Foto: Walt Denson (gentile concessione ufficio stampa Crossroads 2017)
Avishai Cohen alla Casa Della Musica di Parma
Parma, Casa Della Musica – 5.4.2017
Avishai Cohen: tromba
Yonathan Avishai: piano
Barack Mori: contrabbasso
Nasheet Waits: batteria
Avishai Cohen è tornato sul palco della Casa della Musica di Parma a quasi diciotto mesi dal concerto in cui si era esibito con il gruppo di Mark Turner. Questa volta il trombettista israeliano era però alla testa di un suo quartetto con Yonathan Avishai al piano, Barack Mori al contrabbasso e Nasheet Waits alla batteria. Con questa formazione Cohen ha appena inciso un nuovo disco con ECM, Cross My Palm With Silver. Il cd ha fatto la sua prima, ufficiosa, apparizione in pubblico proprio durante la serata parmigiana; l’uscita vera e propria è infatti prevista in maggio. Con questo lavoro, Cohen prosegue il cammino intrapreso con la precedente incisione con l’etichetta tedesca, il fortunato Into The Silence, che vedeva impegnato anche il tenorista Bill Mc Henry ed Eric Revis al basso al posto di Barack Mori.
La serata ha messo in ulteriore luce tutti gli elementi positivi della musica di Cohen. Il suo suono strumentale è terso e sofferto, limpido ma capace di sfumature drammatiche, sempre intriso di un lirismo caldo ma essenziale.
Come compositore il leader ha ripetuto la sua capacità di scrivere brani molto estesi e aperti, capaci di tenere, sempre viva, nel loro continuo mutamento, l’attenzione del pubblico, in un perfetto equilibrio fra scrittura e improvvisazione.
Il pianista Yonathan Avishai ha catturato il pubblico. Jazzista autentico è capace anche di sequenze ricche di sonorità classiche. Più di una volta, sempre con leggerezza e souplesse, ha aperto scenari nuovi nei vari brani eseguiti. Si muove a suo agio in tutte le musiche pur mantenendo una sua propria, peculiare, cifra stilistica.
Nasheet Waits ha suonato da par suo. Il suo drumming ora sussurrato, ora impetuoso (per qualcuno dei presenti il suo uso del rullante era un po’ sopra le righe…) ha contribuito anch’esso a quell’avvincente alternanza di leggerezza e drammaticità di sospensione e accelerazione che ha che ha caratterizzato tutto il concerto. Il suo assolo, nella parte finale del concerto, ha raccolto un lungo applauso.
Al di là delle notevolissime individualità è stato il gruppo nel suo insieme a funzionare in una serata che non ha mai fatto sentire il sapore dello scontato, del risaputo, del banale.
Certo, il jazz è cambiato. La grande tradizione, che si è sviluppata attraverso un secolo abbondante di storia, ha lasciato il posto a nuove musiche. Inutile cercare di quantificare le tracce di blues, il grado di swing o di modo che esse contengono. Nell’arte, come nella storia naturale, tutto si trasforma.
Nei vari capannelli di fine concerto uno spettatore diceva che aveva trovato bellissima la musica ascoltata, ammettendo al contempo la sua scarsa dimestichezza con il jazz. Se ne scusava, quasi: ma il suo era forse il complimento migliore che si poteva fare per una performance come quella di Cohen e dei suoi bravi: una performance piena di musica certo non immediata e non facilissima ma certamente coinvolgente.