Foto: Luca Labrini
Robert Glasper Experiment @ Monk Club, Roma
Roma, Monk Club – 21.4.2016
Robert Glasper: Fender Rhodes, piano elettrico
Casey Benjamin: sax, vocoder, synth
Burniss E. Travis II: basso
Mark Colenburg: batteria
Il ritorno a Roma del pianista texano Robert Glasper è uno degli appuntamenti musicali più attesi di questa primavera. Artista di punta dell’etichetta Blue Note, l’avevamo lasciato qualche anno addietro in una splendida performance in duo con Jason Moran, in un concerto a quattro mani in cui i due hanno ripercorso in un’ora e mezzo tutte le fasi cruciali della storia musicale afroamericana. A distanza di due anni Glasper è questa volta a capo dei suoi Experiment, il suo progetto più originale e probabilmente più interessante, dove l’influenza dell’hip hop e della black music in generale è più marcata ed evidente. I due capitoli “Black Radio”, usciti nel 2012 e 2013 per la Blue Note, hanno lanciato il musicista di Houston tra le realtà più interessanti della scena R&B e black, facendo sì che questa prima data italiana del suo tour europeo non poteva passare di certo inosservata. A capo del suo quartetto formato e completato dal polistrumentista Casey Benjamin al sax, vocoder e synth, Burniss E. Travis II al basso e Mark Colenburg alla batteria, Glasper qui abbandona il piano a coda per cimentarsi nei suoni più moderni di Fender Rhodes e piano elettrico in un concerto che già dalle prime note lascia ben intendere al numeroso e caldo pubblico del Monk quali saranno le sonorità proposte.
A prescindere dai temi affrontati in una scaletta che prende forma in divenire, si va dai Radiohead di Kid A a Lovely Day di Billy Withers fino agli originali Calls e I Stand Alone, il quartetto dà vita ad una musica compatta e diretta portando i lunghi brani verso un terreno moderno di musica black che dal vivo rapisce e colpisce ancor di più che su disco. La musica dei quattro è un sistema unico che funziona alla grande, fusione mirata di jazz, R&B moderno, neo soul ma anche rock tinto di nero con il possente e riconoscibile Casey Benjamin al centro che tiene il palco come meglio non potrebbe tra invenzioni melodiche e interventi originali alla voce. Dietro di lui spicca una ritmica che carica e va giù dritta secca e diretta facendo crescere i vari brani in maniera costante ed incisiva, con la batteria di Mark Benjamin che spesso sfiora addirittura ritmi drum and bass, e Glasper chiamato prevalentemente a fare il lavoro sporco di raccordo, in un contesto che lo mette apparentemente di lato e dove in realtà risulta essere il vero fulcro di tutto. La band sul palco lascia sempre la sensazione di divertirsi in un interplay impeccabile che mette da parte ogni forma di protagonismo, cercando spesso invece il coinvolgimento del pubblico che risponde divertito ogni qualvolta viene chiamato in causa, in un feeling cercato e subito trovato. Il gusto e la tecnica poi permettono ai quattro di muoversi come vogliono lasciando anche molto spazio all’estemporaneità in una musica che regala molti spunti di interesse e riferimenti musicali spesso non facili da cogliere, come il rispettoso e delicato omaggio a Prince, scomparso solo qualche ora prima dell’inizio del concerto, in cui Glasper accenna qualche passaggio al piano di If I Was You Girlfriend inserito in una lunghissima e stravolta versione di Smell Like Teen Spirit di Kurt Cobain che chiude in bellezza un concerto da ricordare.
Glasper conferma anche questa volta di essere, soprattutto nella dimensione live, uno degli artisti più interessanti e versatili in circolazione in un cotesto completamente nuovo che ridisegna e modernizza i canoni del jazz e della musica nera in generale, proiettandoli verso il futuro attraverso una riuscita cancellazione dei suoi confini.
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