Foto: la copertina del libro
Salvatore Mugno. Il biografo di Nick La Rocca
Arcana Edizioni. 2017
Cento anni fa, il 26 febbraio del 1917, un quintetto di giovani musicisti bianchi, tutti di New Orleans entrò in una sala d’incisione di New York, per incidere quello che sarebbe stato definito il primo disco della storia del jazz. Non è questa la sede per ricordare il lungo dibattito che, nel corso dei decenni, si è sviluppato sulle origini di quest’arte. Un dibattito spesso ideologico, volto ad affermare o a negare la negritudine della musica nata a New Orleans. La storiografia più accorta ha fatto giustizia di queste antiche, talora sconclusionate, controversie sull’invenzione del jazz, dimostrando come in quest’arte siano confluite e si siano sedimentate nel tempo esperienze musicali e di vita di artisti appartenenti a varie comunità: afro americani, ebrei, italiani, creoli.
Questo bel libro, ripubblicato opportunamente da Arcana (la prima edizione, del 2005, uscì per i tipi di Besa), in occasione del centenario del mitico disco, ha il merito di ricostruire, con fedeltà cronachistica (anche se l’autore definisce la sua opera un romanzo) e con una certa asciutta poesia, due vicende umane legate a quelle due facciate (Livery Stable Blues e Dixieland Jass Band One Step erano i titoli) pubblicate dalla Victor. Salvatore Mugno racconta infatti in parallelo la vita magmatica di Nick La Rocca, cornettista e leader del quintetto, e quella altrettanto disordinata del suo fedele biografo, Harry O. Brunn che nel libro viene chiamato Brass. Due belle storie di jazz.
Quella del siculo-americano La Rocca è la vita di un musicista esuberante, sbruffone, sempre sopra le righe, travolto forse, in alcuni momenti della sua vita dal suo stesso successo. Per molti versi ricorda il gigantesco personaggio di Svevo Bandini (o Nick Molise) della saga italo americana di John Fante.
Harry O. Brunn è il prototipo del giovane di buona e ricca famiglia che s’innamora follemente della musica selvaggia di New Orleans, tanto da decidere di scrivere una biografia del cornettista. Una biografia che diventerà il filo conduttore se non lo scopo della di tutta la sua vita.
La narrazione delle peripezie del testardo ma ingenuo biografo, alle prese con il disprezzo della critica ufficiale ma anche di quello dello stesso La Rocca, delle inevitabili controversie sui diritti d’autore, della solitudine dello scrittore è davvero divertente e istruttiva. Brunn è forse il primo nella galleria di quei tanti personaggi che dedicarono la vita al culto di qualche musicista; jazz come quel Francis Paudras che quasì accudì il devastato Bud Powell del periodo parigino o quel Gerrit De Bruin che fu sostegno di Nina Simone negli ultimi anni.
Un buon libro, basato su una scrittura essenziale e asciutta, privo di retorica e lontano da facili ideologismi su presunte italianità del jazz che si riscontrano anche in ricostruzioni recenti (vedi il documentario del 2013 “Da Palermo a New Orleans… e fu subito Jazz” di Riccardo de Blasi, prodotto da Renzo Arbore). Da sottolineare che Salvatore Mugno ha intrattenuto una lunga corrispondenza con Brunn prima di scrivere. Le sue fonti sono quindi spesso di prima mano.