Wadada Leo Smith – America’s National Parks

Wadada Leo Smith - America's National Parks

Cuneiform Records – RUNE 430/431 – 2016



Wadada Leo Smith: tromba, direzione

Anthony Davis: pianoforte

Ashley Walters: violoncello

John Lindberg: basso

Pheeroan akLaff: batteria

Jesse Gilbert: video artist






«La meravigliosa magnificenza della natura. Ho udito il verso dei grilli, degli uccelli, il turbinare e l’avvilupparsi del vento… l’affaticarsi delle anime sofferenti in tutto il mondo; gli attimi di realizzazione, di identità, di realtà in tutte queste cose contribuiscono a creare l’interezza della mia musica…»


Con i due dischi di America’s National Parks Leo Smith, individuando con mano sicura sei siti, naturali o culturali, reali o immaginarii, tutti a rappresentare una porzione significante del patrimonio afro-americano, pone un altro importante tassello del proprio percorso poetico/politico. Il legame, assai profondo, con l’eredità ellingtoniana emerge qui in maniera prepotente, inequivocabile, rafforzato dalla presenza di Anthony Davis. In assenza di legami stilistici evidenti, Davis a parte, in Smith sono l’ampiezza degli orizzonti d’ispirazione musicale, la volontà di ritrarre in musica ampi frammenti della storia degli afroamericani o il ricorrente modello alla forma della suite ad essere saldamente fondati sull’eredità del Duca. Per estensione e varietà di atmosfere ogni brano è assimilabile ad una suite: i venti minuti dell’iniziale ritratto in musica di un immaginario parco dedicato alla memoria culturale di New Orleans lo testimoniano. Con una intuizione, poderosa e raffinatissima, Smith torna ad affermare la centralità del contributo afroamericano alla storia e alla geografia culturale degli Stati Uniti. Gli aspetti naturali e quelli storico-culturali sono qui in delicato e problematico equilibrio poiché la prevalenza di uno sull’altro poco importa a Smith. Il livello di ispirazione e di qualità musicale, la disinvoltura nel mischiare cultura e natura, le parti accuratamente composte e abilmente fuse con altre improvvisate confermano la visione non antropocentrica e non eurocentrica del leader. Al quartetto “dorato” si aggiunge qui il violoncello di Ashley Walters, aggiunta interessante più sulla carta che negli esiti limitati e frammentari. Il violoncello, nei rari momenti in cui si ascolta, rimane costantemente in sottofondo, come sfocato, voce interiore, coscienza ed eco sommessa; ampie parti vengono invece lasciate agli altri partner, compagni di viaggio da decenni, e particolare rilievo assume il pianismo ampio oltre le divisioni stilistiche di Davi cui vengono sovente affidati gli snodi “narrativi”: aperture e interludi delicati, pensosi e astratti. riuscito In questi oltre ottanta minuti di musica non tutto è parimenti: non mancano i momenti di stanca, quelli in cui la musica pare non riuscire a prendere (o non voler prendere?) una direzione precisa; poi basta un improvviso, semplice riff di basso per riaccende e riorientare la musica. Nei Parchi Nazionali Americani l’ampiezza di concezione, spaziale e sonora, la varietà e la lunghezza dei brani sono elemento fondante di una musica non semplice, nonostante le apparenze di superficie. La poetica di Leo Smith sa fondere abilmente frammenti di accademismo eurocolto con sperimentalismi post-free, un lirismo scoperto con l’astrattismo più tenace: il quartetto è qui cameristico, puntillistico, raramente presente al completo dissolto com’è in un costante dialogo a più voci. Insostituibili i compagni di viaggio con l’intelligenza percussiva di Pheroaan Ak Laff regalo prezioso e raro. A dispetto delle lungaggini e dei momenti di stanca il Golden Quartet rimane una delle formazioni più fresche e creative oggi in attività; merito del leader ma anche dei comprimari con Davis e Lindbergh in testa. Quella qui contenuta è musica di compositori: Lindbergh e Davis sono importanti, seppur del tutto sottostimati, autori di musiche proprie e Leo Smith si riconferma tra le più originali e autentiche voci afro-americane comparse negli ultimi decenni.