Foto: Etienne Vital
John Riley a Palazzo Natta Vitta
Casale Monferrato, Accademia Le Muse – 5.3.2017
John Riley: batteria
Max Gallo: chitarra
Davide Calvi: pianoforte
Gigi Di Gregorio: sax soprano, sax tenore
Giorgio Allara: contrabbasso
Nella prima quindicina di Marzo, a Casale Monferrato, si è avuta occasione di ascoltare due importanti concerti, grazie alla lungimiranza di Ima Ganora, dell’Accademia Le Muse di Casale Monferrato. L’Accademia ha sede nel prestigioso Palazzo Natta Vitta, che da qualche anno è nuovamente fruibile dai Casalesi, dopo anni di immeritato oblio. L’elegante costruzione, con la lunga facciata imponente su Via Trevigi, a ridosso di quello che fu il ghetto ebraico, diventa così simbolo di cultura seicentesca e, al tempo stesso come un ponte, si coniuga con l’attuale, più giovane di ben cinque secoli; efficace presupposto per ospitare eventi di caratura culturale di alto livello. L’Accademia ha ospitato il ritorno in Piemonte di John Riley, eccellente didatta e strumentista, che già nell’agosto scorso aveva suonato a Vercelli, al Museo Leone.
Con lui ha suonato il Max Gallo Quartet, composto dal leader alla chitarra, con Davide Calvi al pianoforte, Gigi Di Gregorio ai sassofoni soprano e tenore, Giorgio Allara al contrabbasso e la star, appunto, alla batteria. La differenza sostanziale fra il concerto attuale e quello di sette mesi orsono si è giocata tutta sulla didattica, con John Riley che, prima della esecuzione delle diverse composizioni, ha fornito esaurienti delucidazioni sulla maniera in cui queste prendono corpo, frutto di intesa iniziale e di segnali gestuali e sonori mentre sono suonate.
Sono stati prospettati concetti come la circolarità di esecuzione, i break e bridge sul tema dato, il derivare dell’assolo strumentale, le riprese di chorus, il tipo di chiusura del brano chiamato, con o senza coda da parte di uno strumento. Il pubblico presente ha in tal modo potuto fruire di delucidazioni che contribuiscono a un maggior godimento della musica eseguita, per larga parte improvvisata sugli strumenti. Il risvolto culturale, a complemento del contenuto artistico, diventa pertanto concreto, magari come risposta a interrogativi inespressi dall’ascoltatore non musicista.
I brani chiamati riflettevano, a livello compositivo, la caratteristica strumentale degli autori se ci si sofferma, più che sull’insieme sonoro, sugli assolo individuali dei vari componenti il team.
Si apre con On A Misty Night, del pianista Tadd Dameron, e immediatamente Davide Calvi ha la possibilità di dimostrare, a chi lo conosce, quanto sia in progressione il proprio pianismo sia a livello di composizione istantanea quanto nella tecnica sulla tastiera. This I Dig of You, del tenorsassofonista Hank Mobley, ha messo in luce la sensibilità di Gigi Di Gregorio il cui sound ha, nel tempo, preso le distanze dall’irruenza coltraniana; lo si avverte anche quando suona il sax soprano e si comprende come lavori molto sulla ricerca per abbandonare certe spigolosità del registro sovracuto. Il terzo brano mette in luce le brillanti doti e la vena blues di Max Gallo, il cui idolo è Wes Montgomery, autore di West Coast Blues; è eccellente l’interpretazione del leader ben coadiuvato dal gruppo con in evidenza l’interplay della guest star John Riley. Si procede poi con il brano clou della serata, On Green Dolphin Street di Bronislav Kaper, in cui emerge proprio la quintessenza del lavoro di interplay strumentale, con il batterista che sa magistralmente legare il sound e gli interventi dei vari solisti, compreso il sempre efficiente Giorgio Allara, in sottofondo ma con funzione conduttrice del gruppo. A seguire poi una indimenticabile hit del Miles Davis nel periodo cool, vale a dire Darn That Dream di Van Heusen: non c’è la sua tromba, non c’è il canto, ma la chitarra di Max e il sax soprano non li fanno rimpiangere e John guida tutti in una coinvolgente successione di interventi strumentali singoli.
Gigi Di Gregorio ritorna a imboccare il sax tenore su un bel blues di Sonny Rollins, sulla cui esposizione tematica sono evidenti le marcature in 4/4 di John sul rullante, la seconda voce è riservata alla chitarra di Max, poi il fantasioso e debordante assolo di Davide al pianoforte e, infine, il gioco di call e reponse tra contrabbasso e batteria a precedere un lungo assolo al sax tenore di Gigi con il classico giro di chiusura sul tema, con doppio break finale, di un bellissimo Sonnymoon for Two. Si va verso la conclusione del concerto nella bellissima sala, tra bianche cortine e dorati stucchi si odono le note di un notissimo tema di Cole Porter: What Is This Thing Called Love, da una commedia musicale di fine anni ’30, ormai assurto a standard jazzistico di frequentatissima evidenza da parte di numerosi grandi del genere musicale. E Gigi, dal momento che il brano non è cantato, mette qui in brillante evidenza un sound inusitatamente levigato sul sax soprano. È Max, da ultimo, a chiamare il brano I Love You, di Woodkid Y. Lemoine – accolto da John con un largo, compiaciuto sorriso – quasi a suggellare il felice ritrovarsi di questa formazione che, in seppur rari incontri, ha saputo trovare un amalgama interpretativo e un sound molto caratterizzato e, alla fine, gli applausi si sono fatti sentire in maniera calorosa. E i musicisti, in modo altrettanto gioioso, non hanno fatto mancare il loro ringraziamento, a conclusione della bella serata.