Slideshow. Satoyama

Foto: Emanuele Meschini (per gentile concessione dell’ufficio stampa della band)









Slideshow. Satoyama


Jazz Convention: Così, a bruciapelo cos’è Satoyama? L’origine e il significato della parola?


Satoyama: Il primo impatto con la parola Satoyama l’abbiamo avuto grazie all’omonimo pezzo dell’arpista finlandese Iro Haarla, nell’album Vespers. Ci è piaciuta molto come parola e abbiamo deciso di approfondirla. Abbiamo poi scoperto essere un concetto di cui avremmo voluto farne una rappresentazione nella nostra musica. In giapponese ha un significato molto intenso e profondo: indica una linea di confine tra pianura e montagna dove risiede, nell’immaginario mitologico e spirituale, una foresta sacra, un luogo dove natura ed esseri viventi esistono e coesistono in armonia. Le persone non possono prendere di più di ciò che la natura produce innescando un rispetto per essa che nei nostri giorni si è perso.



JC: Ci raccontate da chi è composto e come nasce il gruppo?


S: Luca Benedetto (tromba), Christian Russano (chitarra), Marco Bellafiore (contrabbasso), Gabriele Luttino (batteria). Il caso ha voluto che i nostri percorsi si intrecciassero in diverse situazioni musicali che ruotavano intorno ad Ivrea, la città dove siamo nati. Abbiamo iniziato a provare insieme a metà 2013. Abbiamo avuto subito l’impellenza creativa di suonare una musica che fosse onesta e personale, senza condizionamenti o auto-imposizioni a priori sulla direzione da prendere. Questo è stato possibile anche grazie al fatto che fossimo tutti e quattro musicalmente differenti, come esperienze avute fino ad allora. Ma è proprio questo che ha reso ancora più chiara ed evidente la strada “comune” da percorrere, come idea di pensare e fare musica.



JC: Quali sono i motivi che vi hanno spinto a proporre, Voi giovanissimi un gruppo jazz, e non pop, rock, rap, come fanno tutti (o quasi)?


S: Noi cerchiamo di fare una musica sincera e personale, che non ostenti complessità o banalità di alcun tipo: cerchiamo di suonare quello che ci va, che ci passa per la testa, di raccontare qualcosa. È costruita esattamente su di noi, sui nostri difetti che abbiamo fatto diventare pregi, su quello che siamo anche fuori dal palco. Non abbiamo deciso che tipo di musica fare, la casualità e l’improvvisazione ci hanno portato pian piano a definirci. Ovviamente il jazz in tutte le sue sfaccettature ha avuto e continua ad avere un ruolo importante per tutti e 4, ma troviamo sempre un po’ difficile etichettare ciò che facciamo e non è il nostro obiettivo.



JC: Ma cos’è per voi il jazz?


S: In base anche alla risposta precedente, è molto difficile ormai definire cosa sia Jazz e cosa non lo sia. Per noi è Jazz una musica basata su equilibri e contraddizioni, forte comunicazione, improvvisazione e senso del bello. Una musica in cui i musicisti riescano ad esprimere una bellezza generale, dovuta alla forte dipendenza tra di loro nel momento in cui suonano. In questo senso, l’improvvisazione è importante, è il tassello più grosso che compone il Jazz. Ci piace pensare al Jazz come termini di “approccio” e non in termini di strutture o stili musicali.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associate al vostro jazz?


S: La nostra musica è legata all’idea di “viaggio”. Ogni nostro brano vuol fare sperimentare all’ascoltatore e a noi stessi sentimenti legati alla natura del viaggio in diverse forme. Prendendo spunto dall’antropologia, la nostra musica vuole essere etno-relativa e non egocentrica. I brani non sono mai racconti su viaggi che abbiamo intrapreso e che vogliono parlare di noi. Piuttosto mirano ad essere delle fotografie istantanee di ricordi di viaggi visti dall’esterno, da ascoltatori, non da protagonisti.



JC: Ci raccontate ora qualcosa di Spicy Green Cube”?


S: Si tratta del nostro primo disco: il frutto di due anni di lavoro e di esperienze maturate tra di noi in numerosi viaggi dove abbiamo suonato anche per strada. Per noi è stato un po’ la chiusura del nostro primo “capitolo” insieme, capitolo che ci ha reso ancor più chiaro il percorso e la direzione musicale da perseguire. Il disco è un po’ la “fotografia” dei nostri primi due anni insieme.



JC: Tra i dischi che avete ascoltato quale portereste sull’isola deserta?


S: Esbjorn Svensson Trio, Seven days of falling; Franz Schubert, Works for piano four hands; Bernardo Sassetti, Motion; Mathias Eick, Oslo; Tom Waits, Orphans; Miles Davis, In a silent way; Jeff Buckley, Grace; Arvo Part, Fur Alina e The late string quartet di Ludwig Van Beethoven.



JC: Quali sono stati i vostri maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


S: I dischi in primis, poi alcuni insegnanti del conservatorio e di altre scuole di musica, tra i più grandi nomi del jazz italiano; i viaggi, i libri e le scoperte dettate dal caso, le serate dove, dopo il concerto, uno sguardo di uno spettatore ci faceva capire se avevamo fatto bene o meno il nostro lavoro.



JC: E i jazzmen che vi hanno maggiormente influenzato?


S: Quelli dei dischi dell’isola deserta…



JC: Qualche aneddoto sui vostri concerti all’estero?


S: Il più bello pensiamo sia proprio quello che ha dato il titolo al disco. Eravamo a suonare a Monaco, in Germania, e dopo una giornata di busking, soddisfatti del guadagno ottenuto, abbiamo deciso di andare a mangiare indiano in un posto apparentemente economico, il quale ci ha fregato, facendoci pagare un conto salatissimo. Noi, reduci appunto dalla suonata in strada, abbiamo dovuto pagare il conto con monete da 50cent per un totale di più di 100 euro. “Spicy” fu la parola più ripetuta quella sera (l’indiano ci proponeva solo cose spicy e noi accettavamo ogni suo suggerimento!) e Green Cube in realtà deriva sempre dallo stesso periodo in Germania, che ci ha visto condividere una Fiat Cubo verde per nove giorni, senza ostelli o alberghi, ed è stato davvero la nostra casa. L’unione di queste due cose ci è piaciuta e in un certo senso ci è sembrato che raffigurasse la nostra unione e il nostro tempo trascorso insieme, mantenendo l’ idea del viaggio.



JC: Quali sono i musicisti con cui amate collaborare?


S: Per ora l’alchimia più forte è quella che continuiamo a trovare tra noi quattro. Potremmo quindi dire che ci piace “collaborare” costantemente fra di noi, perché abbiamo trovato il nostro modo collettivo di ragionare e scrivere musica. Sono già 4 anni che abbiamo la fortuna di suonare insieme e di poterci concentrare al 100% sul nostro progetto. Al di fuori di questo, siamo sempre aperti e felici di suonare con musicisti che riescono a darci molto, umanamente e musicalmente. Ci è capitato proprio così in Svezia, dove abbiamo suonato e registrato con il sassofonista Johnny Wartel.



JC: Come vedete la situazione della musica e più in generale della cultura in Italia?


S: La cultura, la musica e l’arte sono le principali connotazioni di una popolazione. La storia ci insegna che nonostante crisi economiche e sociali, la bellezza ha sempre superato tutte le barriere, permettendoci oggi di ammirare i capolavori dei grandi geni del passato. Non sappiamo come sia esattamente la situazione della cultura in Italia oggigiorno; sono problemi complessi che spesso non possiamo capire; non vogliamo neanche dire che tutto fa schifo, eccetera, la bellezza vincerà tutte le barriere che l’uomo prova o proverà a mettere.



JC: Cosa state progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


S: Al momento stiamo lavorando su molti pezzi nuovi, che faremo confluire nel nostro secondo album. Come Spicy Green Cube, sarà il nostro secondo capitolo e sarà molto importante per noi, abbiamo tante cose da dire e vogliamo dirle nel modo migliore. Per questo stiamo lavorando molto, sulle idee, sui suoni e sulle atmosfere. Ci prenderà ancora un po’ di tempo, cerchiamo di ipotizzare l’uscita del disco verso fine 2017, ma è solo un’ipotesi, le variabili in gioco sono molte, tra cui anche un etichetta con cui siamo in contatto. Nel frattempo abbiamo anche la registrazione fatta in Svezia, con Jonny Wartel, in cui abbiamo suonato brani nostri appartenenti al primo disco e dei brani suoi. Mancano ancora dei lavori di rifinitura e la nostra idea sarebbe quella di far uscire anche questa esperienza svedese nel 2017.