Blue Note Records – 2016
Dr. Lonnie Smith: organo Hammond, tastiere
Robert Glasper: pianoforte
Joe Lovano: sax soprano, sax tenore
Johnathan Blake: batteria
Joe Dyson: batteria
Jonathan Kreisberg: chitarra
Keyon Harrold: tromba
Maurice Brown: tromba
John Ellis: sax tenore, clarinetto basso, flauto
Dr. Lonnie Smith, oggi tra i rari sopravvissuti degli storici virtuosi all’Hammond B-3, pubblica il suo nuovo album per la Blue Note ben quarantacinque anni dopo l’ultimo dei quattro LP editi con la mitica casa newyorchese. Era il periodo hippy e anche le jazz label tentavano di adeguarsi al fenomeno, spingendo i nuovi talenti – come nel caso dell’allor giovane “dottore” a inserire cover rock in dischi che segnavano ormai il canto del cigno del soul-jazz. A differenza degli altri predecessori hammondisti, riesce a inserirsi nelle nascenti correnti jazzrock, funk e fusion e a suonare e fare dischi per tutti i Seventies. Poi un silenzio decennale e quindi con la rinascita delle sonorità soul-jazz grazie al nuovo acid britannico, Lonnie non solo torna a galla, ma accentua sempre di più l’originaria matrice jazzistica sino a guadagnarsi un sacco di premi della critica nella categoria “organisti”. Ora dal 29 gennaio, con Evolution, il ritorno all’ovile (Blue Note) è contrassegnato appunto da una “evoluzione” per così dire introspettiva, dove il musicista riflette sulla storia musicale afroamericane e sulla propria esistenza ma senza inutili nostalgie, bensì creando una sorta di rapporto dialettico passato/presenta. E questo si spiega da un lato con la scelta di una giovane band e con due ospiti d’eccezione: da un lato Robert Glasper al pianoforte nel brano d’apertura Play It Back e dall’altro lato Joe Lovano al sax tenore nel secondo e del terzo, rispettivamente Afrodesia e For Heaven’s Sake. Con loro agisce una lista abbastanza variabile di solisti e accompagnatori che si riduce al classico organ jazz trio negli due standard presenti, i celeberrimi Straight No Chaser (Thelonious Monk) e My Favorite Things (John Coltrane, ma scritta da Rodgers e Hammerstein). Nei restanti smithiani Talk About This e African Suite la band è perlopiù un sestetto con uno o due fiati, una chitarra e due batterie a offrire il groove incalzante che ieri come oggi caratterizza il jazz-soul o funk-jazz di un solista ancor oggi innamorato dello stile di Wild Bill Davis e di Bill Doggett e soprattutto del quasi omonimo Jimmy Smith.