Autoproduzione – 2016
Massimo Barbiero: batteria, marimba, vibrafono, glockenspiel, timpani, bodhrán, gong, percussioni, electronic drums
Massimo Barbiero torna con un disco in solitudine, il quinto della serie, ad appena un anno di distanza dal precedente Simone De Beauvoir. Per rispondere subito a possibili interrogativi sul perché di questa scelta, il percussionista eporediese mette le mani avanti e lo spiega chiaramente in un documento allegato all’incisione. «(Il solo) è (per me) una necessità espressiva, il bisogno del suono, prima ancora che delle composizioni.» Nel disco, ascoltiamo tutto lo strumentario a disposizione di Barbiero impiegato per creare una suite, La via di Morgana, distinta in tredici capitoli, ma dotata di una forte coesione interna. Si ha la sensazione, infatti, di assistere ad un flusso senza soluzione di continuità e la scansione in segmenti pare funzionale più che altro ai cambi di attrezzatura tecnica, da parte del leader di Odwalla, per procedere nel suo percorso esplorativo dentro e fuori di sé stesso.
Diciamo subito che l’aspetto melodico è preminente in quasi tutto l’album. I temi sono forniti di un’aria assorta e malinconica. Gli strumenti a percussione vibrano, tintinnano e sussultano per interpretare brani eseguiti già in altre situazioni, qui rivissuti in un clima differente con motivazioni espressive inedite. Barbiero, in sintesi, racconta una storia, la sua, andando a riprendere episodi fondamentali della sua vita artistica, arricchendoli di particolari non ancora rivelati per tenerci sul filo fino alla fine dei circa 45 minuti del cd. Oltre a questo elemento si può individuare in tutto il disco una configurazione ritmica di chiara derivazione africana, per la sua semplicità e la sua cantabilità. È un’Africa vista, però, con gli occhi di un musicista occidentale curioso e informato, che conosce Steve Reich e l’Art Ensemble of Chicago e che vuole ricreare il suono del continente nero in un ambiente ancora diverso, quello della sua poetica personale.
La mantide, come si legge nelle note di copertina, «uccide il compagno e se ne ciba. Noi ci cibiamo della vita e non si ha nemmeno il tempo di comprendere che sta per finire…» Contro un certo tipo di atteggiamento frenetico e convulso di affrontare l’esistenza, il batterista di Enten Eller propone di converso una musica riflessiva e lenta, nel suo andamento, per assaporarne i momenti comunque eloquenti e significativi. Massimo Barbiero è un musicista, non un maître à penser, ma è ben presente nella sua concezione estetica l’intento, ogni volta, di lanciare un messaggio, di condividere un ragionamento o un’intuizione con quanti lo ascoltino. È musica, cioè, che nasce da un’idea forte, definita e comunica qualcosa a chi la sente con un atteggiamento disponibile a penetrare fra i suoni dei tamburi, dei piatti e delle altre impalcature percussive per scoprire il senso profondo di quello che è racchiuso all’interno delle tredici tracce, nella loro anima.