Rune Grammofon – RCD2182 – 2016
Mats Gustafsson: sax baritono, direzione
Johan Berthling: basso
Andreas Werliin: batteria
Mariam Wallentin: voce
Sofia Jernberg: voce
Susana Santos Silva: tromba
Niklas Barnö: tromba
Mats Äleklint: trombone
Hild Sofie Tafjord: corno francese
Per Åke Holmlander: tuba
Anna Högberg: sax alto, sax baritono
Mette Rasmussen: sax alto
Lotte Anker: sax tenore, sax soprano
Jonas Kullhammar: braithophone, sax basso, slide sax
Per “Texas” Johansson: clarinetti, sax baritono
Julien Desprez: chitarra
Finn Loxbo: chitarra
Martin Hederos: tastiere, violino
Edvin Nahlin: tastiere
Andreas Berthling: electronics
Mads Forsby: batteria
Mats Gustafsson qui mette subito in mostra i muscoli, come nella copertina di Boot del trio The Thing, a volerci dire: «Questa è la mia musica, questa è la musica della Fire! Orchestra, se non vi garba peggio per voi!» Se esistessero ancora i negozi di dischi qualche anima pura, al primo minuto, farebbe togliere la puntina al negoziante, chiedendo di poter ascoltare altro e così perdendosi la seguente ora di musica meravigliosa. Nel paese della grande bellezza alcuni organizzatori, quelli di Novara Jazz, di Forlì e quelli di Sant’Anna Arresi, hanno fortunatamente ben compreso il valore della formazione e del suo leader.
Il disco si apre su un riff ossessivamente ripetuto, sopra un fondale grevemente scandito che segue un’estetica quasi hard rock, dopo pochi minuti le voci di Mariam Vallentin e Sofia Jernberg intonano le liriche de “L’Uomo senza una direzione” riflessione, del poeta Svedese Erik Lindegren, sugli orrori e stupidità della modernità (1942). Non conoscere le liriche ci priva forse di un importante elemento utile alla comprensione della ricerca di Gustafsson; ciononostante la scrittura e la prassi musicale sono qui di valore assoluto e apparentemente accessibili. A sostenere tutta la lunga suite, l’uso massiccio di riff ipnotici, riportato qui, come e più che negli Angles di Kuchen con cui si rilevano importanti affinità, al suo valore ritualistico e sciamanico. Valori recuperati come già in Sun Ra e, fatte le debite proporzioni, nel funk anni ’70. Di tale epoca Gustafsson sceglie di conservare soprattutto, ma non solo, il Fire!, ma in questa matura e riuscitissima incisione troviamo un equilibrio mirabile tra scrittura e improvvisazione (più o meno libera) tra timbri acustici e elettronici: il tuba e le chitarre elettriche di Threadgilliana memoria e del tardo Evans. Riferimenti utili, questi ultimi, solo per tentare di sciogliere la matassa, provare a spiegare e raccontare, fors’anche fuorvianti perché qui ogni possibile riferimento ad altro può essere aleatorio perché riassorbito in una poetica musicale affatto originale.
Dall’iniziale nucleo del trio Fire! a questa equilibratissima versione orchestrale il passo non è stato breve e qui Gustafsson raggiunge finalmente un equilibrio magistrale nei pesi orchestrali grazie ad una drastica riduzione d’organico qui ridotto a ventun elementi. Gustafsson riesce poi, senza rinunciare alla sua straripante energia e inesauribile vena improvvisativa, a dialogare maggiormente con il tutto, i suoi soli sono più brevi e meglio bilanciati con il resto della compagine, segno di uno sforzo compositivo nuovo. Ad aprire Ritual2 è proprio una cadenza solitaria del leader presto raggiunta da un riff di basso elettrico da ethio-jazz, poi l’ingresso di tutta l’orchestra a sostenere e l’ingresso delle voci, accadono poi altre cose, alcune impercettibili sotto un sostegno ritmico-sonoro che rimanda inequivocabilmente alla tradizione afro-americana. Rumorismi diversi aprono Ritual3; sparsi blocchi accordali del pieno orchestrale non intaccano lo sfondo che prosegue fino a quando clarinetto e clarinetto basso non intonano una frase presto ripresa dall’insieme. Qui il debito nei confronti di Evans è forse più scoperto ma la magia è intatta. Ritual4 è un altro rock duro e acido con il magistero di Weerlin in evidenza, ancora riff di poche note cornice sicura all’interno della quale accadono diverse cose e soprattutto torna il canto. Ritual5 si apre invece con un accompagnamento da blues lento, ancora rammentiamo il ruolo cruciale dell’accoppiata Berthling/Weerlin tra le sezioni ritmiche più coese e trascinanti che c’è capitato di ascoltare. Il disco chiude su un riff delle voci ora rimaste sole a ripetere una cantilena.
Musica superbamente concepita e scritta e ancor meglio eseguita. Formazione che può far conto di alcuni dei migliori, più liberi e creativi, musicisti in circolazione, tutti figli della scuola norvegese, o svedese. In questo ricchissimo insieme troviamo tanti disparati elementi della storia e del presente delle musiche afroamericane, troviamo elementi della ricerca sul suono e la sua produzione e sulla libera improvvisazione, sul significato ritualistico e ancestrale del riff; quello che emoziona è come il tutto infine sia mirabilmente guidato dalla eccezionale personalità autoriale di Mats Gustafsson.