Compro Oro. La storia dello Swing Club di Torino

Foto: la copertina del DVD










Compro Oro. La storia dello Swing Club di Torino


Seguendo il filo della memoria, la storia dello Swing Club di Torino diventa un felice spunto per ragionare delle evoluzioni del jazz, tanto nella pratica dei suoi protagonisti che nella visione dei suoi fruitori. Una quantità cospicua di interviste, intervallate da filmati e immagini d’epoca, porta dai primi episodi del jazz torinese ai giorni nostri passando ovviamente per la vicenda del club, i suoi protagonisti e le sue fortune. Lo Swing Club fu attivo per quasi vent’anni, dalla seconda metà degli anni sessanta fino all’inizio degli anni ottanta: prese il testimone della scena torinese e ne rilanciò i fasti verso la modernità, creando i presupposti per le varie iniziative venute alla luce nella capitale piemontese, come ad esempio l’avventura del Jazz Club Torino, del Centro Jazz, il proliferare di festival di qualità nelle città vicine e, ultimo solo in ordine di tempo, il Torino Jazz Festival.


Compro Oro, questo il titolo dato al documentario da Toni Lama ideatore e regista insieme a Mario Bronzino, si compone dei punti di vista di trentacinque protagonisti che hanno gravitato intorno al club e hanno animato la vita jazzistica della città. Per quanto diversi per età, direzione stilistica, intenzioni artistiche e grado di coinvolgimento professionale e personale nella vicenda, i singoli contributi concorrono a tracciare l’epopea dello Swing e disegnare la vitalità in modo plurale, attraverso ricordi e proiezioni, il modo di rapportarsi con la tradizione del jazz o con l’intenzione di sovvertire tutto in maniera radicale. E quindi, con una compostezza tutta sabauda, trova spazio il “solito” dibattito tra tradizione e rinnovamento: è un discorso che scorre, però, tutto nel montaggio come accostamento o, se si vuole, contrapposizione di opinioni differenti e non come diatriba aperta. E, sono sicuro, esposta con una tale gentilezza da far risultare, per una volta, quantomeno ragionevoli agli spettatori gli argomenti portati dalle “opposte fazioni”. È molto più importante e significativa l’operazione di recupero e trasmissione della memoria, della riflessione compiuta da ciascuno dei protagonisti sulle vicende del jazz, in generale, e del club e della scena torinese, nello specifico, e di conseguenza la riflessione complessiva operata dal documentario e “richiesta” a ciascuno spettatore sulla scorta delle parole e degli interventi ascoltati. Emotivi, ragionati, umorali e nostalgici, ponderati e proiettati verso il futuro oppure verso i ricordi di una vita: nessun intervento è banale o fuori luogo, nessun taglio sovverte le “filosofie” delle personalità coinvolte. Tanto che si potrebbero annoverare molte delle frasi pronunciate come aforismi sul jazz, sul modo di viverlo, sul modo di ascoltarlo…


Perchè è il senso di comunità a rimanere centrale nel racconto, il ricordo fermato intorno agli scalini necessari per scendere all’interno del club, la vorticosa serie di figure storiche del jazz che hanno calcato il palco dello Swing, le jam session interminabili che avevano luogo ogni notte. Il passaggio di testimone tra le diverse generazioni è ben rappresentato da alcuni momenti del documentario, come il viaggio a Parigi effetuato da Giorgio Bartolucci e Ruben Bellavia, per tracciare la strada seguita all’epoca per portare i grandi musicisti statunitensi che vivevano nella capitale francese e per rivedere i modelli ispiratori della vicenda torinese, vale a dire quelle “caves” diventate con il passare degli anni veri e propri templi – luogo di culto e venerazione per gli appassionati, come dimostra la recente “visita” di Lisa Simpson al Duc de Lombards, ad esempio – ma del tutto vivi, pulsanti e produttivi ancora oggi, contrariamente a quanto è accaduto allo Swing Club di Torino e a moltissimi club e festival italiani altrettanto ricchi per storia e importanza.


Se, forse l’unica pecca del documentario è la scrittura errata in maniera un po’ ingenua di qualche nome, la scelta di un paio di digressioni – come l’intervista con il celebre fotografo Guy Le Querrec e l’episodio dedicato a Michel Petrucciani – sono utili a ricollocare Torino in contatto con il resto del mondo e a dare conto del particolare legame con la Francia: un modo funzionale, quanto spontaneo, per dare conto dei fili e dei legami con quanto avveniva al di fuori delle mura torinesi. E così, muovono nella stessa direzione le interviste a personaggi appartenenti ad altre scene, come Franco Cerri e Tullio De Piscopo, o ad altri mondi espressivi come Pupi Avati o Ugo Nespolo. Un valore ulteriore, utile per dare movimento al flusso di memorie e riflessioni, non renderlo sterile o autoreferenziale.


Due “sorprese” arricchiscono il documentario nel finale. La motivazione del titolo del film e un dialogo avvenuto tramite lettera con uno dei protagonisti della storia del jazz. Il compito di analizzare si misura con l’idea di raccontare l’epilogo del documentario ed è bello poter innescare la curiosità nei lettori o quanto meno pensare di poterlo fare: l’emozione della scoperta, credo, aggiunge più senso al filo narrativo del documentario rispetto al valore che lo svelamento porta alla recensione. Magari, poi, per chi volesse conoscere il finale in anticipo, basta una semplice ricerca in rete per ovviare alle risposte: ma, a mio avviso, rimane più


Da sempre ritengo che occorre documentare le esperienze vissute per non perdere la memoria e il senso dei passi compiuti. Se viene fatto con la grazia e la sapida leggerezza con cui è stato realizzato Compro Oro il risultato oltre che necessario diventa utile e fruibile per le generazioni successive.



Link di riferimento: www.swingclubtorinofilm.it



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