JAZU: Jazz from Japan. Recensioni. Sumire Kuribayashi. Travelin’

JAZU: Jazz from Japan. Recensioni. Sumire Kuribayashi. Travelin'

Somethin’ Cool – SCOL-1010 – 2015




Sumire Kuribayashi: pianoforte

Hideaki Kanazawa: contrabbasso

Hiro Kimura: batteria

Shun Ishiwaka: batteria su 7 e 8






Il viaggio è un genere di esperienza che spesso si realizza attraverso un incontro, tra persone o culture, e un conseguente scambio, spesso proficuo per entrambi le parti. Può succedere, in seguito, che il viaggiatore scelga di condividere e restituire tale evento nel modo che più gli è congeniale: mostrando alcune fotografie, raccontandone i momenti salienti alle persone più vicine o scrivendone un diario di viaggio.


La pianista Sumire Kuribayashi sceglie di trasferire le sue emozioni di viaggio attraverso la musica, dotandola di quelle caratteristiche narrative che la avvicinano ad un racconto orale.


Appartenente alla giovane generazione del jazz nipponico, la Kuribayashi è diventata nel giro di pochi anni una delle pianiste più apprezzate, oltre che per le sue doti esecutive, per quel notevole storytelling, (la capacità di raccontare una storia), che percorre le trame della sua musica.


Questo suo secondo lavoro – giunto a solo un anno di distanza da Toys, il suo disco d’esordio – conferma la Kuribayashi come una musicista sempre attenta ed in grado di tradurre in musica il suo vissuto, nonchè quello dei suoi ultimi viaggi, facendone il tema principale di questo suo ultimo lavoro.


Wild Tale apre l’album con il suo incedere a passo di valzer, squisitamente intrigante nella leggerezza dei suoi colori autunnali tratteggiati sia dal contrabbassista Kanazawa, con un accompagnamento elegante e mai invasivo, che dalle sottigliezze ritmiche del batterista Kimura.


Ogni singola suggestione, tra le dita della Kuribayashi, può tramutarsi in ispirazione musicale: la visita ad una chiesa, durante un suo viaggio in Europa, fornisce l’occasione per portare in superficie le sue pregevoli influenze classiche permeate da romanticismo ed echi bachiani (La Carillion et La Petite Eglise). Qui ancora una volta Kanazawa fornisce un sostegno perfettamente adeguato allo stile scelto, suonando in contrappunto sulle linee melodiche del pianoforte. Tra la Kuribayashi e Kanazawa (quest’ultimo è un ottimo ed apprezzato veterano della scena nipponica) si è da tempo instaurata una collaborazione musicale solida e feconda, nonostante appartenenti a generazioni differenti: il suo supporto bassisitico mai banale e spesso giocato sulla sottrazione testimonia la profonda sensibilità ed esperienza, emblematico della sua lunga carriera.


La grande quantità di stimoli creativi e l’energia ricevuti dalla pianista durante un festival in Belgio affiorano tra le pieghe di Da Da Da, uno dei brani più dinamici di tutto l’album, nel quale si palesa la fluidità ritmica e improvvisativa della Kuribayashi arricchita nel finale da una reiterata e trascinante sezione di stampo rock.


Scegliere di riproporre un brano come Memories of Tomorrow, tratto dal celeberrimo Köln Concert di Keith Jarrett, non è stata scelta facile, come ammette la stessa Kuribayashi nelle note di copertina: «[…] ho suonato diverse volte dal vivo questo brano, ma ora che ho scelto di registrarlo, sento addosso un certo timore reverenziale nei confronti di Jarrett[…]». Qui la pianista decide di eseguirlo mantenendone l’atmosfera generale, ma aggiungendoci il proprio gusto espressivo e quello storytelling precedentemente accennato.


Ed è ancora un viaggio, questa volta virtuale, ad ispirare la genesi di Irrawaddy River, brano costruito attorno ad una melodia appartenente al folklore musicale birmano: interessata alle musiche del mondo, la Kuribayashi incappa sul web nella musica di una danza birmana e decide di lavorare su una semplice cellula melodica, sviluppandola fino a creare un’estesa composizione dall’andamento umorale per quello che la stessa rivela essere il suo primo tentativo di composizione di una suite.


La capacità e la voglia della Kuribayashi di raccontare emerge nel suo utilizzo di un sussurro cantato che, prestando attenzione, è possibile ascoltare qua e là nel trasporto emozionale delle sue esecuzioni.


Affascinante l’idea di partenza sulla quale vengono poste le basi di Home Away from Home, una composizione nata da quell’amore che la pianista nutre per il jazz anche se, come ammette la stessa «[…] in quanto giapponese, non posso certo affermare che il jazz faccia parte delle mie radici, però ogni volta che torno a suonarlo provo lo stesso senso di sollievo di un ritorno a casa […]».


Nella più pura tradizione jazzistica, rifare un brano innumerevoli volte cercando ogni volta di trasformarlo in qualcosa di diverso è la sfida che la maggior parte dei musicisti si pone. C’è questo dietro la scelta della Kuribayashi di riproporre Forest and the Elf, brano già apparso nel succitato disco d’esordio, qui rivisitato con piglio agile e tempo più sostenuto, complice la presenza ospite del notevole batterista Shun Ishiwaka, altro giovane astro nascente della scena giapponese.


Wild Tale-Closing torna in dirittura d’arrivo presa a tempo più lento ed ispirato per esecuzione e approccio dall’ascolto di alcuni lavori registrati in duo da Charlie Haden e Gonzalo Rubalcaba, un suggerimento venuto dal contrabbassista Kanazawa, avvolgendoci con quel sapore languido di certe ballad della musica cubana.


A chiusura dell’album troviamo Blame It on My Youth uno degli standard più amati e suonati dal vivo dalla Kuribayashi che decide di eseguirlo nella dimensione più intima possibile, accompagnandosi con il solo Kanazawa: «[…] abbiamo abbassato le luci in studio, ho fatto avvicinare al pianoforte Kanazawa, e l’abbiamo suonata guardandoci negli occhi […]» Il modo migliore per chiudere un racconto in musica che sa avvincerci con i suoi intriganti percorsi mentre ci scaldiamo al calore della sua ispirazione.



Link di riferimento:

Travelin’ teaser www.youtube.com/watch?v=ogPSMJIa4Aw

Il video di Home Away From Home