Slideshow. Donatella Luttazzi

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Slideshow. Donatella Luttazzi





Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Donatella Luttazzi?


Donatella Luttazzi: Così a bruciapelo, preferisco che siano gli altri a definirmi. Quello che posso dire è che sono un’artista, con tutto quello che comporta…



JC: Mi parli del tuo nuovo disco I Love You Chet?


DL: I Love You Chet è un disco che ho fatto molto volentieri, e posso dire che da quest’esperienza con Amedeo Tommasi è risultata una mia crescita musicale, ma anche umana: finalmente ho deciso di accettare la figura del “maestro”, che non avevo saputo accettare in passato. Meglio tardi che mai. Amedeo ha deciso tutto, persino in che registro dovevo cantare, e io gliel’ho permesso. Ho potuto accettare questo solo da un grande come lui. Ma musicalmente ho le idee chiare, infatti credo che non succederà più… È un po’ una battuta… Amedeo ha chiamato Giovanni Tommaso, che tutti conosciamo, che faceva parte anche lui del quintetto di Chet Baker, e poi Marco Valeri alla batteria, che Amedeo stima molto. Ma parte delle songs del CD sono state registrate non in sala ma nello studio di Amedeo, con la sua Electric Orchestra, cioè con i suoni campionati, quelli che ha usato per le sue 8 canzoni nel film La leggenda del pianista sull’oceano, e per tutti i film di cui per anni ha scritto le musiche.



JC: Come mai proprio Chet Baker hai voluto omaggiare?


DL: Chet Baker è in assoluto uno dei miei musicisti preferiti, sia come strumentista che come cantante. Oso dire per la prima volta senza tema di venire smentita, che Mina, la grande Mina, in uno dei nostri incontri quando ero piccola, quando frequentava mio padre per ragioni di lavoro, nel periodo di Studio Uno credo, ha detto che canto un po’ come Chet Baker. Ovvio che Chet è stato un mio punto di riferimento musicale, e sono anche appassionata del personaggio, così tormentato ma anche dolce, così pieno di contraddizioni. La sua voce, il suo fraseggio, la sua malinconia mi appartengono. Una musicalità straordinaria. E infatti gli ho dedicato una canzone, l’unico pezzo originale del CD, che si chiama I Love You Chet e che ha dato il nome all’album. E al Music Inn ho cantato My Funny Valentine con lui.



JC: Come ti sei avvicinata a un grande pianista quale Amedeo Tommasi?


DL: Grazie a facebook, ho scoperto che uno dei miti della mia giovinezza abita vicino a me. Ricordo ancora una prova che abbiamo fatto quando avevo intorno ai 25 anni, con Pierino Montanari al contrabbasso e Roberto Spizzichino alla batteria per fare una serata che non ricordo ci sia stata. Dalle lezioni di armonia al decidere di fare un disco su un personaggio che lui ha conosciuto da vicino e con cui ha suonato molto, Chet Baker, il passo è stato breve. In più mi è piaciuto lanciare una sfida a un musicista che (lo dice anche lui) non faceva un disco da molti anni. È stato un divertimento/sfida per entrambi. E spesso tra una prova e l’altra mi raccontava episodi dei suoi trascorsi con Chet. Scusa se è poco.



JC: Facciamo un passo indietro: mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


DL: Tra i primi ricordi ci sono i Long Playing che papà comprava o che giustamente gli regalavano con la foto di Armstrong, Ella, Duke Ellington. Ho ancora l’LP di Doris Day tratto dal film Love Me or Leave Me, per esempio. Che belle quelle copertine ! Ma anche tante domeniche in cui mi portava al mare e cantavamo insieme dei Riff armonizzati. Forse da lì deriva il mio amore per l’armonizzazione delle voci. E ricordo Tea for Two, che abbiamo cantato insieme in una trasmissione. Lui non voleva che finissi imbrigliata tra le maglie dello showbiz. Ma quando cantavo le folksongs americane al Folkstudio di Cesaroni, papà era spesso tra il pubblico… Comunque la mia musicalità ha una vita propria.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?


DL: Non ho mai pensato di diventare una cantante, anche se ho scoperto un tema che ho scritto a 6 anni credo, che ho postato sul mio profilo facebook, in cui dico esattamente che voglio fare la cantante e diventare famosa come papà. In realtà ho sfruttato la conoscenza delle lingue, ma ho sempre cantato e poi ho anche studiato canto lirico, e armonia e insomma tutto quello che mi serviva per potermi definire una musicista. Infatti ora insegno e l’insegnamento mi piace. Chissà se quel tema è più sincero di quanto non lo sia stato lo svolgimento della mia vita…



JC: E in particolare ti ritieni una cantante jazz?


DL: Mi ritengo una cantante di jazz. So di averne capito lo spirito, grazie a una dote naturale, ma anche all’esperienza. Più in generale amo la musica americana, nord e sudamericana: infatti come dicevo sono nata con il Folk americano che cantavo a 15 anni accompagnandomi con la chitarra, e sono cresciuta, oltre che con Gershwin, Rogers e Kern, anche con la musica brasiliana di Joao Gilberto e poi Jobim e via dicendo. Comunque è prevalso il jazz, sono quelli i ricordi più belli di quando papà mi accompagnava in Body and Soul, o in Stella by Starlight. Lui diceva che ho molto swing. Ed è dura fare jazz se non hai swing.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


DL: Il jazz è libertà vigilata. Sei libero perché decidi tu come realizzare il tuo fraseggio, come andare sul tempo. Ma devi muoverti nei limiti della griglia armonica che ti è concessa o che è stata decisa, o che decidi all’ultimo momento, a patto che ci sia l’interplay con i tuoi colleghi. Ma la libertà totale, senza punti fermi, non è libertà. Anche nei giochi ci sono le regole, senza le quali non ha senso giocare. E il jazz è la musica che ti permette di esprimere al meglio questa libertà espressiva.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla tua musica?


DL: I sentimenti che associo alla musica che amo sono gioia, malinconia, umorismo, libertà, se sono sentimenti.



JC: Tra i molti brani che hai cantato ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?


DL: Forse Stella by Starlight, o Body and Soul, che cantavo accompagnata in modo meraviglioso da papà. Tanto bene mi accompagnava che per forza sono diventata molto esigente in particolare sul pianismo.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


DL: Bella domanda, ma difficile. Uno dei tanti di Bill Evans al Village Vanguard, oppure Affinity con Bill Evans e Toots Thielemans. O anche uno di Shirley Horne, tanto sono belli tutti quelli che ha fatto. Però anche un bel Django Reinhardt col Quintette Hot Club de France



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


DL: Nella musica, mio padre è stato un maestro involontario, ma forse anche nella vita, anche se totalmente fuori dalle righe. Nella cultura anche mio marito, che scrive molto bene… Nella vita, la vita stessa



JC: E i cantanti che ti hanno maggiormente influenzato?


DL: Chet Baker, Peggy Lee, Shirley Horne, Billie Holiday, Mel Tormé, Joao Gilberto, James Taylor, Janacci. Ma un cantante può essere influenzato anche da musicisti, per esempio Miles Davis, credo, nel mio caso. Comunque molti mi hanno detto, ascoltando il mio CD I Love You Chet, che la mia voce ricorda quella di Mina. Magari..



JC: Una domanda, naturalmente, su tuo padre: chi era per te Lelio Luttazzi?


DL: In un certo senso ho già risposto a questa domanda. Lelio Luttazzi era un padre anomalo, un padre/amico, un padre poco padre. Questo se stiamo parlando del Lelio padre. Se invece parliamo del Lelio musicista, devo dire che si ha spesso, nei confronti della produzione artistica di persone della propria famiglia un atteggiamento di superiorità, come se avere un genio in famiglia fosse una cosa normale. Io non sono stata esente da questo atteggiamento. Quando mi sono messa a studiare la sue canzoni per poi arrangiarle e farle mie, con dovizia di lacrime che cadevano sul piano, ho scoperto la loro complessità, la loro ricchezza armonica, e la musicalità e il genio di mio padre.



JC: C’è per te un momento più bello degli altri nella tua carriera di musicista?


DL: Siccome sono una cantante anzi cantautrice abituata a guardare in faccia il pubblico, come succede nei piccoli club e come succedeva al Folkstudio dove ho iniziato, per me la soddisfazione più grande è vedere la faccia della gente quando partecipa emotivamente a quello che cerco di trasmettere con la mia arte, o che si diverte con le mie canzoni ironiche. E quando hai cantato/suonato e senti di aver dato qualcosa, ti senti un dio in terra, provi un benessere incredibile, tanto che ti sembra impossibile che l’esperienza non si ripeta anche la sera seguente. Ma siccome faccio la musica che mi piace, senza compromesso alcuno, e a cantare e suonare siamo in tanti, e moltissimi bravi, e siamo in Italia, devo accontentarmi.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


DL: Devo finire di trascrivere sul programma musicale Finale gli arrangiamenti per pianoforte di Amedeo, che sono bellissimi e dai quali imparo molto. Infatti lo consiglio a chi vuole imparare a scrivere con gusto. Sto poi organizzando la presentazione del CD col gruppo di Amedeo, cioè Giovanni Tommaso e Marco Valeri, in uno o più luoghi che possano valorizzare i grandi musicisti che sono. Credo all’Alexanderplatz di Roma, che sta per riaprire. E nelle mie prossime date (per il momento, 25 marzo a Le Rane di Testaccio) sarò in duo con il grande pianista Riccardo Biseo, in una formazione, quella in duo, appunto, che amo molto. Se tutto va bene, in autunno voglio registrare con il mio gruppo vocale Le Zebre a Pois per premiare la nostra decennale attività. Per acquistare il CD I Love You Chet, invece si può scrivere una mail a donatellaluttazzi.iloveyouchet@gmail.com.