida ed estesa. I testi sono stati aggiunti tutti dopo che avevo già composto i brani. Personalmente amo questo album. Mi ha offerto una buona possibilità di riscoprire come creare delle melodie.



JC: Per gli album Astrolabe (2012), Parallax e Shift hai reclutato il chitarrista Takayoshi Baba affinchè aggungesse il suo suono particolare alla tua musica. Quali sono i pro e i contro nel suonare con un altro strumento armonico come la chitarra e qual è il suono che cerchi in questa combinazione di strumenti?


HN: Mi piace il suono della chitarra ed ho ascoltato molta musica suonata da questo strumento, mi riferisco a rock ed heavy metal. Adoro chitarristi come Yngwie Malmsteen, Ritchie Blackmore, Steve Vai e Kiko Loureiro, per questo mi piace suonare con i chitarristi. Takayoshi Baba è un ottimo chitarrista di jazz, ma guarda anche verso questi “eroi della chitarra” da me citati. È molto divertente suonare con lui.



JC: La tua collaborazione con l’eccellente bassista Daiki Yasukagawa ha dato vita a due degli album più belli della tua discografia, El Cant dels Ocells (2012) e Down by the Salley Garden (2014). Come è iniziato il progetto di questo duo e in che modo la musicalità di Yasukagawa completa la tua?


HN: L’ho incontrato sette anni fa ed abbiamo iniziato suonando in trio con un batterista. Yasukagawa è un contrabbassista straordinario ed un ottimo esecutore con l’archetto, per questo abbiamo pensato che suonare in duo fosse meglio che farlo in trio. Su disco è possibile ascoltare ogni minimo dettaglio sonoro e il respiro dei due strumenti. Ho sempre desiderato suonare in maniera limpida e poi volevo fare conoscere ai miei ascoltatori la bellezza sonora di Daiki Yasukagawa.



JC: Tra i brani originali del tuo disco Shift ci sono dei bei arrangiamenti di The Girl of Ipanema e C Jam Blues che ricordano il tuo interesse per gli standard. Secondo te, cosa possono ancora offrire, in termini di ispirazione, queste vecchie canzoni ai moderni musicisti di jazz?


HN: Voglio continuare a lavorare sugli standard jazz. Quando studiavo al college ho avuto l’opportunita di seguire delle lezioni con il grande sassofonista Phil Woods. Non dimenticherò mai quando ci diceva: «Dovete conoscere la storia e la tradizione, ma anche saper scrivere musica nuova. Sono entrambi aspetti importanti.»



JC: Parliamo di New Heritage of Real Heavy Metal, il tuo ultimo album.


HN: Il mio nuovo album è una raccolta di cover di alcune canzoni appartenenti all’heavy metal e all’hard rock. Ne ho scelte alcune appartenenti alle mie band preferite come Megadeth, Angra, Rainbow, Pantera ed altri. Ascoltavo questo genere musicale durante i miei anni di liceo. Selezionare e poi riarrangiare queste canzoni è stato molto stimolante per me e mi sono divertita molto.



JC: Qual è stata la parte più difficile nel riarrangiare questi brani heavy metal, spesso così virili, veloci e diversi da una composizione tradizionale di jazz?


HN: La parte più difficile è stata trascorrere un sacco di tempo nell’ascoltare e poi selezionare i brani per questo album. I temi hard rock ed heavy metal sono molto semplici e molto spesso suonati attraverso dei riff chitarristici ripetuti, per questo motivo non si addicono ad una esecuzione per piano acustico. Tuttavia ho scelto dei pezzi che avessero delle belle melodie. Tradurre i brani heavy metal in uno tempo swing quaternario sarebbe stato semplice, ma non volevo fare un lavoro di riarrangiamento senza rispettare sia l’heavy metal che il jazz, così ho provato a farlo cercando di mantenere il loro spirito originale.



JC: Qual è la reazione che cerchi di generare con questo album negli abituali ascoltatori di jazz che non hanno mai ascoltato l’heavy metal?


HN: Alcuni veterani ascoltatori del jazz si sono dimostrati un pò perplessi, mentre i più giovani hanno accettato questo progetto con più naturalezza. Credo che questo significhi fare jazz contemporaneo. Ho avuto molte buone reazioni anche dai fan del metal. La gente che non ha mai ascoltato heavy metal pensa che questa musica sia selvaggia, rumorosa e ne hanno una idea sbagliata, ma io conosco e rispetto i musicisti che la suonano. Sono tutti eccellenti musicisti dotati di grande tecnica. I fan dell’heavy metal hanno capito ed apprezzato il fatto che abbia trattato questi brani in maniera seria e attenta.



JC: Com’è nata la scelta di utilizzare alcune foto sexy dell’attrice ed “idol” Luchino Fujisaki per le immagini di copertina?


HN: Tutto è partito da un’idea del mio produttore. Sinora ho realizzato molti album ed ho quindi pensato che fosse il momento di tentare qualcosa di diverso con le immagini di copertina. Mi piace molto il risultato finale, credo abbia un certo stile.



JC: Qual è la tua opinione circa l’odierna scena jazzistica giapponese?


HN: Attualmente non c’è una situazione economico-musicale favorevole. Le riviste di jazz sono diminuite e le major discografiche si sono indebolite. Questo, tuttavia, può rivelarsi un’opportunità. I giovani musicisti cercano di fare tutto da soli promuovendosi attarverso internet. Trasferire le informazioni promozionali da soli, rende perfino più semplice realizzare un Cd. In un certo senso è un bene potersi muovere in totale libertà. I giovani musicisti suonano jazz badando solo a sè stessi. A volte può capitare che i musicisti più anziani, ascoltando la musica da loro suonata, dicano «Questo non è jazz», ma io credo che un musicista debba andare dritto per la sua strada e pensare solo a quello che sia meglio per lui.



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