Pellerin/Boss/Magliocchi – Sounding door

Pellerin/Boss/Magliocchi - Sounding door

Plus Timbre – PT021 – 2015





Guy-Frank Pellerin: sax soprano, sax sopranino, sax baritono, flauto d’osso, clarinetto d’altri tempi

Matthias Boss: violino, voce, flauto

Marcello Magliocchi: percussioni, chitarra, traps, scultura sonora realizzata dal Maestro Andrea Dami








Un trio di spericolati improvvisatori si confrontano in questo cd scaricabile gratuitamente in rete, come tutto il catalogo della Plus Timbre del resto. Ne sono protagonisti il polistrumentista francese Guy Frank Pellerin, a vari tipi di sassofoni, flauto e clarinetto, il violinista svizzero Matthias Boss, anche alla voce e al flauto e il percussionista italiano Marcello Magliocchi. Succede un po’ di tutto nelle dodici tracce dell’album, ma si rimane con la netta impressione di aver assistito alla classica tempesta in un bicchier d’acqua, dove il movimento, le divagazioni girano e rigirano sempre attorno allo stesso punto, senza progressioni né in avanti, né all’indietro. La porta suonante, The Sounding door, resta, cioè, sbarrata, chiusa a doppia mandata e fornisce un avvolgente senso di claustrofobia in chi ascolta.


Nel disco si sente tutto il campionario dei clichè dell’avanguardia europea, avanzata e radicale. Suoni sporchi, ispidi, note doppie, plurime sono messe in circolo dalle ance, a cui risponde il violino con strappate oblique, prese di sbieco, violente o docili e con la ricerca di acuti impossibili, vicini al fischio. Al di sotto o di fianco a questo dialogo condotto sui binari del contrasto timbrico e di un’atonalità esibita, si percepiscono colpi isolati o un fraseggio brulicante, grumoso, aggrovigliato, più che mai antiaccademico, da parte delle percussioni.


Le tre piste strumentali procedono indipendenti e pur tra loro comunicanti, ma non si intravede l’idea di uno sviluppo, di una meta da raggiungere. La proposta complessiva suggerisce, infatti, la sensazione di un qualcosa di fisso, di immobile, che continua ad attorcigliarsi su sé stesso e non sa trovare una evoluzione pensata a priori o recuperata strada facendo. Si va avanti condotti dall’estemporaneità più spinta. Se, come sostiene Giancarlo Schiaffini, «l’improvvisazione non si improvvisa», qui cadiamo proprio in questo limite di un progetto poco o per niente organizzato, anche nell’istante in cui viene espresso e rivelato.


Così si arriva alla fine del cd faticosamente, con pochissimi momenti da salvare, malgrado l’impegno e la buona fede dei tre protagonisti della registrazione. Il campo scelto è dei più difficili, perché è lontano dai modelli classici, anche se c’è ormai una lunga tradizione nel ramo. Deve, però, scattare una scintilla che guidi e convogli suoni e rumorismi vari in un discorso unificante che amalgami l’insieme e gli attribuisca significato. E in Sounding door questo non pare avvenire.