Foto: dal profilo twitter di Stefania Dipierro
Slideshow. Stefania Dipierro
Jazz Convention: Stefania, ci parli del tuo nuovo disco Natural?
Stefania Dipierro: Natural è stato seminato nei primi anni Novanta all’interno del Fez, collettivo musicale aggregato a Bari da Nicola Conte con altri amici appassionati di jazz, soul e musica brasiliana. Avevo 19 anni, ero una pianista classica innamorata di Bach e studiavo giurisprudenza. Ricordo perfettamente quest’incontro che ha influito molto sul percorso della mia vita. Conobbi Nicola in una serata Fez dove c’era stato il concerto di Achenza e Nicola selezionava i dischi. Andai in consolle da lui e gli cantai nelle orecchie il disco che girava sul piatto, Woman of the Ghetto di Marlena Show. Paolo Achenza Trio fu il primo disco del Fez, poi ci fu il progetto Tempo5 che mi portò in studio di registrazione e, per la prima volta, provai il brivido della registrazione microfonica. Abbiamo passato una decina di anni insieme tra concerti, progetti, dischi e remix. Poi all’inizio degli anni 2000 ci siamo diluiti in giro per l’Europa e il mondo. Io mi trasferii prima a Roma e poi ad Amsterdam. Sono tornata a Bari dieci anni dopo, abbiamo trovato il tempo di produrre un album tutto per me, una sintesi della nostra esperienza e delle cose che ci sono sempre piaciute.
JC: Come definiresti musicalmente il disco Natural?
SD: In Natural confluiscono emozioni, poesia, un crossover di derivati tra jazz e Brasile. Ha preso forma anche il nostro pensiero con la scrittura di 4 brani originali. Così Nicola ha scritto l’intimista bolla d’amore di “Within You and I” e una club track come “I Feel the Sun on Me”, io le due tracce in portoghese il jazz-samba “Ainda Mais Amor” e la title track funkeggiante “Natural”, tutte sussurrano forte di vivere amando. Il disco è nato in studio, praticamente in presa diretta. Nel senso che le cose non le abbiamo mai provate prima ed arrivavamo alle session con delle idee e delle tracce scelte. Naturalmente lo spirito di squadra e la preparazione personale di ognuno dei musicisti coinvolti ha permesso questo tipo di lavoro. Al pianoforte Pietro Lussu e Mirko Signorile, al basso Luca Alemanno, i batteristi Nicola Angelucci, Marco Valeri, Fabio Accardi e Dario Congedo, alle percussioni Pierpaolo Bisogno ed Emanuele Ferrari. Alle chitarre Nicola e Fabrizio Savino che ha partecipato alla scrittura degli originali. I featuring di Rory More all’hammond, di Gaetano Partipilo sax e flauto, e di Fabrizio Bosso. Siamo tutti legati da anni, come una family che lavora insieme, facendo peraltro un lavoro bellissimo. Natural è stato registrato nello stesso studio di sempre, il Sorriso Studios di Tommy Cavalieri a Bari, che conserva ancora oggi banco analogico e le sale in pieno stile anni Sessanta…
JC: E ora a bruciapelo, in “tre parole”, chi è Stefania Dipierro?
SD: Noi tutti siamo quello che facciamo. Ho ricevuto un educazione che mi ha permesso di trovare il contatto con me stessa. Sono cresciuta facendo tantissimo sport, tennis, corsa e nuoto, studiando pianoforte, divorando libri e capendo sempre i discorsi filosofici di mia madre che, quanto mio padre, hanno donato a noi figli il loro amore per la bellezza, per il fare con passione e forza, per non trovare mai scuse ma una strada chiara dove incanalare bene le energie per poi godersi la libertà. Quindi sono un artista, una madre, una visionaria creativa.
JC: Ci racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
SD: Il primo giradischi portatile arancione con i dischi RCA di Mina, la Vanoni… con cui già giocavo a due, tre anni. Poi per il mio quinto compleanno mi regalarono il pianoforte, ricordo l’accordatore che mise a punto lo strumento e quando tutte le corde furono “intonate” suonò la Pantera Rosa di Henri Mancini. Ma tra i ricordi primordiali resta forte la sveglia di tutte le mattine con le Quattro Stagioni di Vivaldi e del Bolero di Ravel che ci accompagnava la domenica. Questi dischi li metteva mio padre.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?
SD: Il motivo è semplicissimo, sono nata canterina. È un po’ come volare…
JC: E in particolare ti ritieni cantante jazz, lounge, soul, bossanovista o altro ancora?
SD: È vero che canto tutte queste cose, mi piace esprimermi controllando un certo istinto di libertà, incastrare delle cose e creare vocalità diverse anche sulla musica elettronica, sulla musica brasiliana d’autore-funk e popolare, sulla pizzica, sul soul, la musica d’autore italiana, il jazz… il confine di genere musicale per me non esiste. Esiste questo modo di vivere la realtà.
JC: Ma cos’è per te la musica?
SD: La musica è una grande madre, quindi una grande risorsa. Nutre lo spirito di chi la vive, quindi di chi la fa e di chi la sente.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che invece associ al jazz?
SD: Il jazz è un modus vivendi prima di tutto, vedersi e suonare per condividere sentimenti, emozioni ed energia. Riporta in vita dei canoni ancestrali legati alla cultura afro, quindi alla autenticità della fede e della fatica condivisa. Il jazz è una questione di rispetto e di regole… un inno alla libertà disciplinata. Il jazz ti porta ad andare sempre avanti sfidando scale difficili e improvvisazioni che sono legate al preciso momento in cui le esegui, ai pensieri che ti attraversano, a gioie e dolori, all’energia che hai e che ti circonda in quel preciso momento. Il jazz lascia la porta sempre aperta alla tua verità ed a quella di chi suona con te, è equilibrio. L’esecuzione di un brano jazz, di uno standard non è mai uguale, variazioni nel tema e sostituzioni armoniche sono benvenute, il percorso è libero. Al contrario, per esempio, nel pop è tutto più controllato. Sentimentale ed autentico è lo spirito del jazz.
JC: Tra i brani che hai cantato ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
SD: Amo Caminhos Cruzados di Jobim, Joia ed Eclipse Oculto di Caetano Veloso, Agua de Março di Elis Regina, Open the Door di Betty Carter o No More Blues di Carmen McRae, Cais di Milton Nascimento o Quanto è profondo il mare di Lucio Dalla. Ma anche Sign of Times di Prince.
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
SD: Elis & Tom del 1974, 10 Years Solo Live di Brad Mehldau, Clube da Esquina di Milton Nascimento, Abraçaço di Caetano Veloso, e ancora Elis in Nada Serà Como Antes…
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
SD: I miei maestri sono quelli che non hanno avuto la pretesa di sottolineare che mi insegnavano delle cose. Sono quelli che mi hanno dato l’esempio giusto, quelli che ho potuto stimare potendo io comprendere la loro forza, determinazione, preparazione personale, educazione ed amore per delle cose speciali. Sono quelli che mi hanno dato forti ispirazioni o intense esperienze di vita che mi hanno fatto stare bene. Bach, Jobim, Milton Nascimento, Caetano Veloso, Alice Coltrane, Miles Davis, Picasso, Marcel Duchamp, Pasolini, Kafka, Kant . Poi nel mio vissuto musicale Nicola che mi ha aperto dei mondi musicali, Fabrizio Bosso che quando eravamo più piccoli studiava la tromba tutti i giorni mentre io nell’altra stanza praticavo respirazione ed emissione vocale… per la cultura mia madre Annamaria, nella vita mio figlio Diego.
JC: E le cantanti che ti hanno maggiormente influenzato?
SD: Quelle con personalità autentica e profonda. Da Maria Callas a Carmen McRae e Sarah Vaughan. Ad un certo punto della mia formazione ho incontrato la canzone brasiliana con Elis Regina, Gal Costa, fortissime e delicatissime, buie e solari. Poi adoro anche Chaka Khan, Patti Smith.
JC: Come vedi la situazione della musica oggi in Italia?
SD: Non mi piacciono molte cose in Italia, ma in fondo la situazione italiana non è poi tanto diversa dal resto del mondo che gira sulle logiche di marketing e di global system. Dalle Torri Gemelle in poi è iniziato il grande buio… Lo scempio che ne deriva è l’appiattimento di massa e la lotta per la sopravvivenza di tutto ciò che vuole sfuggire alle logiche commerciali. Certo è che ci sono anche degli stimoli positivi in questo clima ed una certa voglia a volte di esprimere a modo proprio una dimensione di contemporaneità.
JC: Prima di iniziare l’intervista, dicevi che in Italia è ancor a piú grave il sistema sociale e politico… Però il jazz e la musica…
SD: Recentemente ci sono stati dei bellissimi eventi di solidarietà per i terremotati, che hanno avuto anche il loro riscontro mediatico oltre che di partecipazione e risultato. Sui palchi di molte città italiane noi musicisti, di qualsiasi livello o fama, ci siamo uniti per suonare e raccogliere fondi a sostegno di L’Aquila e Amatrice, Sarebbe importante fare la stessa cosa per denunciare, più spesso e più forte, l’inadeguatezza del sistema fiscale che dobbiamo sopportare, tasse altissime rispetto ad altri paesi europei, non è riconosciuta alcuna forma previdenziale. In Olanda, dove, tra l’altro, non si pone il problema di lavorare in nero perché le tasse sono solo al 6%, se un artista non produce reddito per mancanza di concerti o malattia, riceve un assegno mensile di categoria.
JC: Tornando all’Italia del jazz?
SD: Anche la SIAE fa cose assurde, versa i diritti d’autore dei minori sui conti dei big, questo avviene nelle programmazioni radiofoniche… e tante altre cose che portano alla desertificazione. Molti club non riescono più a sostenere calendari musicali e molti festival si estinguono. In più gli artisti italiani risultano più cari degli stranieri, sempre per le ragioni fiscali, quindi spesso vengono “accantonati”. Dovremmo pretendere delle cose invece che lamentarci. Unirsi per cambiare il mondo, che comunque di default cambia ogni giorno; questo è naturale.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
SD: Il mio mondo ha un ritmo veloce, giornate intense e mille cose da fare. Non ho davvero mai il tempo di sedermi a progettare le cose. Diventano realtà quelle che già faccio. Intanto Natural resta un progetto che amo e che ha già delle cose nuove in cantiere. Tra un po’ usciranno dei remix di elettronica di alcune tracce e quest’estate è stato stampato anche il vinile a seguito delle circa 5000 copie vendute in tre mesi. C’è anche “Canto l’Amore”, progetto a cui ho dato vita nel 2013 col pianista Mirko Signorile, spinta dal desiderio di poter raccontare la poesia racchiusa in tante canzoni, superando i confini dei generi musicali nella dimensione intima e liquida del duo. Il suono è jazz nelle sue derivazioni-derive, minimal e progressive. Ci piace portarlo avanti e farlo crescere. Naturalmente anche una scia di Natural resta nelle mie corde.