Foto: la copertina del disco
Daylight, il nuovo lavoro di Gaetano Partipilo
Daylight è l’ultimo lavoro di Gaetano Partipilo. Un progetto affascinante e di spessore, realizzato assieme a un gruppo di giovani e creativi musicisti. Questo disco è l’ennesima conferma di come il sassofonista pugliese stia sempre “sul tempo” e che la sua musica è sempre oggetto di riflessione e arricchimento. Non c’è mai nulla di scontato nelle sue note.
Jazz Convention: Che rapporto c’è tra Gaetano Partipilo e Archie Shepp? Hai chiamato la tua formazione Contemporary Five come quella del sassofonista americano…
Gaetano Partipilo: Archie Shepp è uno dei miei idoli. Anche se la mia musica percorre una strada differente, lui rimane uno dei miei musicisti di riferimento. Un musicista che ha saputo lavorare sul suono, sulla forma musicale e sul messaggio che ogni artista vorrebbe comunicare. La sua musica, a volte rude, a volte naif, a volte carica di pathos mi lascia sempre meravigliato. Sono molto affezionato ai suoi album, specie quelli Impulse (da Four for Trane a Kwanza). Ho voluto omaggiarlo “rubando” in parte il nome del suo primo gruppo (New York Contemporary Five) che comprendeva anche Don Cherry e John Tchicai.
JC: I componenti del tuo gruppo sono tutti giovani e talentuosi. Come li hai messi insieme?
GP: Concordo sul giovani e talentuosi ed aggiungerei anche freschi ed innovativi. In partenza credo che ogni musicista, quando decide di scrivere musica nuova, abbia in testa un’idea di suono ed una direzione da dare a quello che scrive. Solitamente sono molto “puntiglioso” nella scrittura ma al tempo stesso ritengo importante lasciare anche un margine di imprevedibilità. In poche parole volevo intorno a me musicisti creativi, legati anche alla tradizione e che avessero idee molto “avant-garde”. Con tutti loro avevo collaborato in diversi progetti. Con Alessandro Lanzoni avevo suonato e registrato in diverse formazioni di Roberto Gatto. Con Francesco Diodati invece avevo condiviso diverse situazioni come Neko, Auanders, ed una piccola performance in duo a New York. Luca Alemanno e Dario Congedo invece erano la ritmica stabile di molti progetti di cui facevo parte e si era già creato un bellissimo feeling. Dal sound scaturito dopo le prime prove ho capito che la strada intrapresa era quella giusta.
JC: E la scelta di avere chitarra e pianoforte assieme?
GP: Per avere contrasti armonici principalmente. Nel mio primo gruppo Urban Society coesistevano piano e vibrafono, senza contare le volte in cui si aggiungeva il fender rhodes. In questo album Francesco ha un ruolo molto particolare. È, per certi versi un secondo leader, un guastatore timbrico e alle volte crea ambienti sonori unici. Molte parti tematiche sono affidate a sax e chitarra all’unisono (esperimento già provato con Mike Moreno nell’album the Right Place). Alessandro invece dà omogeneità ed imprevedibilità oltre che un tocco pianistico raro.
JC: Questo è il tuo primo disco per la Tuk Music di Paolo Fresu…
GP: Si, e ne sono molto felice. Non avrò mai abbastanza parole per ringraziare Paolo, lo staff Tuk e tutti quelli che hanno contribuito a questa pubblicazione.
JC: In copertina c’è una tua foto. Oltre che jazzista sei anche fotografo?
GP: No, sono un povero dilettante ma ha volte, stranamente, vengono fuori cose belle. Quella foto, che ritrae una ruota panoramica a Marsiglia, mi ha colpito subito. In precedenza l’avevo utilizzata per i Contemporary Five in occasione di alcune stampe promozionali e l’ho proposta subito come foto di copertina. Francamente pensavo la bocciassero su due piedi….
JC: Il jazz suonato in Daylight è una sorta di musica ponte tra New York e Londra, tra jazz e rock britannico ….
GP: Esatto. Credo tu abbia colto in pieno. New York è sempre stato il mio punto di riferimento jazzistico. Conosco bene quella scena e mi documento di continuo. Ciò che invece mi è sempre mancato, almeno fino a tre anni a questa parte, è stato l’interesse verso il rock. Ho sempre provato poca attrazione verso il modo rock dei “quattro accordi” fino a quando non mi sono imbattuto in alcuni gruppi inglesi degli ultimi vent’anni. La ricerca timbrica, formale e di produzione di gruppi come Muse, Radiohead, Rem, Coldplay mi hanno stimolato a produrre cose nuove…..
JC: La gran parte dei brani di Daylight, undici tracce, sono tue composizioni; poi ci sono alcuni in comune e una ripresa, I Will, dei Radiohead. Sono tutti pensati per questo progetto?.
GP: Si, assolutamente. Abbiamo registrato tutto in un giorno (Daylight) ed a fine session abbiamo provato a registrare qualcosa di improvvisato in duo e trio. Il resto dei brani invece, compreso il mio arrangiamento di I will, sono frutto di due anni di lavoro dedicato a questo album.
JC: Ascoltando il disco si prova la sensazione come di essere sospesi su piani diversi in costante rapporto cinetico tra di loro …..
GP: È interessante quello che dici. Il mio tentativo era quello di far coesistere due mondi, due scenari musicali diversi e lavorare in maniera creativa su di essi.
JC: Il risultato finale di Daylight ti soddisfa? È questo il disco che volevi fare?
GP: Chiedere a un musicista se, guardando indietro, c’è qualcosa che lo soddisfa è molto pericoloso. Noi, non siamo mai contenti di nulla, siamo sempre alla ricerca di una cosa migliore e vorremmo tornare indietro mille volte per rifare, aggiustare, ripensare. È forse la cosa che ci spinge ad andare avanti cercando di migliorarci. Tornando a Daylight posso dirti che volevo quest’album e sono comunque molto contento del risultato. Sono già in cantiere nuovi brani per un seguito a cui spero di dar luce molto presto.
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