Foto: Luca Labrini
Finale col botto a Umbria Jazz 2016
La quarantatreesima edizione di Umbria Jazz chiude in grande stile calando, nel secondo e ultimo weekend della manifestazione, una parata di stelle nei quattro concerti conclusivi in programma nell’Arena Santa Giuliana. Sabato tinto di fusion con l’apertura affidata alla reunion di una formazione storica, gli Steps Ahead, band messa su dal vibrafonista Mike Maineri nel lontano 1977. Con il fondatore, sul palco Donny McCaslin al tenore, Eliane Elias al pianoforte, Marc Johnson al contrabbasso e Billy Kilson alla batteria. I cinque danno vita ad un set dai ritmi sostenuti fatto di suoni brillanti e assoli torrenziali ricchi di virtuosismi che raramente però riescono ad entusiasmare. A spiccare è la pianista brasiliana che si mette in mostra per un bel tocco e parecchio gusto, autrice tra l’altro di buona parte dei brani proposti. Il ruolo di leader spetta ovviamente a Maineri, bravo nel condurre la band verso un’unica direzione comune e autentico maestro del proprio strumento, protagonista e testimone di una musica che ha fatto storia, ma che oggi appare superata.
Ben più energica e carica di groove la seconda parte di serata con le corde del bassista Marcus Miller ed il suo sestetto. In tournée da più di un anno con il suo fidato gruppo per presentare l’ultimo uscita discografica Afrodeezia, l’ambasciatore dell’UNESCO Artist for Peace ci mette davvero poco a galvanizzare il numeroso pubblico fin dalla iniziale Panther. Da lì Miller inizia un lungo viaggio musicale in giro per il mondo alla ricerca delle radici della sua musica che parte dal Senegal e, seguendo le rotte degli schiavi, arriva in Brasile per poi salire verso i caraibi e l’America degli anni d’oro della Motown con una riproposizione di una esaltante Papa Was A Rolling Stone. Uno show ormai consolidato in cui il bassista diverte e si diverte, dove i virtuosismi sono sempre accompagnati da un retrogusto funk che rende i brani sempre ballabili e trascinanti.
Il festival chiude in bellezza culminando domenica con una serata da incorniciare. Ad aprirla è il progetto a Napoli dedicato del quartetto capitanato da Stefano Bollani, con il sassofono di Daniele Sepe, i clarinetti di Nico Gori e l’istrionico Jim Black alla batteria. Un omaggio delicato e personale in cui vengono ripresi brani della tradizione partenopea così come di Pino Daniele, in una splendida Putesse Essere Allero eseguita in solo dal pianista toscano, in mezzo a pezzi originali per una rivisitazione in chiave jazz che con finezza e gradevolezza fa da apripista al concerto probabilmente più atteso di tutta la manifestazione, ossia il festeggiamento del settantacinquesimo compleanno di Chick Corea. Per l’occasione il pianista americano ha voluto fare le cose in grande, radunando sul palco un quintetto stellare. Composta da tutti bandleader di gruppi propri, la formazione vede infatti una line up con Kenny Garrett ai sassofoni ed il voluminoso Wallace Rooney alla tromba, con una ritmica poderosa che vede Christian McBride al contrabbasso e Marcus Gilmore alla batteria. Tre su quattro erano già protagonisti, venti anni fa, di uno splendido album dello stesso Corea dedicato alla figura di Bud Powell, con l’eccezione del giovane batterista che qui rileva il prestigioso zio Roy Haynes presente invece nel disco. Elegantissimi ed autentici fuoriclasse dei rispettivi strumenti, i cinque sono artefici di una serata memorabile fatta di ripetuti scambi e fraseggi moderni in cui l’improvvisazione, l’interplay e la musica d’insieme hanno un ruolo fondamentale. La caratura e la personalità dei musicisti consente infatti a Corea di lasciare massima libertà di movimento ai vari solisti, sorretti magnificamente dal suono pieno e corposo di un instancabile McBride davvero superlativo. L’apporto di ognuno prosegue anche nell’arrangiamento dei vari brani, dalla romantica Sophisticated Lady di Ellington, introdotta dal contrabbasso di McBride, ai ritmi bop di Chasing The Wind di Kenny Garrett, fino agli omaggi dello stesso Corea a Bud Powell ed ancora a Pino Daniele con cui aveva composto e qui riproposto una intensa Sicily. Un concerto che meglio non poteva coniugare la storia passata dal jazz con quella più attuale e moderna, in una formazione che riunisce il meglio di una generazione di musicisti con a capo un’autentica leggenda che ha ancora molto da dire ed insegnare.
Al di là dei concerti e delle inevitabili polemiche su un cartellone che ha visto la presenza e l’apertura ad artisti molto distanti dal jazz e dalla musica nera, ciò che davvero colpisce e caratterizza ancora una volta Umbria Jazz è comunque l’atmosfera unica che si respira in città in questi dieci giorni. La miriade di appuntamenti dislocati nei diversi angoli della città, da quelli più capienti dell’Arena a quelli più raccolti e di qualità dei teatri, passando per i vari spettacoli gratuiti nelle vie e piazze che colorano di musica e arte il centro storico, rappresentano infatti un’occasione irripetibile assolutamente da vivere, un piccolo paradiso culturale per appassionati e non fatto di giovani, turisti e musicisti, esclusivo punto di incontro di persone provenienti da tutto il mondo all’insegna del jazz e della buona musica.
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