JAZU: Jazz from Japan. Recensioni. Hitomi Nishiyama, New Heritage of Real Heavy Metal

JAZU: Jazz from Japan. Recensioni. Hitomi Nishiyama, New Heritage of Real Heavy Metal

Apollo Sounds – APLS-1510 – 2015




Hitomi Nishiyama: pianoforte

Ryoji Orihara: basso fretless

Manabu Hashimoto: batteria





Intervista a Hitomi Nishiyama

Non c’è niente di più lontano dai concetti di swing, interplay e improvvisazione, elementi imprescindibili del jazz, come l’heavy metal e l’hard rock. Il prorompente virtuosismo di Eddie Van Halen, la sinistra vocalità di Ozzy Osbourne o i poderosi riff chitarristici di un power trio, poco o nulla hanno a che fare con il tocco delicato di Oscar Peterson piuttosto che con la catarsi improvvisativa di John Coltrane. Eppure la pianista Hitomi Nishiyama prova a tracciare una linea di connessione tra questi due lontanissimi pianeti realizzando questo album che è un tributo jazzistico ad alcuni classici del rock più estremo. La Nishiyama, musicista prolifica ed eclettica, dopo essersi cimentata con dischi in duo, trio e quartetto, spesso incrociando la strada di alcuni dei migliori musicisti della scena giapponese ed europea, rispolvera una passione, nata in età adolescenziale, per le energiche sonorità appartenenti all’heavy metal, per offrire una inedita e coraggiosa interpretazione di questo genere musicale. Per l’occasione la Nishiyama ha riascoltato quasi un centinaio di album metal alla ricerca di brani che potessero essere adatti ad affrontare questo restyling jazzistico, affrontando così un lavoro che, dato il materiale musicale omaggiato, appariva non privo di insidie.


Come una moderna Re Mida della mitologia greca, il cui tocco trasforma in oro tutto quello che tocca, la Nishiyama sa trasformare la materia grezza del rock estremo in ispirata melodia andando a cercare nelle pieghe degli ostinati ritmici e nelle rabbiose esecuzioni vocali degli originali, scampoli tematici e melodici che usa per creare il proprio veicolo improvvisativo, mantenendo inalterata la sua personale sensibilità melodica e grande versatilità musicale.


Attraverso questo processo i brani d’origine, seppur riconoscibili, appaiono rivestiti da una rinnovata aura di eleganza e ricercatezza che rendono il giusto omaggio ad un genere che sino ad ora era stato poco frequentato dai musicisti di jazz.


Dead of Night, un classico del primo progressive rock, reso celebre agli inizi degli anni ’80 dagli UK, band nata da quel che restava dei King Crimson, qui mantiene la sua originaria scansione ritmica in sette quarti che la Nishiyama, autrice di tutti gli arrangiamenti, rialabora con intelligenza. In Man on the Silver Mountain dei Rainbow, band guidata dal chitarrista Ritchie Blackmore, reduce dai suoi ben più noti Deep Purple, viene sottolineata in particolar modo la melodia pricipale del brano che viene usata come base di lancio di una lunga improvvisazione corale ricca di inventiva. Nemmeno le forme più estreme dell’hard rock come il trash metal, di cui i Pantera hanno rappresentato negli anni ’90 uno dei gruppi più celebrati del genere, restano fuori da questa rivisitazione jazzistica che tramuta la loro aggressivissima Walk in un brano in cui il riff centrale diventa solida base di una improvvisazione dai tratti modali. La ruvida voce del leader, cantante e chitarrista Dave Mustaine, degli statunitensi Megadeth, viene qui sostituita dalla cantante Tomomi Oda, la prima di una serie di ospiti presenti nell’album, che trasforma la loro Skin o’ my Teeth in una dinamica, ma più rassicurante pop song, cantando le sanguinolente ed orrorifiche liriche originali in maniera giocosa ed ammiccante. La successiva Fear of the Dark, degli inglesi Iron Maiden, che già nell’originale possedeva una intro distesa e suonata in acustico, vede la presenza ospite del chitarrista Takayoshi Baba, che ne ripercorre e reinventa il tema contribuendo a rendere il pezzo una morbida ballad dal sapore mediterraneo.


Padri fondatori dell’heavy metal come i Deep Purple vengono celebrati con la loro Demon’s Eye, brano dalla semplice e circolare struttura blues che, cantato nell’originale dal cantante Ian Gillan, viene rimaneggiato dall’ottima trombettista Hikari Ichihara, musicista dal solismo viscerale ed ispirato.


La Nishiyama si spinge dalle radici dell’heavy metal fino alle tendenze più moderne del genere, rappresentate in questo caso dalle Babymetal. Abbracciando in pieno lo spirito di questo atipico e popolarissimo gruppo di reginette del pop giapponesi, la cui particolarità è quella di cantare su graffianti ritmiche power metal, la Nishiyama riarrangia la loro Akumu no Rinbukyoku, esaltandone il lato spiccatamente gotico delle melodie. Brano dalla struttura più complessa è invece Upper Levels dei brasiliani Angra, provvisto di numerose e ostiche sezioni di stampo virtuosistico che i tre membri sanno affrontare in maniera impeccabile, facendone uno dei brani più interessanti dell’intero album. Chiudono l’album, The Halfway to Babylon, unica composizione originale della Nishiyama, e Green-Tinted Sixties Mind dei Mr.Big, cantabile brano appartenente alla corrente più orecchiabile dell’heavy metal, che vede la presenza ospite del bravo altosassofonista Ryosuke Hashizume, musicista dotato di un suono pulito e rotondo.


Ma questo lavoro non sarebbe stato lo stesso se la Nishiyama non avesse avuto al suo fianco una sezione ritmica come quella composta dal bassista Ryoji Orihara e dal batterista Manabu Hashimoto. Il talentuoso Orihara suona il suo basso fretless utilizzando tutte le potenzialità dello strumento: da quelle più marcatamente ritmiche, fatte di groove, bordoni e walking, in parecchi casi sostituendo i riff chitarristici degli originali; a quelle più squisitamente musicali, attraverso efficaci escursioni solistiche e raffinate trame melodiche. Allo stesso modo il batterista Hashimoto sa creare il giusto supporto ritmico al pianismo della Nishiyama attraverso un drumming capace di delineare il carattere di ciascun brano, andando così a costruire un amalgama ritmico perfettamente omogeneo con quello degli altri membri.


Tra le altre, una speciale nota di merito da attribuire alla Nishiyama per questo album, è quella di spingere gli abituali ascoltatori di jazz a scoprire, mossi dalla curiosità, i brani originali che hanno ispirato le cover e, di riflesso, avvicinare i fan dell’heavy metal a queste rielaborazioni jazzistiche dei loro brani preferiti, gettando così un ponte tra generi musicali agli antipodi, ma intenti per una volta a giocare su un territorio comune, allargando allo stesso tempo le vedute del jazz per il nuovo millennio.



Link di riferimento: https://www.youtube.com/watch?v=GWBPgWJZSdI