L’Heure Bleue, le atmosfere liriche ed intimiste di Francesco Bragagnini

Foto: la copertina del disco










L’Heure Bleue, le atmosfere liriche ed intimiste di Francesco Bragagnini.


L’Heure Bleue è il primo disco da leader del chitarrista Francesco Bragagnini. Il progetto è stato realizzato assieme a musicisti il cui legame artistico è condiviso con quello d’amicizia. E nel disco si sente. È una partecipazione corale a un lavoro di “formazione” che rispecchia appieno la personalità e la tempra artistica di Bragagnini.



Jazz Convention: Chi è Francesco Bragagnini? Raccontaci di te, del tuo essere musicista, delle tue aspirazioni e dei tuoi sogni artistici?


Francesco Bragagnini: Sono nato e cresciuto in Friuli. È una regione un po’ “a parte”, dove le realtà musicali arrivavano o si creavano solo di riflesso, in seconda battuta rispetto ai grandi centri. Da piccolo ricordo in gran parte le orchestre di musica da ballo, poi, anche i gruppi rock mentre crescevo. Ad ogni modo, il mio primo strumento l’ho richiesto all’età di cinque anni, ed era una batteria. Sono sempre stato circondato da strumenti, anche perché mio zio era un sassofonista professionista e mi piaceva ascoltarlo suonare, o sbirciare tra le sue cose, i suoi dischi, e ricordo che tutto ciò mi affascinava moltissimo. Andavo all’ asilo quando ho cominciato a pizzicare le corde della chitarra acustica di mia sorella e ricordo che suonavo ad orecchio, con un solo dito sul mi cantino, certe melodie che sentivo in tivù o così mi sembrava fossero almeno. Per qualche ragione sconosciuta, però, ho cominciato a studiare chitarra classica, per passare quasi un anno dopo a quella elettrica, verso i diciotto anni. Da lì in poi ho seguito lezioni private e ho frequentato corsi in scuole private, workshop con artisti di grande nome e infine il conservatorio. Il mio essere musicista è fatto della continua ricerca del miglioramento del lessico musicale al fine di potermi esprimere al meglio in fatto di idee e tecniche per poterle esprimere. Significa anche essere attento a tutto ciò che riguarda la vita in generale, per poter attingere degli spunti che poi finiranno nella scrittura dei miei brani. Aspiro a scrivere delle cose che riflettano sempre più in profondità chi sono. Credo sia un processo che vada di pari passo alla mia evoluzione come persona. E poi, come ogni musicista credo, aspirerei a suonare di più dal vivo. Infine, sogno di trovare la mia esatta collocazione in termini di stile, se mai riuscirò a fare in tempo a crearmene uno mio, è chissà… magari un altro disco con una orchestrazione dettata dalla scoperta di nuovi orizzonti.



JC: Il chitarrista che ti fa impazzire? Quello che nella tua carriera è diventato un riferimento?


FB: Di chitarristi che mi piacciono o che li abbia ritenuti dei riferimenti, ce ne sono diversi. Potrei citarne davvero molti, ma ne cito solo alcuni e forse i soliti, come ad esempio Bill Frisell, John Scofield, Kurt Rosenwinkel e molti altri. Artisti dei quali, come credo tutti i musicisti abbiano fatto, ho attinto, trascrivendo ed imparando i loro soli ed ascoltandoli molto. Poi, per arrivare a periodi più recenti, ascolto con molto interesse musicisti come Yotam Silbertein e Gilad Hekselman, uno che mi fa rimanere di sasso ogni volta che lo ascolto. È stupefacente per me ascoltare i suoi colori e i suoi temi, nonché la sua enorme capacita di sviluppare l improvvisazione e dar vita a contenuti sempre di enorme spessore. Ecco, se dovessi ora come ora fare il nome di un chitarrista che ritengo di riferimento… è lui, Hekselman.



JC: L’Heure Bleue è il tuo primo disco da leader. Perché la scelta di un nome “crepuscolare” e cosa rappresenta per te quella parte della giornata?


FB: Il titolo, L’heure bleue, è derivato dal fatto di aver notato che la scrittura di gran parte dei brani poi registrati per questo disco, aveva inizio sempre nell’ora del crepuscolo. Era una cosa non pensata appositamente. Credo sia stato piuttosto un richiamo inconscio. Infatti, se considero il crepuscolo come ora del giorno fine a se stessa, estrapolandolo da tutto, potrei dire che è un momento della giornata che io avverto come carico di cose non dette, pronte ad uscire, chiaramente se si fosse pronti a coglierle, di un intensità particolare, oltre che per il fatto di essere impregnato di questo colore blu, per il qual motivo i francesi amano definirlo appunto l’heure bleue, l’ora blu, contenente molte sfumature del suddetto colore, e anche di tonalità irrecuperabili. Ha un suo fascino, verso il quale non sono rimasto indifferente.



JC: Il disco lo hai registrato avendo come base il tuo quartetto, Nicola Bottos, Alessandro Turchet e Luca Colussi, a cui si sono aggiunti Flavio D’Avanzo, Giovanni Gigui e l’ospite d’onore il chitarrista americano Russ Spiegel.


FB: Si, sono tutti musicisti che conosco da molti anni, a parte Giovanni Cigui, che conosco da qualche anno ma che ho ritenuto di chiamare per il suo modo di suonare così “dentro”, senza fronzoli, diretto. Sa cogliere gli aspetti che più meritano di essere evidenziati. È molto bravo, e gli si prospetta innanzi una carriera brillante. Gli altri, sono stati scelti perché, conoscendoli, erano coloro che meglio avrebbero interpretato e colto, ciò che volevo ottenere. Così è stato. Suonare con loro è stata una bella esperienza, sono veloci nel comprendere, a volte non serve neppure parlare. Li conosco da molti anni, siamo amici e ho pensato che tutto questo non potesse che produrre un clima di rilassatezza e tranquillità per il buon esito finale. Sono molto contento di come hanno suonato. Anche Russ, seppure per aver participato ad un solo brano ha contribuito a creare l’atmosfera “giusta”. Sono stati due giorni davvero belli per me.



JC: Come è nato il sodalizio artistico con Russ Spiegel?


FB: Ho conosciuto Russ Spiegel, ad un concerto di Pat Metheny, tre anni fa. Era in compagnia di un amico, anch’egli musicista. Ci siamo fermati dopo il concerto ed abbiamo fatto conoscenza. Probabilmente siamo rimasti entrambi con buone sensazioni. Due giorni dopo ho trovato una data, e abbiamo suonato in trio, drumless. Ci siamo divertiti. Russ che è un abitante della grande mela ma residente per motivi di studio a Miami, viene a Trieste ogni anno, tiene workshop, fa concerti. E ‘ un grande musicista.  Scrive musica per orchestra, ha una carriera costellata di collaborazioni importanti e diversi dischi sia in trio che con big band  ed è una personalità musicale dalla quale non si può che imparare. È oltretutto un’ottima persona, molto simpatico, molto umano. Siamo amici e lo stimo molto.



JC: Le otto composizioni de L’Heure Bleue sono tutte scritte da te, e poi c’è una dedica particolare con Nuovo Giorno al maestro Andrea Allione…


FB: Si, i brani sono tutti scritti da me. Il tema interrogativo-enigmatico di Memorie sospese è stato scritto dopo un sogno che mi aveva lasciato una sensazione appunto misteriosa al risveglio. C’è un bel interplay nell’esecuzione ed è tra i brani cui sono più legato, insieme a Fotografia in bianco e nero, scritta osservando una foto della quale certi particolari mi colpivano particolarmente. L’intro / struttura, l’ho scritta al piano quasi di getto e l’essenzialità del tema fatto di pochissime note è voluta. Lo ritengo un brano abbastanza intenso nonostante la brevità della durata. Altri brani sono nati da riflessioni, come Il tempo indefinito, il quale vorrebbe per così dire “commentare” l’andamento odierno della crisi che attanaglia un po’ il mondo intero, mantenendo però una certa vena d’ottimismo. Green Melody è il risultato dello sviluppo dell’incipit del tema. Note che mi era sembrato percepire portate dal vento mentre passeggiavo in un’area verde. Ballo lunare è il ricordo di fuochi, tuffi nell’acqua di un canale in aperta campagna, luna piena, ed assenza totale di smartphone. Un ricordo di molti anni fa. Parole immaginate parla dell’impossibilità di esprimersi. Fu un fatto personale che mi colpì. No Destination è un brano il cui incipit mi soggiunse mentre mi trovavo su una barca a Venezia. Insomma, varie situazioni. Il territorio comune per diversi brani appunto, è stata l’ora della scrittura. L’ora che da il titolo al disco. E poi la dedica ad Andrea. Ero suo allievo quando avevo vent’anni. Lo sono stato per diversi anni, seppur senza una regolare continuità. Ma eravamo diventati amici, sempre con molto rispetto da parte mia, ci tengo a precisare, per la sua figura professionale ed umana. Era una persona forte caratterialmente, mi metteva in difficoltà alcune volte a lezione, ma lo ammiravo moltissimo. Al momento della sua dipartita ci conoscevamo da oltre vent’anni, e di certo fu un brutto colpo, per me come per tutti: amici, collaboratori, colleghi tutti. Un dispiacere enorme. Allora, mi è uscito un motivo che ho afferrato e sviluppato. Così è nato Nuovo giorno a lui dedicato. Di sicuro, l’aria malinconica di questo brano, non riflette appieno il suo temperamento, che anzi, era più sul focoso, piuttosto è il ricordo dei miei vent’anni: quando andavo da lui, i viaggi in treno, la città di Trieste, mia seconda casa che amo. Insomma, tutto questo amalgama di emozioni, per me era Andrea Allione se pensavo a lui. Perciò ho scritto un brano di questo tipo.



JC: L’Heure Bleue sembra un disco a lungo meditato, impressionista e allo stesso tempo intimista, dove lirismo, melodia e senso dello swing sono “ragionati” e in equilibrio, formando un filo rosso che lega tutti i pezzi…


FB: È un po’ il mio modo di “filtrare” ciò che voglio descrivere. Le composizioni in se non sono particolarmente articolate, i tempi sono medi, non c’è nessun “fast”, non si denota nella scrittura un eccesso di tecnicismi, ne dell’abuso di qualsiasi altro aspetto. Mi hanno influenzato molto anche musicisti come Kenny Wheeler, per il solo fatto di averlo ascoltato molto. Credo che l’idea del lirismo venga da lui, ma senza impormelo, semplicemente mi è entrato dagli ascolti. Mi è anche sempre piaciuta l’idea della semplicità in se. Di mio sono una persona che si dedica all’introspezione, alla meditazione, e forse ho scritto dei brani senza pretendere fossero assolutamente “originali”, e senza apparenti riferimenti stilistici, quanto invece con l’intento potessero esprimere una piccola ricerca che ho compiuto su di me come persona. Il risultato sono otto brani che mantengono un po’ le stesse caratteristiche, e cioè l’intimismo, e una certa determinazione nel far sì che ritmo, lirismo e melodia creassero un quadro complessivo dove tutti gli elementi elencati fossero in armonia tra loro senza che nessun aspetto fosse preponderante rispetto ad altri. Così nei temi come nelle improvvisazioni. Forse un piccolo riferimento c’è: mi sono lasciato ispirare anche dal cosiddetto jazz europeo di cui mi piacciono molto atmosfere e fraseggi lineari in ottavi regolari, senza pronuncia swing.



JC: L’abbinamento chitarra e pianoforte da molto colore e sfumature alla tua musica…


FB: Credo sia un abbinamento molto usato. Ma a ragione: la diversità di timbro tra chitarra e piano offre una più ampia possibilità di diversificare le atmosfere e le sezioni dei brani. Nicola Bottos è un pianista eccezionale, abbiamo collaborato anche in altre situazioni e ci conosciamo da molti anni. Di lui mi fido perché sa mettere il giusto in ogni situazione. C’è molto spazio per il piano nel disco. C’è molto spazio per tutti a dire il vero. In alcuni brani la chitarra non c’è. Ho volutamente dato spazio per far sì che la musica in se emergesse evitando preponderanze anche in questo caso. «Togli!» mi dicevo, è così ho tolto me stesso! L’ho immaginato così questo disco, esattamente per come è risultato. Altri modi di concepire un lavoro verranno da se in futuro. Sono contento di non aver suonato in ogni brano.



JC: L’Heure Bleue è un disco che ha risposto appieno alle tue aspettative?


FB: Direi di sì, senza dubbio. È un disco che riflette esattamente dove per ora si trovi il mio essere musicista, dove si trovano le mie concezioni, le mie idee e più in generale il mio sentire. È la concretizzazione di un sogno iniziato molti anni fa e uno stimolo a fare meglio, a ricercare sempre quel qualcosa “da dire”, e a cercare di dirlo in modo onesto. Le aspettative, erano riuscire a fare un disco sincero e con certi colori, forse quelli a me più cari. Non era scontato accadesse. Perciò se in qualche modo questo lavoro può essere stato apprezzato, io non posso che ritenermi felice di questo.



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