Dimidiam, l’esordio discografico del duo Milesi/Papetti

Foto: la copertina del disco










Dimidiam, l’esordio discografico del duo Milesi/Papetti

Abbiamo incontrato Massimiliano Milesi al Fonobar di Milano durante un suo concerto e per l’occasione gli abbiamo fatto un po’ di domande a proposito del suo ultimo disco in duo con Giacomo Papetti intitolato Dimidiam.



Jazz Convention: Massimiliano Milesi, come nasce il duo con Giacomo Papetti?


Massimiliano Milesi: Il duo nasce esattamente a fine 2014. Lo abbiamo messo in piedi per caso. Dopo un ascolto comune che abbiamo fatto di un altro duo simile al nostro, sassofono e basso, di due musicisti islandesi Skúli Sverrisson e Óskar Guðjónsson. Parlo del loro ultimo album Quello che ci ha colpito di loro è l’uso improprio del basso elettrico all’interno di un duo che ha una natura cameristica. Ci ha impressionato la gestione della musica in un duo così anomalo. Il sassofono suona in maniera anti virtuosistica, e melodie minimali, simili a volta a delle canzoni popolari. In tale contesto ci ha impressionato l’utilizzo del basso elettrico, che non è un basso jazzistico, ma suona come una chitarra bassa, con arpeggi, con soluzioni molto più ampie e un suono più complesso. Così ci siamo detti perché non proviamo anche noi a sfruttare questa tecnica? Naturalmente su una struttura musicale totalmente diversa. Loro sono improntati su atmosfere del nord europa e fanno una musica più aerea che ricorda certe cose di Garbarek. Noi abbiamo cercato di applicarla al nostro gusto musicale e alla nostra esperienza che non è legata a quel tipo di musica ma alla nostra. Noi siamo cresciuti più che col jazz, con il rock e il pop, e abbiamo dovuto inserire queste musiche in una formazione cameristica di questo tipo utilizzando le stesse tecniche e introducendo una certa dose di elettronica. Il duo islandese invece è completamente acustico.



JC: Sono questi i presupposti del progetto…


MM: Si sono questi i presupposti da cui nasce il progetto: un basso suonato in maniera inusuale, chitarristica, con effetti, e il sassofono che suona in maniera molto composta. Le composizioni, poi, sono quasi tutte nostre.



JC: Dimidiam è il vostro primo album assieme?


MM: Si è il nostro primo lavoro che documentiamo assieme.



JC: Perché lo avete chiamato Dimidiam?


MM: È un termine latino che vuol dire dividere a metà. Abbiamo sempre fatto tutto in comune, sia la musica che la gestione del lavoro. È un progetto totalmente condiviso. Dimidiam è una parola che descrive appieno il gruppo. E poi, se vogliamo, perché la nostra musica è a metà. Non è totalmente jazz, ha degli echi di pop, grunge e anche di musica popolare. Infatti all’interno del disco c’è un brano tradizionale intitolato I’m Leaving for America.



JC: La vostra musica ha un profilo cameristico e richiede un ascolto “attento”. Il disco contiene alcune cover di jazz , una dei Pink Floyd, e pezzi vostri.


MM: Noi abbiamo tributato le nostre origini, i nostri studi jazzistici, ovviamente, però stravolgendo, e notevolmente, i brani che abbiamo utilizzato. Per esempio, di Come Sunday di Duke Ellington abbiamo mantenuto solamente la linea tematica; mentre abbiamo completamente ignorato l’armonia scritta da Ellington per applicarne una noi di forma più mistica. Diciamo che questo è il pezzo più nordico che abbiamo nel disco. È diventato probabilmente un brano modale. La cosa paradossale è che la melodia che gli abbiamo applicato dà quasi un carattere medievale.



JC: Ho notato che il disco risente poco delle vostre origini culturali e geografiche. È una musica che si spinge verso il nord dell’Europa…


MM: Si, un po’ per quello che ho detto all’inizio e un po’ perché siamo amanti di quella musica. Suoniamo e lavoriamo anche con musicisti che circolano nell’ambiente musicale nordico, soprattutto danese come Maniscalco, Bordiga e Bigoni. In Dimidiam c’è l’influenza generale delle nostre vite.



JC: Dimidiam lo avete inciso con una giovane e intraprendete etichetta discografica milanese, la UR Records.


MM: Anche questo è stato un po’ un caso. Io e Giacomo lavoriamo in diversi progetti, di cui anche in un sestetto. Questo gruppo comprende anche un vibrafonista. A Giacomo ho fatto il nome di Gabriele Boggio Ferraris e da li abbiamo scoperto che ha una sua etichetta. Così siamo usciti con la UR Records che, nonostante sia nuova come etichetta, sta già avendo successo.



Segui Flavio Caprera su Twitter: @flaviocaprera