Intervista a Timo Lassy

Foto: dal sito di Timo Lassy, timolassy.com









Intervista a Timo Lassy


Jazz Convention: Timo, anzitutto, vuoi provare a presentarti brevemente per il pubblico italiano che ha avuto modo di ascoltarti dal vivo solo in poche occasioni?


Timo Lassy: Sono finlandese, sassofonista, compositore e bandleader. Ho suonato con molte formazioni, tra le quali la U-Street All Stars e i Five Corners Quintet, per citare alcune tra le più conosciute anche al di fuori dei confini finlandesi. Recentemente ho scritto diversa musica per film e ho anche co-prodotto del materiale per la cantante americana, ma ormai milanese d’adozione, Joyce Elaine Yuille. Ma soprattutto negli ultimi dieci anni mi sono concentrato soprattutto sul mio gruppo, la Timo Lassy Band, con cui ho registrato cinque album. L’ultimo, in ordine di tempo, Love Bullet, l’ho registrato a Hensinki nell’aprile 2014, ma è uscito con l’etichetta tedesca Membran durante la scorsa estate e, in Italia, viene distribuito solo ora.



JC: Infatti, vorrei che ci parlassi subito di questo nuovo lavoro.


TL: Come ti ho detto, questo è il quinto album a mio nome e, almeno secondo il mio punto di vista, è più personale del precedente. Quello che è veramente degno di nota è essere riuscito ad avere la stessa line-up originale degli altri dischi, perché è fondamentale lavorare con Teppo Maykynen alla batteria, Antti Lotjonen al basso, Abdissa Assela alle percussioni e Georgios Kontrafouris all’organo e al Wurlitzer. Per quanto riguarda me, suono esclusivamente il tenore: ho abbandonato per un po’ sia il baritono sia i flauti. In Love Bullet, abbiamo anche due speciali ospiti in alcuni brani che veramente espandono il suono nella direzione giusta: due bei giovani talenti come Jukka Eskola alla tromba e Panu Savolainen al vibrafono. Rispetto al mio precedente In With Lassy, che era uscito per l’etichetta italiana Schema Records nel 2012 ed era dedicato alla bossa nova, i brani di questo nuovo sono per così dire più “scritti”, più “composti”, e ho fatto un sacco di fatica nel selezionare i brani e rendere l’album completo, nel senso di omogeneo. Visto poi che la mia musica è strumentale, abbiamo voluto anche proporre due video musicali – scaricabili da YouTube – per dare all’ascoltatore una piccola storia attorno alle canzoni stesse.



JC: Hai di proposito omaggiato in Love Bullet certe atmosfere nello stile della Blue Note Records?


TL: Di sicuro il sound del disco possiede una buona dose di ascolti dei classici album jazz degli anni Cinquanta-Sessanta. È uno stile che rappresenta un’epoca verso cui nutro una grande una passione. Ma per me non si tratta di un album-tributo o cose del genere. Certo, abbiamo preso un qualche spunto qua e là dal passato, ma spero che gli ascoltatori avvertano, in generale, qualcosa di nuovo e fresco. Prendi ad esempio il brano “Undecided” e ascolta come suona la band! Sono orgoglioso di questo gruppo e mi ritengo addirittura onorato di dirigere un gruppo di musicisti così talentuosi.



JC: Ascoltando la tua musica, sembra che tu sia nato con il jazz, che lo abbia ascoltato fin da piccolo, è così?


TL: I miei genitori avevano scelto il pianoforte come mio primo strumento su cui studiare. Era la musica classica e un’opzione molto tipica in quel periodo. Tuttavia, mio padre suonava un po’ il clarinetto e il sax alto. Credo che uno dei miei primissimi ricordi d’infanzia, riguardo al jazz, sia proprio mio padre con il suo clarinetto a casa nostra d’estate, mentre in un tardo pomeriggio eseguiva alcune blue notes. È un ricordo molto bello. E, sempre in casa, già da ragazzino, ho provato grande piacere nell’ascoltare la musica di Charlie Parker e di Dexter Gordon dalla collezione di dischi di mio padre.



JC: Ma c’è stata, allora o più avanti, una ragione specifica che ti ha spinto a diventare un jazzista?


TL: Questa è una bella domanda. Non credo che non sia mai esistito, per me, un tempo in cui a tavolino abbia preso una decisione o mi sia indirizzato verso una scelta definitiva. Infatti, durante l’adolescenza, un periodo sempre molto critico per tutti, stavo addirittura per smettere di suonare. Per fortuna un mio insegnante, in quei momenti, mi ha incoraggiato a continuare con la musica orientandomi verso un liceo dove poi ho di nuovorinforzato la mia intenzione di diventare musicista, grazie a nuovi amici con cui ho avuto modo di suonare o formare gruppi. Così suonare è diventato una passione e una pratica giornaliera. Spero di non stancarmi mai a suonare buona musica. Ma per rispondere alla tua domanda, penso che lo specifico sia la passione… passione per la musica…



JC: Hai dei modelli nel jazz? E tra i sassofonisti in particolare?


TL: Grande. Questa risposta potrebbe essere così lunga da salvare l’industria della carta finlandese. Dimmi quando smettere…



JC: Comincia con i Maestri con la M maiuscola, almeno una decina?


TL: Duke Ellington, Count Basie, Horace Silver, Miles, Ella, Clark Terry, Chico Hamilton, Art Blakey con i Jazz Messangers… Buddy Rich e tutti i batteristi molto swinganti, ma ce ne sono molti nel periodo d’oro del jazz…



JC: E tra i sassofonisti?


TL: Sonny Rollins, Stanley Turrentine, Gene Ammons, Ike Quebeck, Coltrane, Cannonball Adderley, David Fathead Newman, Parker e Gordon, che ti ho già nominato…



JC: C’è stato un clou nella tua carriera jazzistica o un episodio che ricordi con piacere o con affetto?


TL: Potrei citarti tanti momenti importanti, ma me ne viene in mente uno molto speciale. Riguarda la prima volta che salii sul palco a presentare il mio primo gruppo, intendo dire il primo gruppo a mio nome, insomma. Era come il capitano della nave che prende la decisione di salpare. Tutti a bordo! Ed è lui ad assumersi la piena responsabilità della nave, del carico, dell’equipaggio e dei passeggeri. Nel mio caso si tratta della band e del pubblico.



JC: Come definiresti la tua musica oggi?


TL: C’è una recensione a un mio album recente da cui ho imparato una nuova parola inglese, “erudite” (erudito in italiano). C’era scritto fra le righe qualcosa del tipo «jazz divertente da parte di musicisti eruditi». Faccio il mio lavoro per intrattenere il pubblico, ma lo faccio anche con seria passione e grande rispetto la musica jazz. Per fortuna ho musicisti dotati di talento che mi aiutano sia in studio che dal vivo; possono suonare gli stesse brani in una sala da concerto o di un night-club facendo le ore piccole sempre swingando, facendo del loro meglio e senza dimenticare mai l’importanza non solo dei ritmi e delle melodie, ma anche e soprattutto dei dettagli e delle sfumature.



JC: Ma ci sono idee, concetti o sentimenti che tu associ più o meno automaticamente al jazz??


TL: Anche se suono il sassofono, ossia uno strumento solista melodico, mi viene ancora dire che è sempre una questione di ritmo. Tutti sul palco devono sapere come suonare e sostenere il groove. Anche nei brani più lenti e più intimisti, il ritmo e lo swing devono portare a compimento non solo la melodia (che è molto importante), non solo l’assolo (parimenti fondamentale), non solo uno o due canzoni, ma l’intero set (album o dal vivo). Naturalmente ci sono ogni tanto dei picchi e un climax assoluto ma occorre mantenere la macchina a posto, set dopo set, concerto dopo concerto, anno dopo anno… ho visto Lou Donaldson suonare il sax all’età di 85 o giù di lì; aveva ancora idee e i concetti-chiave e soprattutto i sentimenti!



JC: Come giudichi la situazione attuale per quanto concerne la diffusione del jazz?


TL: A volte sembra che ci sia una sovraesposizione di musica e di spettacolo in generale. Anche le persone più giovani in particolare sembrano consumare tutto in pochi attimi e a ritmo vertiginoso. Se la canzone o il film non è subito soddisfacente – “not so good” dicono gli americani – non riescono ad andare oltre i venti secondi, si preme un tastino per scegliere altro. Anche la passione per il suono acustico potrebbe venir meno a causa delle nuove modalità di ascolto (apparecchi mobili di vario genere) che non necessariamente riescono a sostenere la buona musica. Ma ci sono ancora e spero che esistano sempre le persone che amano la musica e apprezzano chi creatori veramente la musica. E noi musicisti dobbiamo essere responsabili verso se stessi e verso il pubblico.



JC: Da finlandese, esiste secondo te un finnish jazz o qualcosa del genere?


TL: Abbiamo una vasta diffusione del jazz in Finlandia e i jazzisti supportati da un efficente sistema di istruzione e di didattica. Non posso dirti che la mia musica non è finlandese (siccome sono nato qui), ma forse posso dire che non è il più tipico esempio di finnish jazz dal momento che è più bluesy e groovy rispetto al “suono nordico” in generale. Il jazz del resto è arrivato in Finlandia molto più tardi rispetto a molti altri paesi nordici, come Svezia, Danimarca o Norvegia. Abbiamo subito la guerra e, in seguito, momenti assai difficili. Quindi, per recuperare il ritardo, abbiamo dovuto fare passi da gigante o veri e propri salti nel vuoto. Ma, come in molti altri campi, o finlandesi tendono a essere seri e a rispettare il duro lavoro. Direi che questo atteggiamento, fare le cose ad alto livello cioé, potrebbe raffigurare la comune identità del jazz finlandese.



JC: Tuoi progetti per l’immediato futuro?


TL: Sto lavorando su diversi progetti in questo momento. È sempre bene avere un paio di cosette a cui ispirarsi a fianco di quelle in atto, cosette che potrebbero portare a qualcosa di buono. Nel frattempo sto presentando Love Bullet in diversi paesi, spero anche di tornare in Italia, dove ho suonato il 18 marzo scorso per Crossroads a Fusignano, vicino Ravenna. Nei prossimi mesi saranno queste le mie attività principali e poi c’è anche il nuovo materiale per la band che è già in fase di lavorazione…