Jazz Village – 570132 – 2016
Macha Gharibian: pianoforte, voce, Fender Rhodes, Wurlitzer
Théo Girard: contrabbasso, canto
Alexandra Grimal: sax soprano, sax tenore
Matthias Mahler: trombone
Dré Pallemaerts: batteria, kanjira
Fabrice Moreau: batteria
David Potaux-Razel: chitarra
Tosha Vukmirovic: sax tenore, kaval
Album che possiede lo scomodo pregio dell’ineffabilità, se considerato a scatola chiusa: il secondo lavoro della tastierista e vocalist franco-armena possiede almeno, tra i titoli dichiarati, una line-up solida e relativamente eterogenea, tra cui riconosciamo immediatamente la giovane vedette del free Alexandra Grimal, ed i batteristi già veterani Dré Pallemaerts e Fabrice Moreau, ingredienti tra i molti che dispongono all’ascolto di un album sfaccettato e di carattere polimorfo.
Materiali, codesti proposti in Trans Extended, cui l’autrice conferisce l’etichetta di jazz-folk-pop, caratterizzati da un amalgama di stile che trae linfa dai contributi individuali, ma certamente grande respiro dal complesso background dell’Autrice, formatasi tra la scena parigina e diverse influenze di stile USA, certamente non disconoscendo il peculiare linguaggio delle origini armene.
Cosicché è palese l’investimento di quanto assimilato sulla scena statunitense tra mentori della caratura di Jason Moran, Ralph Alessi o Uri Caine, importandolo sulle dinamiche d’interscambio di tratto europeo, ed amministrandovi il patrimonio etnico d’appartenenza: non rimane peraltro nelle intenzioni affermare che l’album ha avuto la propria gestazione «tra Parigi, New York e Yerevan», rilevando come siano dispensate ed espresse le triplici radici formative.
Così, se l’introduttiva Who have tonight è forma-canzone pura di, di netto carattere autoriale e disvelante una tempra vocale coinvolgente ed autorevole, il tratto musicale s’ispessisce nella fusion rudimentale e solida di M Train, quindi Let the World re-begin e There was a child accrescono le ambizioni interpretative entro una installazione semi-recitativa che molto richiama il mondo di forti e innovative autrici pop(à la Laurie Anderson, e mondi correlati).
L’identità in jazz è articolata entro più soluzioni formali, arruolando con alternanza i pregevoli solisti, apprezzabili nelle figurazioni spezzate del soprano, nei melismi dell’anatolico flauto kaval o nelle sferzanti sortite del trombone e, quanto all’esposizione delle più ataviche radici, la brillante Marmashen è provvista di quei peculiari tratti di febbrile dinamismo che per stretta analogia richiamano i primi lavori di Tigran Hamasyan (ma il riferimento si ritenga incidentale, e suonerebbe comunque limitativo per l’arte, del tutto personale, di Gharibian), motivi ripresi meno letteralmente ma con spirito ancor più danzante nella bandistica e levantina Saskatchewan, quindi secondo una poetica assai più privata nell’intensa Anoushes. Procedendo lungo tracce di richiamo orientalistico più remoto quale Midnight Song, ci si congeda in una successione di due ballads di gusto cantautoriale, plasmate nel jazzy serotino di Leaving, quindi nella intensa e più sincretica End of the Road.
Lavoro composito (di cui nemmeno il titolo Trans Extended difetta per tratto sfuggente) in forma di album-contenitore che mantiene quanto esposto nei credits, di qualità inattesa (e accortamente prodotto per i tipi della medesima label patrocinante il grande Ahmad Jamal e gli storici Magma, oltre ad un eterogeneo ventaglio di talenti tra cui Chucho Valdés, Kyle Eastwood o Virginie Teychené), la solida incisione accortamente investe su un’arte multiforme e compiutamente esposta, che fissa le musicista armena Paris-based nella nostra considerazione quale pianista efficace e sensibile, vocalist matura ed ispirata story-teller.
Link correlato: www.machagharibian.com/