Foto: Elisa Velleca per gentile conessione del ParmaJazzFrontiere
Stian Westerhus & Sidsel Endresen @ParmaJazzFrontiere
Parma, ParmaJazzFrontiere @ Casa della Musica – 18.11.2016
Stian Westerhus: chitarra, live electronics
Sidsel Endrisen: voce
«È musica in uno specchio rotto raffigurante il tempo in cui è stata creata.» Così definisce Stian Westerhus il risultato di un suo recente lavoro in campo rock (per la cronaca, si tratta del pregevole Amputation, uscito proprio quest’anno).
Questo feeling disperato e iconoclasta il chitarrista norvegese lo ha fatto sentire, sul palco di Parma Jazz Frontiere, in duo con la cantante Sidsel Endresen, sua conterranea.
Sarebbe del tutto inutile cercare di raccontare la serata usando le etichette, peraltro oramai abusate, della contaminazione dei generi musicali. La performance dei due artisti del grande nord ha portato in un territorio che va addirittura oltre la musica, per sconfinare in una dimensione teatrale. Il canto della Endresen si dispiegava in un territorio prossimo all’afasia. La parola si rompeva in grida, gorgogli, balbettii; fluttuava ai limiti del silenzio. Mi si passi una suggestione letteraria: in certi momenti si respirava un atmosfera simile a quella di alcune pagine dostoevskijane (in modo particolare, quelle de Il Sosia).
Dalla chitarra e dal set elettronico di Westerhus scaturivano invece ora melodie surreali (specie quando l’esecutore usava un archetto per fregare le sei corde), ora masse sonore simili a gigantesche onde anomale che scuotevano, anche fisicamente, lo spettatore. In certi passaggi la chitarra sembrava evocare strazianti sirene di navi perdute in qualche notte artica.
Un’ora abbondante di poesia pura, anche se aspra e drammatica. Una lunga sequenza di saudades boreali, di solitudini nordiche, sottolineata dalle luci “scure” richieste dalla Endrisen all’organizzazione, come si vede anche nelle foto.
Il grande merito dei due artisti è stato quello di non scadere mai, nemmeno per un momento, nel manierismo. Il loro set non è stato avvertito dal pubblico, che ha applaudito con calore, come una sperimentazione fine a se stessa. I due hanno raccontato con un lirismo terribilmente scabro, una storia cruda, dolorosa. Una storia ferita che si svolge sul confine fra suono e silenzio, sull’orlo della perdita del senso. Una storia, per riprendere la citazione iniziale, che parla del nostro tempo.