Tigran Hamasyan – Luys i Luso

Tigran Hamasyan - Luys i Luso

ECM Records – ECM 2447 – 2015



Tigran Hamasyan: pianoforte, pianoforte preparato

Coro da Camera di Stato di Yerevan

Harutyan Topikyan: direzione







Non si flette la linea inventiva e la progressione (per lo più) vertiginosa del valente Tigran ma, alquanto deposte le pirotecnie delle più recenti sortite a propria firma, l’ingresso (relativamente inatteso) nella scuderia bavarese appare all’insegna di un’adesione ancora più letterale alle matrici cui ha dedicato in forma sempre più coerente e motivata l’edificazione della propria personalità artistica.


Esponendo in quattordici stanze un programma fondato su “musiche sacre d’Armenia dal V al XX secolo” arrangiate per pianoforte e voci, attingenti a nomi forti, anzi massimali, della locale cultura, dal teologo e codificatore dell’alfabeto armeno Mesrop Mashtots al sommo patriarca dell’identità musicale Komitas Vardapet, Tigran Hamasyan opera una svolta apparente rispetto ai propri stratificati stilemi, senza accantonarli quanto piuttosto mirando al cuore delle proprie, ancestrali fonti ispirative: «Questi sono i canti che ascoltavo durante la mia adolescenza, e già allora decisi che avrei realizzato qualcosa con queste incredibili melodie, con l’intenzione anche di arrangiarle. Ma non osai toccarle, è una tradizione talmente antica che è necessario immergervisi: questa musica è sistematica, contiene così tante regole sottintese, i canti si fondano su schemi modali tali da non potervi apporre certe idee ritmiche o ornamentali – ma quando ascolti qualcosa che origina dal cuore, allora questa musica non può essere ignorata.»


Enunciato di stile già nell’introduttiva Ov Zarmanali, affidata al piano solo d’incisivo nitore, in cui la complessa linea melodica è segnata dall’assertività bronzea della mano destra, embricata alle acquee interpunzioni della mano sinistra, aprendosi alle tenui energie corali in Ankanim araji Qo, per riprendere in una sospesa dualità coro-tastiera il brano iniziale, sviluppato in lentezza e più lievi densità.


Esposizione che si fa affresco, in forma di rimandi e volute sottili, in cui l’efflorescenza delle voci bilancia l’arcuata severità del piano, e le frenesie dissonanti sui tasti s’intercalano alla celestiale ricomposizione armonica del coro, il cui levantino respiro s’esplicita nella nitida fermezza delle voci maschili e nella delicatezza melismatica e gli scintillanti rintocchi di quelle femminili, come più apprezzabile nei passaggi di carattere maggiormente ecclesiale, che toccano mirabili deflagrazioni polifoniche.


Qui Hamasyan sembra definire ancor oltre il proprio linguaggio solistico, in sensibile equilibrio dinamico non solo tra le forme jazz così eccentricamente praticate e il repertorio classico precocemente appreso, quanto con le formule della propria cultura, connotate da scale e modalità proprie. Contornando o incalzando le voci dagli interventi pianistici, che vi si accostano da alonatura o potente sprone ritmico, il pianista si concede, o impartisce, varie stanze solistiche che più s’accostano a quanto stilisticamente esposto nell’individuale e privato A Fable (Verve, 2011) ma l’arte di Tigran Hamasyan (che per l’occasione torna a firmarsi al completo, stanti le implicazioni dedicatarie) appare ulteriormente cresciuta e meno contenibile, come meglio s’apprezzerà dalle controparti live del tour di supporto.


«Ogni concerto è differente, è sempre un nuovo viaggio: vorremmo proporre sempre la stessa sequenza di brani, ma può cambiare perfino questa!»: ha dunque acquisito vita un nuovo fenomeno (documentato anche dal sito web allegato) e ne appare particolarmente promettente l’annunciato sequel (in forma di improvvisazioni a partire da temi armeni, che riunirà un quartetto a sensazione completato da Eivind Aarset, Jan Bang e Arve Henriksen), con evidenza fortemente complementare al presente.


Luys i Luso (Luce dalla Luce) intanto valga a sancire un ulteriore punto di conquista da parte del valente pianista-compositore, che nel cesellare un omaggio di pregio alla propria antica e travagliata terra avvalora ulteriormente l’arte propria, in questo caso con uno spirito celebrativo ma soprattutto evocativo, in cui le apparenti fragilità si palesano forze di lungo respiro e ogni retorica cede palesemente il posto alla bellezza, in cui transizioni storiche ed temporalità convergono donando vita alla dimensione dell’incanto.



Link di riferimento: player.ecmrecords.com/hamasyan-2447; luysiluso.com