Foto: la copertina del disco
Roberto Taufic, la musica nel flusso della “Correnteza”
Correnteza è il disco che vede all’opera Cristina Renzetti alla voce, Gabriele Mirabassi al clrinetto e Roberto Taufic alla chitarra: una escursione sulla musica di Antonio Carlos Jobim realizzata da tre interpreti estremamente coinvolti e presi dalle atmosfere che provengono dalla musica brasiliana. Il disco è stato pubblicato nello scorso ottobre da Hemiolia Records e abbiamo chiesto allo stesso Roberto Taufic di raccontarci come è nato.
Jazz Convention: Come nasce questo lavoro? Come nasce in particolare questo incontro a tre tra Cristina Renzetti, Gabriele Mirabassi e te?
Roberto Taufic: Correnteza, che significa la corrente di un fiume, è nato da una sequenza di momenti veramente guidati da un flusso armonioso, paziente e rispettoso. Niente è stato forzato ed ogni cosa è arrivata al momento giusto. Partiamo dall’incontro tra me e Gabriele ed il nostro fascino per le belle melodie, per il canto e per la formazione del duo… un terzo elemento avrebbe potuto “trasformare” l’equilibrio già consolidato e, comunque, sempre in continua crescita del duo. In realtà, Cristina ci ha fatto subito capire che potevamo essere “tre” voci con un’unica strada da percorrere. La via che abbiamo scelto, pertanto, è stata la musica di Tom Jobim e tutto è nato da una partecipazione “occasionale”, ma fortemente voluta da noi, di Cristina in un nostro concerto a Bologna. Lei ci ha proposto Correnteza come brano da suonare insieme ed in questa corrente ci siamo tuffati! Sicuramente il punto fermo che abbiamo in comune è l’amore ed il massimo rispetto per la musica brasiliana ed i suoi maestri e, uno tra i più importanti tra tutti, è il maestro soberano Tom Jobim.
JC: L’impasto timbrico delle vostre tre “voci” è, forse, uno degli aspetti che viene messo meglio in risalto dall’ascolto del disco… come avete affinato questo particolare aspetto?
RT: Posso dire che la ricerca del bel suono è sempre stato uno dei punti fondamentali del nostro fare musica. Io e Gabriele abbiamo cercato questo impasto timbrico sin dal inizio della nostra collaborazione e Cristina ci ha sempre emozionato con il suono meraviglioso della sua voce. Penso che ogni voce ha la forza di influenzare l’altra: partendo dalla ricerca individuale, il risultato è la somma di tre voci che cercano la bellezza del suono. Per noi è fantastico fare musica cercando sempre questo impasto.
JC: Non credo che abbiate scelto per caso il titolo del disco, Correnteza…
RT: Come dicevo prima, Correnteza è stato il brano di Jobim scelto da Cristina quando l’abbiamo invitata sul palco durante un concerto del nostro duo, è stato il primo brano che abbiamo suonato insieme… Correnteza significa la corrente di un fiume e, per noi, è proprio questa corrente, fluida ed imprevedibile, a trascinarci in mezzo alla musica, in questo caso quella di Jobim, ed a farci vivere delle grandi emozioni. La musica di Jobim, quella che nel modo più naturale possibile veniva “chiesta di essere suonata”, ha rappresentato per noi un punto d’incontro di grande bellezza.
JC: Più in generale, come avete scelto la scaletta dei brani?
RT: La musica di Jobim è un mondo favoloso e la scelta dei brani da registrare è stata una vera sfida… Per ogni nastro, avevamo un limite di tempo di trenta minuti. Abbiamo deciso, in modo spontaneo e grazie anche al suono che si è creato tra di noi, di riprendere dei brani di Jobim che non si limitassero solo al periodo della bossa nova, periodo che rappresenta solo una piccola parte dell’opera del maestro!
JC: Tutti i brani registrati nel disco sono firmati da Jobim. Qual è stato il lavoro che avete fatto per arrivare alle interpretazioni che ascoltiamo sul disco?
RT: La verità è che avevamo un’idea dei brani da registrare ma non un lavoro di arrangiamenti. Un po’ per scelta, infatti, a tutti i tre piace l’idea di avventurarsi nei pezzi che suoniamo ma con il rigore e rispetto per il brano scelto. L’interpretazione dei brani del disco nasce da questo modo di mettere insieme la fiducia reciproca, il rispetto per la composizione, l’improvvisazione nell’interpretare accordi e ritmi, la ricerca dei colori e dell’impasto timbrico. Per la riuscita del disco, hanno contribuito in modo cruciale il posto dove abbiamo registrato e il processo scelto per registrarlo! Claudio Valeri di Hemiolia Records ci ha portato in una location veramente speciale, la chiesa di Santa Croce Umbertide, e lì si è creata una situazione che ci ha portato a trattare la musica con la consapevolezza di non poter rifare nulla visto che la registrazione era totalmente fatta sul nastro analogico, senza ulteriori missaggi o editing. Ma il suono della chiesa e la nostra voglia di vivere insieme quel momento hanno fatto in modo che il tutto si trasformasse in una delle più belle sessioni di registrazione della nostra esperienza musicale.
JC: Jobim è senz’altro uno dei grandi della musica del Novecento. E nei tuoi lavori, in particolare, c’è sempre stato molto spazio per i suoi brani: qual è il tuo rapporto con la musica di questo grande compositore e cosa ti insegna ancora oggi?
RT: È quasi impossibile non avere a che fare con la musica di Jobim per un musicista che ha fatto un percorso come il mio. Ho cominciato a “suonarlo” quando avevo sedici anni nei bar della mia città in Brasile! La sua musica mi ha sempre accompagnato ed influenzato insieme alle sue perfette armonie, l’estetica musicale ed il suo modo di suonare il piano, la sua relazione con la natura ed il Brasile più profondo, la ricerca della perfezione… Ed è veramente incredibile come questo lavoro fatto con Gabriele e Cristina mi abbia portato più in profondità nel suo mondo, forse perché, grazie a questa fantastica esperienza di registrazione vissuta insieme, ho avuto l’occasione di interpretare e di suonare diversamente i suoi brani. È stato come rileggere lo stesso libro con altri occhi e con una maturità diversa.
JC: Il sodalizio con Gabriele Mirabassi è solido ormai da diversi anni. A quale punto della vostra collaborazione arriva questo disco?
RT: Correnteza arriva sicuramente nel momento giusto, quel momento dove si crea un’occasione di crescita e di arricchimento artistico necessario a tutte le forme artistiche. Non riesco a vedere o considerare il trio con Cristina come un episodio nella vita del nostro duo ma, piuttosto come a nascita di una nuova e stimolante realtà che avrà vita lunga, proprio come un fiume. In Correnteza il nostro modo di suonare continua ad essere quello del dialogo rispettoso, giocoso ed amichevole, e Cristina entra in questo gioco alla grande.
JC: E, dall’altra parte, considerando che questi brani nascono per essere cantati, come avete vissuto il fatto che c’era una cantante a sostenere il ruolo melodico e questo non fosse affidato ai vostri strumenti?
RT: Dal punto di vista chitarristico per me non è cambiato niente, solo che ora ho due meravigliose voci che viaggiano, una con la melodia e altra che a volte crea delle linee improvvisate oppure colori, contrappunti ed è tutto quello che Gabriele magicamente fa uscire dal suo strumento. Cristina, tra le altre cose, è una di quelle cantanti che ti trascinano e si lasciano trascinare. È fantastica! Ripetendo, per me e Gabriele il gioco continua ad essere divertente ed entusiasmante ma con un’attenzione in più alla delicata arte di accompagnare la poesia trasmessa dalla voce di Cristina e dalla musica di Tom Jobim.
JC: In pratica, il disco è stato registrato dal vivo, in un ambiente del tutto unico e tutto con tecnologia analogica. Raccontaci questo aspetto del lavoro…
RT: Si, per noi è stata un’esperienza veramente unica. Suonare vicinissimi sentendo la fusione del nostro suono con quello della chiesa è stata la cosa che, secondo me, ha contribuito a creare la magia che si sente nella registrazione. Poi, andare a sentire le take vedendo quel nastro analogico che girava e il suono meraviglioso che veniva fuori da quelle apparecchiature ormai quasi dimenticate anche da noi musicisti è stata un’esperienza impagabile. Ascoltare e considerare il materiale registrato con la consapevolezza che niente si può più modificare, ci fa capire tante cose. Anche l’accettazione degli “errori” come parte della musica che è venuta fuori mentre suonavamo diventa importante. Del resto è venuto così e così rimane! Poi ascolti e riascolti e, magicamente, quel errore diventa bello… diventa una parte del ritratto di quel momento vissuto insieme a tutti quelli che partecipavano alla registrazione, musicisti, produttore, fonico e forse anche tutta la chiesa. Fantastico!
JC: Tu vivi in Europa e, in particolare, in Italia ormai da diversi anni. Qual è il tuo punto di vista sul modo di interpretare la musica brasiliana da parte dei musicisti europei?
RT: Non è facile rispondere a questa domanda perché, mentre ti rispondo, ci sono tanti nuovi musicisti europei che cominciano ad avvicinarsi all’universo della musica brasiliana. Forse quelli che lasciano più a desiderare dal punto di vista da un brasiliano che conosce bene i due mondi, sono i musicisti che riducono, magari inconsapevolmente, la musica brasiliana solo alla bossa nova e al suo uso solo in funzione dell’improvvisazione, cioè come parte del repertorio latin jazz. Ma, per fortuna, ci sono tantissimi musicisti che si avvicinano allo choro o alla musica d’autore brasiliana, alla musica del Nord Est brasiliano, alla musica di Minas Gerais, solo per citarne alcuni, con un atteggiamento rispettoso ed attento: ho visto nascere negli ultimi anni delle realtà veramente belle anche di fusione tra musica brasiliana e “colori” europei. Penso che anche il mio modo di suonare il Brasile stia diventando frutto di questa fusione, così come il clarinetto di Gabriele e la voce di Cristina! “Correnteza” potrebbe rappresentare un bell’esempio di questa fusione.
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