Foto: dal sito web di Max Carletti: www.maxcarletti.it
Slideshow. Max Carletti
Jazz Convention: Max quando ti sei accorto di essere un musicista?
Max Carletti: Non me ne sono ancora accorto ma ci provo… suonare per me significa cercare di avvicinarmi sempre di più ai miei ideali musicali.
JC: Ti consideri un musicista jazz, giusto?
MC: Il jazz mi piace perché mi permette di misurarmi con me stesso, perché nella musica che suono c’è sempre una quantità incredibile di cose da fare, perchè mi consente di sperimentare soprattutto a livello armonico-ritmico. Essendo chitarrista, credo di avere un background diverso dagli altri jazzisti; anch’io, comunque, ho ascoltato molto di ciò che è venuto alla chitarra dopo Jim Hall; parlo di John Abercrombie, John Scofield, Bill Frisell, Pat Metheny, anche loro hanno un bagaglio che è portato avanti non solo dal jazz ma dal blues e dal rock, come è accaduto per Jimi Hendrix, che interessava moltissimo a Miles Davis; di sicuro avrebbero collaborato assieme, se Jimi non fosse morto.
JC: Tra le tue svariate collaborazioni c’è anche quella con il jazz più famoso all’estero: Paolo Fresu… Cosa puoi dire in merito?
MC: Ho suonato in un disco di Paolo, sono stato l’unico italiano come ospite nel quintetto classico con Tino Tracanna, un gruppo che è sempre stato chiuso; poi in un’occasione di una colonna sonora ci siamo trovati. È nata un’ottima esperienza che mi ha dato molto. Ancora oggi, se ho qualcosa da fare ascoltare in anteprima, mi rivolgo a lui, che gentilmente mi risponde, come in questo caso, scrivendo la presentazione del mio nuovo album, come note di copertina.
JC: Come definiresti, Max, la tua musica in una frase?
MC: Una ricerca più sulle note che sui suoni, puntando anche sull’interplay.
JC: Perché il titolo 10AM al tuo nuovo CD?
MC: Vuol dire 10 del mattino, l’ora in cui di solito mi sveglio, per molti sarà tardi, ma noi jazzisti andiamo a letto molto tardi, perché lavoriamo e suoniamo di notte. Dunque alle 10 ormai sveglio con una tazza di caffè davanti, iniziai a scrivere i singoli episodi dell’album.
JC: E come allora nasce questo disco? Come hai composto i brani?
MC: Quando invento i pezzi da suonare sono un po’ disordinato, a volte li penso e li canticchio agli altri, che li imparano a memoria perché io sono pigro e poi li suoniamo. Spesso la scrittura dei brani avviene solo a lavoro ultimato. Con Stefano Profeta e Paolo Franciscone abbiamo un background stretto, io sono sregolato e loro, nel gruppo, mi tengono a freno.
JC: 10AM può essere definito un concept album?
MC: Non è un concept, ma segue composizioni fatte tutte in un certo periodo tranne un pezzo di Stefano che si integra però bene. Il disco ha un suono preciso, i pezzi posseggono tutti una caratteristica sonora propria che, a sua volta, ha un filo conduttore, proprio come un concept.
JC: Quali sono i tuoi chitarristi jazz prediletti?
MC: Devo dire che alla fine ascolto meno chitarristi, in riferimento sia al jazz moderno sia alla tradizione. Certo, ho iniziato anch’io con Eddie Lang, Charlie Christian, Tal Farlow, Barney Kessel. Adesso, invece, con la chitarra, voglio ottenere un suono vocale e trombettistico, e quindi faccio entrare più nel mio fraseggio Miles Davis, Chet Baker, Bill Evans.
JC: Come è stato il rapporto con i due accompagnatori in 10AM?
MC: Stefano e Paolo sono persone sensibili musicalmente – e anche umanamente – perché si completano, non si schiacciano mai, hanno il senso degli spazi molto ben distribuito. Quando suoniamo preferisco non parlare tanto, con loro mi trovo bene perché non dobbiamo dirci troppo.
JC: Dove hai scovato Profeta e Franciscone?
MC: Ho conosciuto Stefano con Alberto Mandarini nella Big Band. Con Paolo invece ci conosciamo da tempo, c’è anche dell’amicizia. Quando si è amici e si suona assieme, sei tranquillo e sereno, un ambiente friendly insomma.
JC: Ho notato che spesso durante il concerto canti i soli, cosa non rara se si pensa a Jarrett o Benson. Cosa puoi dirmi a riguardo?
MC: Se io non so cantare una cosa, non la so neanche suonare. Ti aiuta a mantenere una struttura, ti rende melodico il fraseggio, diventa qualcosa che va oltre gli accordi e l’approccio alla forma diventa meno matematico. Quando canto, penso a curve più ampie e, per me, è più facile inserirmi nella struttura in maniera più creativa.
JC: Ma come ti riesce?
MC: Prima si parte da un concetto, poi si studia tutta la melodia poi l’armonia ed infine si cerca una forma più ampia, per creare un fraseggio più libero possibile, fluttuante sulla forma armonica della canzone.
JC: Tu e gli altri insegnate, vero?
MC: Insegniamo tutti musica e ognuno di noi lavora a diversi progetti con altri musicisti. In fondo, per un musicista, lo scambio di vedute e la possibilità di suonare con musicisti di varia estrazione, è motivo di crescita. Detto ciò, questo trio/progetto è un’isola felice nella quale, non appena è possibile ci piace ritornare.
JC: Ma il trio talvolta si allarga…
MC: Il trio collabora in pianta stabile con la bravissima Silvia Carbotti. Con lei abbiamo fatto diversi concerti e registrato Double, un cd di cui vado molto fiero, sia per la qualità musicale e per aver contribuito come arrangiatore. Inoltre ho composto appositamente di un paio di brani della track list.
JC: Progetti per il futuro?
MC: Spero il prossimo anno di registrare cose nuove con questo trio, le idee non mancano e la voglia di sperimentare e di imparare cose nuove è sempre forte e urgente.