IPA – I Just Did Say Something

IPA - I Just Did Say Something

Cuneiform Records – 2016



Atle Nymo: sassofoni, clarinetto

Magnus Broo: tromba

Mattias Ståhl: vibrafono

Ingebrigt Håker Flaten: basso

Håkon Mjåset Johansen: batteria






La scena scandinava continua a riservare “sorprese” eccellenti e non fa eccezione, anzi, il quintetto IPA qui alla sua prima incisione per una label che potrà (forse) garantirgli una migliore distribuzione e visibilità. Le personalità che lo compongono si sono distinte, nel decennio trascorso, per l’impegno in diverse formazioni risultate fondamentali per la definizione e successivo sviluppo del jazz nordico: La Trondheim Jazz Orchestra, gli Atomic, il trio The Thing, i Motif, l’Ensemble Denada. Il nucleo della formazione (Nymo, Håker-Flaten e Mjåset Johansen) era presente in un disco dedicato alla rivisitazione della Complete Communion di Don Cherry (2006); poi nel 2008 il fondamentale incontro con Magnus Broo e la nascita del quartetto con altre due incisioni per la stessa label indipendente. Con l’ingresso del bravissimo Mattias Ståhl al vibrafono la formazione si stabilizza in quintetto con un ulteriore incisione nel 2014. Che tutto abbia avuto inizio, un decennio fa, con una riflessione sul capolavoro cherryano conferma il debito profondo degli IPA verso Cherry e Coleman, e verso il free di quella stagione, recuperato qui con grande attenzione, rispetto e sensibilità contemporanea. Don e Ornette avrebbero apprezzato l’approccio personale, non accademico ma ripensato dall’interno, alle loro intuizioni. Nella pagina d’intenti della svedese Moserobie, per cui IPA ha inciso il precedente Bubble, leggiamo: «Il nostro intento principale non è nell’innovazione o nella tradizione ma semplicemente nell’espressione personale.»


L’epigramma è assai calzante anche per la presente incisione nella quale Coleman e Braxton, la musica tradizionale balinese e la tradizione swing-bop convivono senza strappi e frizioni e senza l’ombra di possibile eclettismo. Formazione collettiva, di grande equilibrio e superiore interplay, seppur ad Atlas Nymo spetta una maggiore responsabilità: per la predominanza numerica dei brani a sua firma che paiono poi anche quelli più coerenti, originali e freschi. Tre composizioni del sassofonista aprono l’incisione; nella prima una breve scala ascendente/discendente, il “saluto veloce” del titolo, apre su un energetico e rabbioso duetto tenore/batteria: Nymo è qui memore del conterraneo Gustafsson, il tema d’apertura torna seguito ora da un secondo tema, quasi scoria di una ghost-trance music braxtoniana, intonato da vibrafono e subito seguito da tutto il gruppo, poi solo di vibrafono e ritorno del tema braxtoniano che rallenta virando in un terzo episodio, senza un vero tema, su un 4/4 medio sorretto da uno swing irresistibile dell’accoppiata Haker-Flaten-Johansen. E ancora solo di Broo, interiezioni e dialogo con tenore e la musica cresce in intensità prima del ritorno del breve tema di saluto iniziale. Descrizione lunga e pedissequa, per provare a dar conto della ricchezza compositiva di Nymo. Ricchezza e complessità meravigliosamente padroneggiate dai musicisti coinvolti; ne sortisce così una musica agile, fresca e fragrante, di grande intelligenza, sicura padronanza e consapevolezza dei propri mezzi.


Musica gioiosa come il fulminante seguente Sayembara, tradizionale balinese in salsa ornettiana sorretto dal magistero ritmico percussivo di vibrafono, basso e batteria. Il brano chiude lasciando scoperta la cellula ritmica che l’ha sorretto. Il seguente, misterioso-pensoso Naked Ø fiorisce da un tema intonato, in cadenza libera, da basso e vibrafono all’unisono come fosse un brano del Modern Jazz Quartet, poi l’ingresso dei fiati e l’esposizione del bel tema rimandano all’amato Cherry. Una perorazione di grande concentrazione e lirismo da parte di Nymo porta a un melodioso, cantato, solo di Broo che illumina il brano. Assai debole pare invece il seguente tema Majken a firma Stahl con Broo impegnato con sordina a rievocare, goffamente, timbri ellingtoniani o di un passato non meglio definito. Lo stesso tema non è memorabile e non aiuta.


Ancora la penna di Nymo per Globus con un tema arioso e scattante cui seguono un secondo e un terzo tema affatto diversi e pure congruenti. Il brano funziona a meraviglia e si fa ricordare per il suo saper mischiare e alternare rapidamente le suggestioni sospeso com’è tra ritmi jazz-rock memori di Jarrett e Burton: Sta hl qui giganteggia, e Nymo in solo è rabbioso come fu Gato Barbieri negli anni migliori. Un ritmo trascinante e un breve accenno di tema caratterizzano Sir William, a firma Broo, attraversato da un solo furente di Nymo contrappuntato dai mallets, dopo il solo compare un secondo tema 4/4 spingante perfetto per lanciare Broo. Anche Barbro Violet è a firma Broo ma l’apetura è per il basso di Haker-Flaten e i mallets di Stahl. Poi i fiati all’unisono con la linea di basso introducono i soli, qui Haker-Flaten risulta mobilissimo, inventivo e leggero. Slakt Sving è tema-riff dimenticabile, pretesto per sequenza di assoli.


Il finale è invece il bel tema, cantabile e di gusto quasi pop, a firma Haker-Flaten che chiude un album, forse un poco diseguale e discontinuo per la presenza di troppe firme. Questo è soprattutto l’album di un quintetto di musicisti stilisticamente affini, che hanno maturato negli anni conoscenza e stima reciproca, e raggiunto così un interplay e un affiatamento piuttosto rari. Tutti sono maestri e virtuosi del loro strumento. Su tutto spicca l’abilità compositiva di Nymo nome pressochè sconosciuto in Italia quanto degno del massimo plauso.